Chiaralascura, al secolo Chiara Meloni, autrice di Queeranta per BeccoGiallo, è stata ospite di Lo Spazio Audace – Vignette e caffè a Lucca Comics & Games 2024, accompagnata dalla sua ragazza nonché assistente colorista Chiara Ardino.
Benvenuta Chiara! In Queeranta parli di coming out da una prospettiva diversa dal consueto. Perché questa scelta?
Perché io sono una donna di mezz’età, anche se alla gente non piace sentirlo. I miei coetanei, le mie coetanee, quando leggono in quarta di copertina “donna di mezz’età” mi dicono “Ma perché la casa editrice ha scritto così?” e io rispondo “Dai raga, non sono stati loro, l’età è quella… Io sono una donna di mezza età”. Bisogna farsene una ragione e non è che la vita è finita! La mia storia è questa. Non ho fatto coming out in adolescenza, non l’ho fatto a vent’anni durante l’università. Ci ho messo molto di più a capirlo e non mi vedevo rappresentata nelle storie. Tra l’altro quando raccontano di persone queer adulte, sono sempre storie pesanti. Di solito c’è sempre una certa pesantezza, no? Sembra che quando sei adulto tu debba raccontare tutto in un film in bianco e nero in cui muoiono tutti e poi vince Khan.
Invece a me piaceva l’idea di avere un libro carino, coccoloso, che dicesse cose anche forti e trattasse argomenti anche pesanti ma in modo leggero. Perché ce lo meritiamo anche noi. Volevo rappresentare qualcosa che non ho visto e non ho sentito raccontare e mi sono detta “siccome non c’è, lo faccio io!”.
Di leggerezza parlava Italo Calvino nella prima, omonima, lezione americana. Credi che un po’ più di leggerezza servirebbe, in generale, nel nostro mondo?
Sì. Aggiungo che il tono leggero è l’unico che avrei potuto usare per raccontare questa storia perché è nelle mie corde, sono innamorata delle cose che fanno super ridere, che sono ironiche, leggere. Però magari ti danno la mazzata e alla fine ti dici “Oddio, mi ha insegnato qualcosa e mi ha fatto anche ridere!”. Invece le narrazioni un po’ più pesanti non sono proprio la mia cup of tea. Secondo me non c’è bisogno di fare i pipponi per raccontare certe tematiche. Ho cercato di essere divertente, di scrivere il meno possibile, di non attaccare pipponi ma di sviluppare una storia che contenesse non solo la queerness ma anche il lutto, la grassofobia e tanto altro.
Questo è il tuo primo fumetto. Ci sono state delle difficoltà, degli ostacoli nel corso della sua realizzazione?
Gli ostacoli sono dati proprio dal fatto che è la mia prima graphic novel! Faccio l’illustratrice, leggo fumetti però non ne avevo mai fatto uno. È andata così, mi è venuta l’idea di raccontare questa storia facendo una graphic novel, ho firmato il contratto e il giorno dopo sono andata in panico tipo “Oh mio Dio, devo fare una graphic novel! Come si fa?”. Così ho passato tutto il tempo che avevo a disposizione a studiare, perché ero troppo spaventata per iniziarla e solo negli ultimi mesi l’ho realizzata davvero. Sicuramente è un lavoro diverso rispetto a ciò che sono abituata a fare. Nella vita mi occupo di due cose, disegnare e attaccare i pipponi, perché l’altra mia vita è da attivista con il progetto Belle di Faccia, che è stato uno dei primi in Italia a parlare di grassofobia. L’altro mio libro, che ho scritto con la co-fondatrice Mara Mibelli, è un saggio, quindi sono abituata a spiegare le cose il più chiaro possibile perché non devo essere fraintese né offendere nessuno. Invece in Queeranta ho dovuto asciugare, perché la storia tratta di me che comunico con l’urna delle ceneri di mia madre, una settantenne alla quale devo parlare terra terra. Per questo dovevo usare meno testo possibile, far parlare le immagini. La mia è stata una intensa ricerca nell’astenermi dal fare pipponi e nel trovare soluzioni tecniche. Non faccio fumetti da vent’anni e ho delle lacune, quindi ho cercato di leggere ancora più fumetti per vedere come gli altri risolvono certi problemi, tipo la gestione di lunghi dialoghi fra due persone. Non volevo fare ottocento vignette di noi due che parliamo sul divano perché sarebbe stata una noia mortale, quindi ho cercato tutti i trucchi possibili per renderlo divertente, scorrevole e non noioso. Le difficoltà sono state queste, mentre la storia è venuta molto naturale perché avevo già in mente ciò che volevo dire.
Qual è stato il tuo metodo di lavoro? Hai fatto storyboard, scritto una sceneggiatura?
Sì, ho seguito tutti i passaggi che avevo studiato. Ho fatto una sceneggiatura, anche se poi qualcosa è cambiato in corso d’opera, poi i bozzetti, le matite, il nero e infine i colori. Ho seguito l’iter e sono stata didascalica perché non padroneggiavo bene il mezzo. Spero di non essere andata troppo male!
Proprio sui colori hai avuto un’assistente particolare, un’altra Chiara…
Esatto, perché avevo sottovalutato quanto lavoro ci volesse! Ho firmato un contratto con consegna dopo un anno e in realtà ci ho messo un po’ di più. Gli ultimi mesi sono stati di panico totale ma per fortuna mi sono scelta come ragazza un’illustratrice [Chiara Ardino – ndr]. L’ho pregata di aiutarmi a colorare, altrimenti non avrei fatto in tempo nonostante le quindici ore al giorno di lavoro. Quindi lei mi ha odiata per vari motivi!
Visto che è presente, facciamo una domanda anche a Chiara Ardino. Qual è stato il tuo ruolo in Queeranta?
La cosa divertente è che io ho sempre odiato colorare! I miei disegni da bambina sono tutti in bianco e nero perché detestavo colorare. Poi ho scoperto che è molto bello, soprattutto per Queeranta perché non erano cose mie. Ho aiutato Chiara a finirlo. Ho detto “Va bene, modalità coloratrice!” e abbiamo passato ore e ore una accanto all’altra senza parlare, solo a colorare. È stato veramente divertente e la palette che lei ha scelto è stupenda, io non sarei mai riuscita a selezionare una palette di colori così. Però l’ho odiata [ridono], soprattutto perché lei ha aggiunto un sacco di dettagli, la maggior parte dei quali coperti da didascalie o balloon. Quindi non si vedono, ma io li ho colorati lo stesso. Ad esempio ha fatto un carrello, ma non uno normale magari con il fondo piatto… no, ne ha disegnato uno con tutte le linee, tutte le sbarre di ferro e così le ho dovuto colorare una a una… Poi la stazione, ha disegnato Victoria Station fedele in termini architettonici, con tutte le bocchette dell’aria condizionata. Però è stato super divertente.
Questa collaborazione lavorativa ha fatto crescere anche il vostro rapporto affettivo?
In realtà lavoriamo molto bene insieme, infatti l’idea di fare un fumetto a quattro mani c’è. Siamo entrambe delle Golden Retriever, non siamo persone che si innervosiscono o si arrabbiano, siamo molto gentili anche nei momenti di tensione. Io lavoro malissimo con le persone passivo-aggressive, vado proprio in panico con chi si arrabbia. Invece insieme stiamo bene, siamo allineate su tante cose e soprattutto ci compensiamo. Lei sa fare cose che io non so fare e viceversa ed è molto bello.
Al netto della nomination al Premio Boscarato, come è stata recepita l’opera sia dalla critica, sia dal pubblico?
Ero molto preoccupata perché ero all’esordio, ma è stata recepita bene, ho avuto delle buone recensioni e soprattutto la risposta positiva del pubblico, perché quando si fa un libro memoir ci si chiede “Ma a chi interessa la mia storia, non sono mica Napoleone!”. In realtà tante persone si sono riconosciute, magari non in tutta la storia ma in delle parti, perché le tematiche sono varie. Dal lutto, alla ricerca di se stessi, alla questione queer. Ci sono anche flashback legati all’adolescenza, nei quali si parla di crescere con un corpo che non è considerato lo standard di bellezza e quindi di tutte le varie paranoie connesse. La risposta è stata gratificante e il tour di presentazioni che ho fatto a luglio e a settembre è andato molto bene. Alla fine c’è sempre qualcuno che piange, io piango, ci commuoviamo, ci abbracciamo, facciamo amicizia, quindi sono molto felice.
Riesci a scindere il ruolo di artista da quello, a cui accennavi prima, da attivista?
Faccio parte della comunità di cui parlo e a essa si lega la mia storia, la mia identità. Se non avessi incontrato certi concetti, certi movimenti, non sarei la persona che sono. Quindi è molto difficile scindere le due cose. Magari uso registri e toni diversi nelle varie situazioni, ad esempio Queeranta non è un saggio e cerco di spiegare con le immagini e senza troppe parole, però voglio comunicare questi valori. Li ho inseriti nella storia nel modo più organico possibile. Succede anche nel lavoro da illustratrice e a volte è difficile, perché dico di no a tutti! Il mio editore, che è anche il mio agente, l’altra sera mi ha presa molto in giro dicendomi “Rifiuti tutti i lavori, vuoi morire povera?” In realtà non vorrei, ma come si fa? È difficile per me credere in queste cose e poi, che ne so, lavorare per la Coca Cola. Non ce la faccio.
A proposito, nuovi lavori all’orizzonte?
In realtà no, sono completamente frullata dal libro. Normalmente sono introversa e trovarsi tutti i giorni a parlare mi ha un po’ destabilizzata. Ma la mia idea è di realizzare un altro fumetto e poi vedrò cosa fare per il resto della mia vita lavorativa che, visto che dico di no a tutti, sta andando completamente a rotoli. Lo so, andrò a vivere sotto il ponte o in stazione!
Grazie per la disponibilità, Chiara!
Intervista realizzata il 3 novembre 2024 a Lucca Comics & Games
BIOGRAFIA
Lavora come freelance dal 2010, anno in cui ha fondato Chiaralascura e lanciato la prima piccola collezione: alcune t-shirt eco-friendly a tema vegano. Da allora ha iniziato a lavorare come illustratrice e grafica freelance collaborando con associazioni, festival e brand e creando loghi, brand identity, poster e merchandising per i loro progetti. È sempre stata una femminista e negli ultimi anni ha iniziato a incorporare nel suo lavoro il femminismo, la fat liberation e la body positivity. Nel 2018 ha co-fondato Belle di Faccia, un progetto e un’organizzazione di attivismo che mira a diffondere la consapevolezza sulla grassofobia in Italia. Haavorato per: iVegan, Cera una bolla, Viva! UK, Cairo editore, Kiabi, Rizzoli, Mondadori, Edizioni Tlon, Settenove edizioni, Audible e molti altri. Queeranta (BeccoGiallo), è la sua prima graphic novel.