Abbandonate le atmosfere urbane del primo volume, Frederik Peeters conduce il protagonista Verloc, assieme al fratello Conrad, su Ona(ji), il pianeta “infestato” da Aâma, un sistema informatico intelligente ormai privo di controllo.
Con questo ritorno alla fantascienza – dopo il bellissimo Lupus –, ancora una volta l’autore si conferma abile nel raccontare storie semplici e minimali, capaci di trasmettere ai lettori i più intimi stati d’animo dei personaggi, e di rendere appassionanti vicende quasi del tutto prive di azione o colpi di scena.
Il senso di oppressione che incombe sui protagonisti scaturisce non tanto dalla minaccia rappresentata dal pianeta ostile, quanto dalle tensioni psicologiche che interessano il gruppo e soprattutto il protagonista.
Interessante e ben gestito è l’espediente del diario tenuto da Verloc, che allarga i confini cronologici della storia (sviluppata su tre piani temporali diversi, ben armonizzati) e allo stesso tempo consente il passaggio a una narrazione in prima persona estremamente suggestiva.
Attraverso la lettura di queste pagine, il protagonista, vittima di amnesia, intraprende un percorso a ritroso dal carattere fortemente onirico, tanto da insinuare il dubbio che le creature mostruose che popolano il pianeta siano in realtà frutto della sua immaginazione e, in quanto tali, allegorie dei suoi demoni interiori. Infatti, nonostante i personaggi si muovano in uno scenario interplanetario, lo stile sottilmente claustrofobico della narrazione alimenta il sospetto che quanto leggiamo possa in realtà aver luogo in uno spazio angusto, come la psiche di una persona.
Dal punto di vista grafico l’uso del colore ha indotto Peeters a una diversa modulazione del tratto. Nelle precedenti opere in bianco e nero (i racconti apparsi in Italia su «Mondo Naif», Pillole Blu e il già citato Lupus) l’autore aveva adoperato uno stile fortemente espressivo, al limite del caricaturale, in cui abbondavano i neri e le pennellate ampie e vigorose.
In Aâma, invece, il tratto si affina e in qualche modo normalizza (ancor più che nel precedente Pachiderma, anch’esso a colori) e il ripasso a china delimita bordi chiari e nitidi, destinati a definire in maniera precisa gli spazi e le forme che andranno colorate.
Si tratta dunque di una rappresentazione più realistica, volutamente meno evocativa, che sembra imbrigliare il talento grafico dell’autore standardizzandolo, ma che allo stesso tempo, proprio grazie a un realismo quasi documentaristico, genera un interessante contrasto con quanto viene rappresentato (paesaggi alieni e creature che sembrano provenire dai quadri di Hieronymus Bosch) e il testo, ricco di divagazioni e voli pindarici, che accompagna le vignette.
La prosa con cui l’autore descrive le sensazioni e le percezioni di Verloc è curata e avvincente, il monologo interiore che Peeters fa recitare al suo protagonista dilata la narrazione senza rallentarla, e trascina il lettore nell’immaginario alieno in cui si muove il personaggio.
Aâma si colloca di diritto tra le opere letterarie che vanno a costituire i piccoli (o grandi) classici all’interno del genere di appartenenza, proprio perché ne superano i confini sollevandosi dall’impianto di base per arricchirsi di suggestioni e offrirsi a molteplici chiavi di lettura interpretative.
La creatività con cui Peeters tratteggia le esotiche e inquietanti forme aliene che popolano il pianeta soddisfa la parte più avventuriera e ludica del lettore, ma non esaurisce una vicenda che affronta anche il tema della paternità, dell’identità e del rapporto uomo/tecnologia.
Con questo secondo volume siamo a metà di un’opera che, se manterrà le aspettative generate, è destinata a restare come una delle migliori dell’autore e dell’intera annata.
Abbiamo parlato di:
Aâma #2 – La moltitudine invisibile
Frederik Peeters
Traduzione di Michele Foschini
Bao Publishing, 2015
88 pagine, brossurato, colori – € 14,00
ISBN: 9788865432518