La vita a fumetti: intervista a Simone Prisco

La vita a fumetti: intervista a Simone Prisco

Abbiamo intervistato Simone Prisco, fumettista napoletano che ha realizzato alcune graphic novel autobiografiche per Douglas Edizioni. Ci ha parlato dei suoi esordi, della sua tecnica e dei suoi fumetti, passati e futuri.

Simone Prisco, illustratore e fumettista partenopeo, ha iniziato a lavorare nel mondo del fumetto  nel 2014 e da allora ha realizzato per Douglas Edizioni tre graphic novel autobiografiche (Vita, Irene e Immortali) , una vera e propria “trilogia della vita”. Abbiamo parlato con lui dei suoi inizi, delle sue ispirazioni e delle sue aspirazioni.

Ciao Simone e grazie per il tuo tempo. Come prima cosa mi piacerebbe partire dai tuoi inizi, ovvero quando hai deciso di scrivere storie a fumetti?
Ciao Emilio, grazie a te e a Lo Spazio Bianco che ci ospita. Professionalmente parlando sono arrivato al fumetto molto tardi, per la precisione nel 2014, che è stato un anno particolare per me: prima di allora avevo solo collaborato alla realizzazione di albi o illustrazioni come colorista. Il come ci sono arrivato, poi, non è stato per nulla programmato: la mia prima storia in realtà doveva essere un ciclo di acqueforti, quelle che poi sono diventate le pagine dell’albo non erano altro che i bozzetti preparatori per quel ciclo. In quel periodo stavo lavorando alla colorazione di diversi albi per la Douglas Edizioni e decisi di fare qualche “esperimento” a colori sui miei disegni, vidi che il risultato mi piaceva e allora decisi di metterci anche un po’ di testo e così è nato il mio primo graphic novel. Anche se, ora che ci penso, ho un fumetto fatto a tredici anni sui Transformers.

Cosa leggevi da piccolo e cosa ti interessa di più adesso? Quali sono le principali influenze sul tuo lavoro?
Da adolescente leggevo prevalentemente Dylan Dog, in periferia arrivava ben poco, non c’era internet e le giornate passavano per strada o guardando i cartoni animati in tv. Oggi leggo ciò che mi colpisce al primo impatto, dai volumi di Dino Battaglia a quelli di Sergio Toppi, mi piacciono molto Igort, Gipi, ma anche Kent Williams, Dave McKean, o qualunque autore mi colpisca a primo impatto. Parlando di scrittori, Carver e Bukowsky me li rileggo di tanto in tanto, poi parallelamente seguo serie televisive o film che possono in qualche modo influenzare il mio lavoro, per esempio quando ero a lavoro su Immortali ho rivisto un po’ di cose in tv dai “Goonies” a “Stranger things” passando per “Stand by me” fino a rispolverare “La storia infinita”.

Nel tuo lavoro affronti spesso temi personali e autobiografiche. Quali sono i vantaggi e le difficoltà di affrontare queste tematiche?
Come vantaggio mi viene in mente che nessuno può controbattere a ciò che scrivo, è la mia vita e so io come è andata in una determinata situazione. Lo svantaggio è che metti in mostra la tua vita e i tuoi sentimenti, quello che hai provato o quello che provi per le persone che ti circondano e non lo racconti a un tuo amico o ad un confidente ma a persone sconosciute, a lettori che di te e della tua vita magari sanno poco o nulla. È un’arma a doppio taglio, ma fa parte del gioco.

La vita di tua nonna, il primo incontro con la tua compagna, l´adolescenza e la crescita: come mai hai scelto proprio queste tematiche nella tua “trilogia della vita”?
Quelli che ho raccontato sono tutti episodi che hanno segnato fortemente la mia crescita, mia nonna, i miei amici d’infanzia, che poi sono quelli che frequento ancora ora, e la mia fidanzata di quando avevo diciassette anni che ora è mia moglie. In fondo sono le cose che conosco meglio e forse per questo è nato in me il desiderio di raccontarle. Ti rubo la definizione “trilogia della vita”, magari ne faccio un cofanetto deluxe che ora va molto di moda.

Nei tuoi racconti è spesso presente il mare. Essendo partenopeo, immagino che tu abbia un rapporto molto speciale e personale con  questo ambiente.
In qualunque posto io vada, quando guardo l’orizzonte istintivamente il mio sguardo cerca sempre il mare, vivo in un paese circondato dal mare e quindi per me facile ambientare le mie storie in questi scorci.

Tutti e tre i tuoi fumetti sono stati pubblicati dalla piccola casa editrice Douglas Edizioni: cosa significa produrre per un editore di queste dimensioni in un mercato che non è mai stato cosí competitivo come oggi?
Oggi come oggi è difficile rimanere a galla con la mole di volumi che vengono sfornati annualmente da case editrici più grandi. Si fanno grossi sacrifici per partecipare a fiere, che in questo periodo sembrano nascere come funghi, e si hanno sempre meno possibilità di fare presentazioni in giro per l’Italia visto che le grosse librerie cercano di presentare il fuoriclasse più che un autore emergente. Questo è un peccato, perché ci sono molti autori veramente bravi che si mostrano poco in pubblico. Personalmente i miei lavori li faccio per la voglia di raccontare, non penso mai a quello che potrà vendere. Certo se vendessi di più sarei più contento, è inutile negarlo, ma fondamentalmente quello che mi piace della Douglas Edizioni è che è una casa editrice fatta tutta da autori, mossa esclusivamente dalla passione: quando io presento per la prima volta un mio volume, dall’altro lato del tavolo ho dei colleghi che lo guardano e non degli addetti ai lavori, e per me questo è un valore aggiunto.

La tua tecnica narrativa e pittorica è in continua evoluzione, come se cercassi sempre nuovi spunti e stimoli: quale è l´esigenza che ti spinge in questo continuo mutamento?
La curiosità! Sono una persona molto curiosa, sperimento molto. Con le tecniche digitali poi, si è sempre in continua evoluzione, non smetto mai di cercare un tratto particolare o una pastosità del colore. Quando mi arriva in mano un mio nuovo volume, l`attenzione si focalizza soltanto sugli errori: in questo sono molto critico, non c’è albo dove non cambierei la metà delle pagine e questo mi spinge a cercare sempre nuove soluzioni.

Parlando da un punto di vista tecnico, quali sono gli strumenti che prediligi? Sei più legato alle tecniche analogiche o ti avvali di molti strumenti digitali?
Io parto sempre da carta e matita, poi a seconda delle esigenze decido di portare avanti un lavoro in una maniera piuttosto che un’altra. Olio, acquerelli, pastelli e matite  sono ciò che uso di più, ma per questioni di tempistica lavoro molto in digitale con una semplice tavoletta grafica. Però la mia formazione classica mi impone una ricerca “dell’analogico” e questo, in fin dei conti, mi porta a perdere più tempo.

Chiudiamo con i tuoi piani per il futuro: ci sono già nuove storie che hai in mente di scrivere, o storie che ti piacerebbe realizzare insieme a qualcuno?
Ho una storia in cantiere che vede come protagonista la psicopatia di una ragazza, ma il bello di questa nuova storia è che è stata scritta tutta in una notte e quindi ha un ritmo molto incalzante e istintivo. A sei mani, invece, sto lavorando a Communion una storia di alieni sempre per Douglas Edizioni. In futuro mi piacerebbe confrontarmi con sceneggiatori che raccontano storie che al momento sono lontane da me, magari l’adattamento di un romanzo, uno storico, uno di fantascienza o perché no un numero speciale di Dylan Dog! Sai come si dice: il primo amore non si scorda mai.

Grazie Simone per il tuo tempo e in bocca al lupo per il tuo futuro.

Intervista realizzata via mail il 2 dicembre 2017

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