Usuthu: l’addio di Adam Wild (seconda parte)

Usuthu: l’addio di Adam Wild (seconda parte)

Adam Wild ha parlato di gabbie e del loro superamento. I conflitti degli antagonisti della serie e dell'esplorazione grafica della seconda stagione.

Nella prima parte di questo approfondimento abbiamo analizzato due gabbie del protagonista: il suo irrimediabile scontro con le regole imposte e l’involontario ostacolo costituito dalla cerchia degli alleati.

Gli Antagonisti e le gabbie già affrontate

Frankie Frost e Gertrude Winter sono essi stessi, come ovvio che sia nelle simmetrie del racconto, esempi del conflitto verso l’emancipazione, verso il raggiungimento della natura selvaggia. Anzi, diversamente da Adam, che non ha ancora raggiunto il suo obiettivo interno, rappresentano due casi di risoluzione del percorso.

Frankie Frost è un’anima nerissima, che non riesce, come il suo principale nemico, a scendere al minimo compromesso: non vuole mai farlo, e ciò porta a scene di una violenza inaudita, pura. Frost ammazza quando gli serve, e nel farlo non risparmia nessuno. Ha abbandonato la pietà perché ha deciso che l’intera umanità è la sua personale riserva di caccia, con particolare predilezione e spregio per la popolazione di colore, che l’educazione sudista gli ha insegnato a vedere come poco più di babbuini evoluti. La sua vittoria su qualsiasi regola imposta è già avvenuta da tempo. Questa sua natura adamantina e terribile lo rende un personaggio dotato di un suo fascino ipnotico, di cui siamo sempre curiosi di conoscere le reazioni, e al contempo ne fa una creatura un po’ troppo bidimensionale: avendo compiuto il suo viaggio, non c’è molto che possa ancora offrirci.

Gertrude Winter, invece, rappresenta l’opposto: nella retrospettiva de L’alba del novecento la vediamo insieme ad Adam, giovane e ribelle, pronta a prendere in mano l’avvenire proprio e della propria famiglia, decisa a scegliersi come compagno il figlio dello stalliere, contro le convenzioni che dovrebbe seguire.
Nel presente, invece, il suo ruolo di agente segreto appare ben inserito nell’establishment, al di là di una certa libertà di movimento, e di conseguenza la gabbia per lei si è irrimediabilmente chiusa, come non manca di farle notare lo stesso Adam. La sfida è stata persa. Per Gertrude l’attrazione nei confronti non solo dell’esploratore, ma anche della sua etica di vita, alla quale ha in parte voluto, in parte dovuto rinunciare, si traduce in un bel conflitto interno che spiega bene la sua aggressività, ma anche e soprattutto gli apparentemente estremi commiati con Wild, che la vedono gridare o in lacrime, quando realizza, ogni volta, di non essere riuscita a portare verso di sé l’uomo da cui è evidentemente ossessionata. E di non essersi potuta emancipare come avrebbe voluto e come lui sta facendo.

In questo quadro appare chiaro come presupposti simili per i due personaggi portano a due gestioni diverse, e la figura della donna appare, oltre che più funzionale nell’economia della serie, anche meglio delineata e più tridimensionale, confermando la buona impressione della prima stagione.

La gabbia grafica

È un dato ormai assodato dai primi dodici numeri: Adam Wild esplora in campo grafico. Manfredi ha cercato volti nuovi e non ha voluto uno stile uniforme, preferendo fornirci interpretazioni anche molto diverse dell’esploratore scozzese e del suo mondo.

Fra gli artisti già sperimentati, vale la pena partire dalla prova maiuscola di Antonio Lucchi, che ne La medusa immortale, oltre a presentarci il consueto, elevatissimo livello di dettaglio e l’ottima organizzazione delle tavole cui siamo stati già abituati al suo esordio, si spinge a rompere la griglia bonelliana in una sequenza di splash page da incorniciare.

Paolo Raffaelli, che è arrivato a firmare tre numeri della serie, in Uomini e cinghiali adatta la sua economia di linee, i suoi neri mangiati dalla luce e la sua “griglia espansa” a un’avventura nella campagna inglese, con un ottimo risultato, più convincente del meno ispirato L’arca.

Massimo Cipriani, ne La corsa degli struzzi e ne La scelta sbagliata, conferma l’impressione di ordine e chiarezza compositiva di Giovani leoni, con un buon equilibrio fra bianchi e neri e giusto qualche problema nelle anatomie.
Problemi analoghi mostra Matteo Bussola in Alla ricerca di Odwina, dove per 83 pagine guadagna il ruolo di disegnatore completo, dopo esser stato responsabile delle sole chine in coppia con Damian Stanich ne I demoni del Kilimanjaro. Il suo tratto sottile e particolareggiato e la buona recitazione dei volti regalano comunque pagine piacevoli.

Vladimir “Laci” Krstic, responsabile del bel volume conclusivo, Addio alle armi, ci ripropone le sue fisionomie dinoccolate dai contorni decisi e le ombre nerissime che invadono le scene in notturna. Il suo secondo lavoro nella testata è notevole, come il primo. Con un’impostazione simile nell’equilibrio fra bianchi e neri, ma una peculiare alternanza fra tratteggio sottile e chine dense, Stevan Subic, come Laci alla seconda prova per il mensile, affronta in Colenso un difficile contesto di battaglia, schierando nugoli di uomini per i due eserciti opposti, senza mai rinunciare ai particolari, per tavole spesso strutturalmente complesse, con un frequente ed efficace utilizzo di più piani prospettici. La sua caratteristica distorsione delle figure, che appaiono spesso “allungate nel verso del movimento”, rende particolarmente dinamiche le sequenze d’azione.

Ottime le prove anche delle nuove leve (almeno in Bonelli).
Pedro Mauro, impegnato nella doppia fatica di Laos e La suprema catastrofe, ci propone un’impostazione volumetrica fortemente basata sul tratteggio, che per i neri delle ombre più cupe ha un movimento interno che ricorda Raffaelli, mentre per i particolari, i visi e gli ambienti si fa programmaticamente poco densa e si stacca pertanto in modo netto rispetto all’approccio visivo del resto della serie.

Il tratto minuzioso di Sinisa Radovic impreziosisce le pagine di L’alba del novecento, con abbondante uso di neri (specie nelle tavole che riguardano il passato, dove le ombre si espandono a coprire le fisionomie) e chine compatte, decise, non spennellate. Se si può muovergli una critica: una certa tendenza a mettere in posa i personaggi, nonché un lieve ingrandimento dei volti rispetto ai corpi, che sembra rispondere a una necessità di chiarezza  narrativa a volte un po’ eccessiva.

L’approccio decisamente pastoso a corpi e ambientazioni, che sembrano uscire, tridimensionali, dallo spazio bianco delle tavole, unito con un livello di dettaglio notevole e con primi piani molto efficaci, rende la prova di Ibraim Mendes Roberson in Zulu una delle esperienze da segnalare della stagione.

Insomma: il lavoro da curatore di Manfredi ci ha regalato una carrellata di talenti che hanno reso questa seconda stagione molto interessante dal punto di vista grafico.

Conclusione: Usuthu

Di gabbie e del loro superamento.
C’è voluto forse troppo perché Adam Wild ingranasse, ma l’ultima serie di Gianfranco Manfredi ha saputo superare quell’auto inflitto slogan di ritorno a una narrazione bonelliana classica. Per proporci un eroe che parte da elementi tradizionali per arrivare a un conflitto interessante e moderno, non legato all’avventura in senso stretto, ma connotato politicamente. La gabbia di Adam è la gabbia di un mondo che si suddivide sempre in oppressi ed oppressori, un principio applicato all’ottocento, ma che si specchia bene alla realtà attuale.

La conclusione del percorso dell’esploratore scozzese è coerente con il viaggio, quindi narrativamente necessaria. E consente di conseguenza una chiusura compiuta, nonostante lasci, inevitabilmente, delle trame irrisolte, come il filone “magico” costituito dalla spedizione verso Odwina, o curiosità: su quello che farà il ribelle Adam, su come potranno evolversi i suoi comprimari, rapiti dal suo sogno, ma non estremi quanto lui. Ma sono inconvenienti forse inevitabili, che non tolgono molto alla bellezza dell’esperienza complessiva.

Abbiamo parlato di:
Adam Wild #15-26
Gianfranco Manfredi, Darko Perovic, Paolo Raffaelli, Pedro Mauro, Massimo Cipriani, Matteo Bussola, Antonio Lucchi, Ibraim Roberson, Stevan Subic, Sinisa Radovic, Gabriele Parma, Laci
Sergio Bonelli Editore, ottobre 2015, novembre 2016
ogni volume: 96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,30 €

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