Una dolce nostalgia: gli anni ’80 nella Taiwan di Sean Cheung

Una dolce nostalgia: gli anni ’80 nella Taiwan di Sean Cheung

Add Editore porta in Italia per la prima volta l’opera di Sean Cheung, illustratore, animatore e fumettista Taiwanese. Un racconto autobiografico ad episodi che racconta con delicatezza, nostalgia e divertimento un’epoca di piccoli e grandi cambiamenti che accomunano il mondo intero.

Gli anni ’80 hanno rappresentato in ogni parte del mondo un’epoca importante, con l’inizio del fenomeno che avrebbe portato alla globalizzazione come la conosciamo oggi e con grandi cambiamenti di usi e costumi. La presidenza Reagan e la caduta del comunismo, lo scandalo della Loggia P2 e la fine della dittatura in Argentina. Il boom dei film d’azione statunitensi e delle avventure (horror o meno) con protagonisti ragazzi adolescenti, il synthpop e la New Wave, i robottoni giapponesi, i Master of the Universe e le spalline imbottite. Giusto per fare alcuni esempi.

Ancora oggi l’onda lunga di quegli anni investe la nostra cultura, a volte come riflessione critico-storiografica di quel periodo, molto più spesso come operazione nostalgia, si pensi allo sbocciare di opere come Stranger Things e simili, oppure di remake di film come La Cosa di John Carpenter e Predator.

In questo contesto di ricordo, nostalgico e realistico al tempo stesso, merita una menzione particolare I miei anni ’80 a Taiwan, terza opera del fumettista e regista Sean Chuang (qui la nostra intervista), primo volume di un dittico pubblicato originariamente nel 2013 per la casa editrice taiwanese Dala Publishing Company e portato adesso in Italia da Add Editore. Se per il mondo intero quegli anni segnano un profondo cambiamento, per Taiwan rappresentano uno spartiacque, con la fine della legge marziale e la penetrazione della cultura giapponese e occidentale che mutano drasticamente la cultura dell’isola.

Attraverso 12 episodi autobiografici, Chuang è capace di dipingere un affresco delicato della sua infanzia e adolescenza, creando un’opera che è al tempo stessa intima ed universale, stratificata su più livelli.

La prospettiva di Chuang non è politica né storiografica, come nel caso di Una vita cinese, in cui Lu Kunwu ricostruisce la storia della Cina attraverso i propri ricordi, o del raffinatissimo L’arte di Charlie Chan Hock Chye, opera di fantasia con cui Sonny Liew racconta contemporaneamente la Storia e la storia del fumetto a Singapore.
Al contrario, l’approccio di Chuang è più semplice e mira prima di tutto a narrare i “suoi” anni ’80, quelli delle corse spericolate in motorino, quelli di Bruce Lee e dei Robot di Go Nagai, della Breakdance, di MTV e dello studio dai risultati altalenanti.

L’autore racconta quegli anni in maniera delicata e autentica, con una vena di nostalgia che non diventa mai ingenuità o apologia dei bei tempi andati, ma resta ricordo prezioso da conservare, condito da episodi divertenti ed emotivamente coinvolgenti. L’alternanza di questi registri si trova sia nella prosa, che alterna momenti più didascalici e quasi documentaristici ad altri più poetici e intimi, che, soprattutto, nel disegno.

L’uso del bianco e nero viene impreziosito da un tratteggio a trame larghe che definisce i corpi e le ambientazioni in maniera dettagliata e luminosa. Il disegno oscilla tra fotorealismo, usato per rappresentare eventi storici, oggetti e personaggi fondamentali, come i robot e gli attori (come il mito Bruce Lee), e uno stile più sintetico ma fortemente espressivo, efficace nelcreare un tono scherzoso, divertente e divertito nei momenti più spassosi.

Anche le anatomie e la costruzione della tavola vengono costantemente mutate e deformate per esprimere al massimo le emozioni dell’autore: le linee di velocità durante le corse a perdifiato trasformano lo spazio circostante, il terrore provocato dalla reazione violenta di un contadino vittima di continui scherzi distruggono l’ordine narrativo, l’ansia degli esami e l’affollamento delle scuole riempiono e alterano lo spazio di una vignetta, creando sensazioni di claustrofobia. Sia nelle parti più efficaci, così come in quelle meno convincenti (laddove il tratto diventa più incerto e meno dettagliato), si vedono comunque le grandi influenze non solo del fumetto giapponese, ma anche l’insegnamento di fumetti europei, che creano uno stile personale e non derivativo.

Nonostante questi elementi di forte personalizzazione, il merito maggiore di Chuang sta nel trasformare le esperienze personali e le tragicomiche avventure di un giovane ragazzo taiwanese nello specchio stesso della sua società. Una società che attraversa cambiamenti epocali, un’intera generazione a metà strada tra tradizione e innovazione, tra villaggio e città, che vive la scissione tra grandi opportunità e grande smarrimento, fino alla presa di coscienza che tante di quelle promesse sono state frustrate da un presente sempre più frenetico e basato sul consumo.

Al tempo stesso, gli episodi raccontati nel volume creano un collegamento ancora più ampio, quello tra Taiwan e il resto del mondo, tra Occidente e Oriente: ed è così che un lettore del Vecchio Continente ritrova inaspettatamente le stesse basi di cultura pop, gli stessi modelli, le stesse esperienze. Due mondi in apparenza così lontani e così vicini, accomunati da più cose di quanto si tenda a pensare.

Ed è forse proprio questo l’obiettivo di Add Editore, casa editrice che si sta concentrando sul fumetto asiatico meno mainstream, un lavoro lodevole che propone al pubblico italiano opere di grande valore artistico e soprattutto culturale, aprendo una finestra su un mondo poco conosciuto ai più. E il fumetto di Sean Chuang non poteva che far parte di questa operazione.

Abbiamo parlato di:
I miei anni ’80 a Taiwan
Sean Chuang
Traduzione di Martina Renata Prosperi
Add Editore – ottobre 2018
192 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788867832088

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