Jeff Lemire, nel commento in coda al primo numero di Royal City, pubblicato da Image Comics a marzo del 2017, scriveva che vedeva questa sua nuova serie quasi come un luogo dove avrebbe potuto ritornare in punti diversi della propria carriera, per raccontare nuove storie.
A circa un anno e mezzo da quell’esordio, Lemire ha sentito di avere trovato il finale giusto per il suo racconto e ha deciso di concludere la narrazione delle vicende della famiglia Pike con il quattordicesimo albo della serie, contenuto insieme ai tre precedenti numeri in questo terzo volume tradotto da Bao Publishing per il mercato italiano.
Recensendo il volume precedente di Royal City, chi scrive aveva trovato nella scelta di Lemire di serializzare in albi, cadenzati più o meno mensilmente, un tipico contenuto narrativo da graphic novel, uno dei valori dell’opera che evidenziava una volta di più la continua ricerca ed esplorazione del linguaggio del fumetto, anche quello più mainstream, da parte dell’autore canadese.
Lo slice of life della famiglia Pike raccontato è, a tutti gli effetti, una vera e propria graphic novel, una storia il cui finale conclude compiutamente la trama imbastita da Lemire fin dal primo numero.
In questi quattro albi finali viene mostrato, da un lato, il compimento della tragica parabola esistenziale di Tommy Pike – alter ego dell’autore e guida virgiliana per i lettori attraverso le disfunzioni e i rapporti della propria famiglia – che è stato anche motore narrativo portante di tutto il racconto. Dall’altro, assistiamo anche allo scioglimento del nodo di dolore, incomprensioni e risentimenti che quel lutto ha inflitto per i successivi venticinque anni ai genitori e ai fratelli di Tommy, di fatto segnandone le esistenze colme di tradimenti e insuccessi.
Lemire continua ad ammantare la propria narrazione con una sorta di realismo fantastico, che inserisce elementi magici (come i fantasmi in cui si incarna Tommy) all’interno di un contesto altrimenti assolutamente realistico qual è quello della città di Royal City. Altri aspetti rafforzano la vicinanza di quest’opera alla corrente resa famosa da autori come Gabriel García Márquez nel suo Cent’anni di solitudine, a cominciare dal comportamento stesso dei membri della famiglia, che accettano la presenza del fantasma di Tommy senza mai metterla in questione.
Al contempo, l’epilogo di Royal City si staglia come l’ennesima affermazione della personale poetica lemiriana, presente in modo più o meno consistente in ogni sua opera, a partire dalla seminale Essex County: la famiglia, per quanto problematica e disfunzionale, è il nucleo fondativo e necessario della vita di ogni individuo. Il finale della storia, a questa affermazione, aggiunge un corollario non meno importante per l’autore: una famiglia deve saper accettare ognuno dei membri con i suoi difetti e debolezze, consapevole del fatto che difficilmente potrà cambiare il suo carattere e sopperire a quelle mancanze; allo stesso tempo, la famiglia deve impegnarsi a fondo affinché tutti i membri possano intraprendere un percorso di crescita che li renda migliori. E, alla base di tutto questo, c’è la presenza dell’amore, incondizionato, che salda i legami familiari, nonostante i rancori, gli sbagli e le diversità di opinioni e di scelte.
Nei disegni continua la grande attenzione rivolta agli sguardi dei protagonisti, spesso inquadrati in primi e primissimi piani, anche nelle sequenze di dialogo. Occhi come specchio dei sentimenti di ognuno, i cui sguardi permettono una relazione non meno delle parole.
Aumenta in questi ultimi quattro numeri anche il numero delle splash page, oniriche, spesso mute, surreali, che marcano soprattutto le tappe finali dell’esistenza terrena di Tommy e attraverso le quali Lemire, col suo segno sghembo, sgraziato e immediato riesce a trasmettere il dramma, l’angoscia e la solitudine che strappano a un adolescente il suo futuro.
L’albo finale, l’epilogo, ritrova invece una calma narrativa anche nella griglia delle pagine, più regolare, che invita a un ritmo di lettura più pacato, più attento, senza rinunciare all’inquadrature dei volti di ciascuno dei protagonisti, segnati nei loro tratti dai drammi che hanno subito come da quelli che si sono inflitti o hanno inflitto ad altri.
Arrivati alla conclusione, la prima impressione è quella di avere letto una bella storia, a prima vista semplice. Se però ci si ferma a riflettere un attimo, si guarda indietro alla costruzione circolare dei tre archi narrativi che l’hanno segnata (uno per ogni volume) che si riflette nella più ampia circolarità dell’intera vicenda, possiamo intuire la complessità dell’intero affresco e del lavoro compiuto dall’autore. Lemire è riuscito a sviluppare un racconto facile da seguire, ma che racchiude al suo interno ragionamenti e significati profondi: ha regalato ai lettori una forma semplice che veicola riflessioni importanti.
Lasciamo Royal City e i Pike alla fine di un percorso di esistenza che ne sta per aprire un altro, sconosciuto per ognuno dei membri della famiglia. Perché, come dice, il fratello scrittore di Tommy: “Questa è la particolarità del passato. È passato. Solo perché ci ha formati, non vuol dire che ci formerà per sempre.”
Abbiamo parlato di:
Royal City Vol #3
Jeff Lemire
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2019
120 pagine, cartonato, a colori – 18,00 €
ISBN: 9788832732047