Gioventù sonora a Royal City: i ’90 di Jeff Lemire

Gioventù sonora a Royal City: i ’90 di Jeff Lemire

Nel secondo volume di Royal City, Jeff Lemire fa compiere ai suoi personaggi un balzo indietro di venticinque anni, per farci conoscere la “sonic youth” dei suoi protagonisti e farci vivere in prima persona gli ultimi giorni di vita di Tommy Pike.

Nel secondo volume di Royal City – “esperimento” con il quale Jeff Lemire ha provato a dare un connotato seriale a un contenuto narrativo tipico del formato graphic novel – i lettori vengono trasportati nuovamente nell’immaginaria cittadina canadese luogo delle vicissitudini della famiglia Pike.
Tuttavia, rispetto al quinto numero della serie Image Comics con il quale si chiudeva il primo volume edito da Bao Publishing, il sesto che apre questa seconda raccolta ci fa compiere un salto temporale all’indietro di venticinque anni, riportando la vicenda al 1993 nell’ultima settimana di vita di Tommy, il più piccolo dei fratelli Pike, finora conosciuto esclusivamente come un fantasma.

Sonic Youth, questo il titolo scelto da Lemire per il secondo arco narrativo di Royal City, incarna nelle pagine della storia un doppio significato. Da un lato ci rimanda immediatamente al periodo storico nel quale si svolge la vicenda, quei primi anni ’90 che videro la proliferazione del fenomeno musicale del grunge che tanto deve in termini di influenza proprio al gruppo musicale dei Sonic Youth.

Dall’altro segnala l’importanza della musica sia per Tommy Pike in quegli ultimi giorni della sua esistenza, sia per lo stesso Lemire, che nell’ultimo decennio del XX secolo era un adolescente solitario affetto da grandi emicranie proprio come il suo personaggio, e come lui si rifugiava nella musica.
L’aspetto musicale è stato fondamentale nella genesi dei vari episodi della serie, come ribadito dall’autore canadese in coda a ogni albo, in una sorta di commento a quanto avvenuto nelle pagine della storia in cui forniva sempre una playlist di Spotify con la quale accompagnare la lettura.

Lemire, pur creando una cesura dettata dal salto temporale – che lascia in stand by sia le vicende che si sviluppano nel presente del racconto sia i lettori in attesa dello scioglimento del colpo di scena con cui si chiudeva il primo volume –, mette comunque in atto una continuità narrativa che ha in Tommy Pike il fulcro dell’intero sviluppo.

Nei primi cinque episodi, i membri superstiti della famiglia Pike erano stati definiti e caratterizzati dall’autore proprio in rapporto alla figura del fantasma di Tommy, che a tutti appariva con un’età diversa, legandosi proprio ad aspettative, rimpianti e desideri  di ognuno. In questo nuovo arco narrativo, Tommy continua a essere la cartina tornasole dell’intera famiglia Pike e, in ognuno degli episodi del volume, racconta in prima persona il rapporto con ciascuno dei tre fratelli maggiori e con i genitori.

Così facendo, Lemire aggiunge tasselli psicologici a tutti i suoi personaggi, ampliando anche l’orizzonte narrativo della storia. Alla fine della prima raccolta, l’idea che passava era quella del racconto di una famiglia disfunzionale all’ombra di una piccola comunità nordamericana vessata dalla crisi economica, con i figli ormai quarantenni ognuno alle prese con fallimenti personali, al pari dei genitori il cui presente era un eterno rimpianto di quanto avrebbe potuto essere e non era stato.

Questo nuovo arco narrativo ci fa capire che l’intento dell’autore non era quello di raccontarci la crisi dei quarant’anni dei suoi personaggi – o almeno non solo – bensì di creare una piccola saga familiare contemporanea e dirci che i destini di ogni componente dei Pike hanno radici, come spesso avviene, proprio negli anni dell’adolescenza.

In tutto questo, la figura di Tommy – alter ego di Lemire, che riversa nel suo personaggio principale svariati aspetti autobiografici – svolge un ruolo virgiliano per il lettore. È grazie al defunto adolescente che riusciamo a definire i contorni caratteriali degli altri membri della famiglia, a porci in relazione diretta con ognuno di loro, poiché proprio Tommy è il punto di riferimento per ciascuno, l’elemento familiare con cui tutti riuscivano a entrare in contatto, laddove invece i rapporti che non facevano capo a lui erano assenti. Da questo quadro, l’unico a tirarsi fuori è il capofamiglia Pike – in coma a causa di un ictus nel primo arco narrativo e motore primo dell’inizio delle vicende di Royal City – e personaggio che apparentemente resta sullo sfondo, in attesa di un risvolto narrativo qui appena accennato che lo metterà sotto i riflettori nei quattro numeri conclusivi della serie.

Questo secondo volume di Royal City non si conclude con la tragica chiusura già nota della vicenda di Tommy, bensì il fumettista canadese opta per un finale simmetrico e circolare rispetto a quello del primo volume, che i lettori più attenti sapranno cogliere.

I disegni di Lemire confermano il grande coinvolgimento emotivo da lui dichiarato nella realizzazione di questa serie. Il segno sporco, nervoso e veloce tipico del suo stile qui si accompagna ad altrettanto immediate pennellate di acquerello, anch’esse atte a trasmettere un senso di immediatezza e quasi di frenesia nella realizzazione delle tavole sotto la spinta emotiva della vicenda raccontata.
A ben osservare i disegni però, il senso di velocità di esecuzione che essi danno al primo impatto si stempera in un attento e preciso studio delle inquadrature scelte.

Abbondano i primi piani e i tagli sugli occhi e gli sguardi dei personaggi; la composizione delle singole vignette così come delle pagine mira a trasmettere al lettore i risvolti psicologici dei protagonisti che animano la storia, in un rimando continuo e biunivoco tra dialoghi, sguardi ed espressioni facciali. Questa, che per alcuni potrebbe sembrare una soluzione di comodo per un autore non esattamente tra i più dotati quanto a tecnica pura e la cui forza risiede nella poetica e nelle storie che racconta, è invece una scelta precisa.
In Royal City Lemire dimostra di sapere creare layout molto interessanti delle tavole, a prescindere dal suo stile di disegno. Gli sguardi, i volti nei suoi fumetti sono sempre importanti (come avevamo evidenziato parlando del numero di esordio), tant’è che anche in Black Hammer, per fare l’esempio di una serie nella quale è solo sceneggiatore, molte pagine giocano con vignette dove primi piani e sguardi diventano centrali per la narrazione.

Anche il taglio onirico delle pagine dedicate all’approfondimento della personalità di Tommy ha l’effetto immediato di trasmettere il senso di estraneità del ragazzo rispetto al mondo che lo circonda e i suoi coetanei, il suo stato di costante solitudine. Gli elementi caratteriali che sono tipici dell’età adolescenziale nelle tavole di Lemire si ammantano dell’ombra di un destino tragico, nell’ipotesi di una malattia non confermata e si compongono in vignette – spesso intere splash page – dove il mondo si sfalda intorno a Tommy, lasciandolo solo anche all’interno della pagina.

Royal City – Sonic Youth conferma ancora una volta Jeff Lemire quale cantore contemporaneo a fumetti delle dinamiche familiari, della quotidianità assurta a singolarità, delle vicende che dal particolare di un’ambientazione periferica e nordamericana muovono verso il generale della contemporanea civiltà occidentale.
La scelta di raccontare tutto ciò in forma serializzata, in albi cadenzati mensilmente, dimostra da un lato l’amore dell’autore canadese per il tipico formato dei comics americani e dall’altro la sua continua ricerca ed esplorazione del linguaggio del fumetto, anche quello più mainstream.

Abbiamo parlato di:
Royal City #2 – Sonic Youth
Jeff Lemire
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2018
136 pagine, cartonato, a colori – 18,00 €
ISBN: 9788832730944

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