Royal City di Jeff Lemire: raccontare attraverso i volti

Royal City di Jeff Lemire: raccontare attraverso i volti

Emozioni, speranze, delusioni, frustrazioni: Jeff Lemire racconta il presente carico di tensioni di Royal City attraverso i volti dei suoi abitanti.

Jeff Lemire è una figura peculiare nell’odierno panorama fumettistico nord americano. È uno dei pochi autori capace di saltare da un genere all’altro, a suo agio nello scrivere di supereroi mainstream – come vari personaggi Marvel, DC Comics e Valiant che ha curato in questi anni -, di personaggi tangenti a quegli universi supereroistici – come Animal Man e la serie della Vertigo Sweeth Tooth -, e nel realizzare epopee fantascientifiche come quella di Descender. Tutto ciò senza mai tradire la sua origine di autore indie canadese che si era concretata nell’opera che lo aveva fatto conoscere al grande pubblico, Essex County.
Proprio alle atmosfere emozionali e alle dinamiche narrative presenti nel suo primo lavoro Lemire sembra volere ritornare nel suo nuovo progetto seriale per la Image Comics, Royal City.

Storia di una città

Royal City è una città (sicuramente ubicata nel nord America, probabilmente in Canada, presumibilmente in Ontario) che vive un lungo declino, che pare inarrestabile: sfidare questo declino sembra implicare una rottura con il passato. La città è oggi un dinosauro industriale: si impoverisce ogni giorno, i posti di lavoro diminuiscono, senza che sia in vista una qualsiasi politica di riconversione.
È chiaro che a medio termine, senza cambiamenti, la città è destinata a sparire. Ma che cosa fare quando il cambiamento proposto implica l’abbandono di tutto ciò che è rimasto? Che fine faranno i 1400 operai superstiti e le loro famiglie?
Sono queste domande a cui Lemire sembra volere provare a rispondere con questo suo nuovo progetto seriale.

Lascia che a raccontare siano un volto, uno sguardo…

Partiamo dai volti. L’impatto del primo numero della serie è tutto lì, nei volti dei personaggi scavati dall’esistenza, segnati dall’accumulo di  emozioni, delusioni, speranze tradite; dalla lotta contro il tempo, contro l’idea che gli altri hanno di ciascuno; dalla fatica di immaginare la propria vita, dal bisogno di una vita diversa, di fuggire, di cambiare.
La tensione emotiva è intensa ma repressa: la composizione delle immagini nelle tavole è invariabilmente statica, non c’è dinamismo che possa offrire sfogo, anche parziale, a quell’energia sottesa. Tutto si accumula dentro i personaggi, così che nello spazio di poche pagine siamo già consapevoli del carico critico di disagio che hanno accumulato lungo la loro vita.

Il segno di Lemire è spezzato, i contorni non si chiudono; tracce rosse tagliano i visi e testimoniano quante traversie e sconfitte ogni personaggio abbia subito. I colori sono lividi e creano una dominante emotiva di depressione, rabbia compressa ed energia vitale degradata. Sono tonalità cromatiche da “interni”, come se tutta la vicenda si svolgesse in uno spazio chiuso: l’effetto è un senso di oppressione, di  claustrofobia, con il cielo e i confini degli ambienti che sembrano schiacciare i personaggi. E soffocamento: le figure riempiono le vignette, lo spazio fisico è saturo di corpi, così come quello emozionale è saturo delle emozioni trasmesse: non ci sono modulazioni, non ci sono pause in questa intensità e per questo o  si abbandona la lettura (per dissonanza patetica, per stanchezza) o la si termina esausti.

Realismo magico alla canadese

Questa definizione dei personaggi e degli spazi costruisce un particolare stato di realtà, determinato dalla tensione fra elementi di verosimiglianza e di narrazione: i primi servono ad agganciare e coinvolgere il lettore, i secondi a suscitare distacco. In un tipico modus operandi dell’autore, ci troviamo quindi ad attraversare/seguire la vicenda con due sistemi di riferimento dissonanti, l’uno “realistico” e l’altro “finzionale”: la risultante è un senso di straniamento, di disorientamento, del quale Lemire approfitta per inserire elementi esplicitamente non realistici.

La sensazione è che questo approccio derivi dal voler affrontare i temi sollevati liberandosi dai vincoli del senso comune, che la ricerca di verosimiglianza porta inevitabilmente con sé. L’aspettativa quindi è che il fantastico non sia una via d’uscita per sciogliere qualche whodunit o per qualche suggestione a basso costo, ma un punto di vista sulle cose, che ne riveli aspetti non ordinari. In ciò, questo primo numero della nuova serie sembrerebbe riverberare molto una delle caratteristiche fondamentali di Essex County, dove reale e fantastico sfumavano l’uno nell’altro.

Se tutto questo passa direttamente attraverso segno, colore e composizione delle figure, la lettura rende ancora più amaro lo scenario umano: caratteristica dominante delle vicende dei personaggi è il tentativo di uscire dall’immagine di sé desiderata dagli altri. È prima una fuga da una prigione che una ricerca del sé autentico. Fuga dalle scadenze, fuga dalle responsabilità, fuga dai piani e desideri materni, fuga dalle relazioni familiari.

Anche i legami costruiti nel tempo sembrano diventati vincoli, che non solo impediscono di crescere, ma sembrano incapaci di evolvere, attaccati al passato. Quello aureo di Royal City, città che crebbe e si arricchì sull’industria siderurgica e che è più di uno scenario alle vicende, ma la fonte di tutte le tensioni narrative messe in scena da Lemire, che sono tensioni fra chi guarda al passato e chi vuole distaccarsene. Raccontate attraverso l’assenza di lunghi dialoghi o con molte parole attraverso l’assenza di interlocutori per i personaggi.

Lo stesso autore canadese lo ammette nella postfazione a questo primo numero: con Royal City si ritorna nei pressi dell’Essex County da lui (re)immaginato. La sfida sarà farlo mese dopo mese.

Abbiamo parlato di:
Royal City #1
Jeff Lemire
Image Comics, marzo 2017
52 pagine, spillato, colori, 4,49 $ (edizione digitale)

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