Raymond Carver, rinascita e catarsi: intervista a Valentina Grande e Valerio Pastore

Raymond Carver, rinascita e catarsi: intervista a Valentina Grande e Valerio Pastore

Abbiamo conversato con Valentina Grande e Valerio Pastore, soggettista e disegnatore dell'ultima biografia a fumetti targata BeccoGiallo: un racconto sul perdersi e ritrovarsi, sul come abbattere i propri demoni e diventare, finalmente, ciò che si è destinati a essere.

Raymond Carver (Clatskanie, 1938 – Port Angeles, 1988) è stato uno dei più importanti autori del Novecento statunitense. Nato da una famiglia umile, fin da ragazzo ha avvertito un senso di diversità e inadeguatezza rispetto ai suoi coetanei, sviluppando una passione viscerale per la narrativa. Un’esistenza, la sua, segnata dall’alcolismo e da gravi difficoltà economiche, problematiche destinate a influenzare pesantemente anche la successiva produzione artistica. Noto per l’essenzialità espressiva, filtrata da una prosa attenta, precisa e misurata, Carver è considerato uno dei padri del minimalismo.
Il volume Raymond Carver – Una Storia, edito da BeccoGiallo e presentato in anteprima al Comicon 2019, si focalizza su una fase molto importante nella vita dell’autore. È il 1977 e “Ray” ha 39 anni quando, per l’ennesima volta, deve fare i conti con il proprio passato e affrontare la più grande delle sfide: smettere di bere e diventare uno scrittore professionista.

Intervista a Valentina Grande

Valentina Grande, soggettista e sceneggiatrice.

A firmare soggetto e sceneggiatura è Valentina Grande. Docente, autrice e conduttrice radiofonica per Radio Onda d’Urto, Radio Città Fujiko e Radio Kairos, nel 2017 fa il suo esordio nel mondo del fumetto con Il mio Salinger, scritto per BeccoGiallo e pubblicato in Francia dalle Edizioni Steinkis. Le abbiamo rivolto alcune domande riguardo la sua esperienza con Carver e il fumetto biografico.

La tua tesi di laurea in Lettere Moderne creava una relazione tra Edward Hopper, il grande pittore dell’american life, e lo stesso Raymond Carver, un lavoro in grado di analizzare, confrontare e sviscerare l’essenza artistica di due delle personalità più affascinanti, oltre che influenti, del XX secolo. Appare evidente, dunque, come l’interesse per lo scrittore e poeta originario dell’Oregon nasca da lontano. Raccontaci il primo incontro.
Ho scoperto Carver quasi vent’anni fa, leggendo una nota critica di Fernanda Pivano sulla letteratura statunitense. Tra i tanti nomi da lei citati mi colpì Carver per il titolo della sua più celebre raccolta di racconti: Vuoi star zitta, per favore?. Trovai il volume in libreria, appena ristampato dalla Minimum Fax, e lo divorai. Per tematiche, atmosfere e senso di attesa, il collegamento con le tele di Hopper nacque spontaneo e immediato. Quando scrissi la tesi di laurea, tuttavia, questa associazione non era poi così diffusa, fatta eccezione per una piccola pubblicazione universitaria.

Quello illustrato è un periodo estremamente complesso per lo scrittore, segnato da depressione, continue crisi di astinenza e rancori autodistruttivi, esperienze che lo avvicinano più volte a un baratro senza ritorno. Nel raccontare una vicenda così personale e densa di emozioni hai mai avvertito un senso di pudore o disagio, il timore di violare l’intimità fisica e psicologica dell’uomo Carver?
Gli episodi riportati nelle mie sceneggiature si basano, anche nel caso di Salinger, su biografie pubblicate e tradotte in molte nazioni. Non ho rivelato nulla che non fosse già consultabile. Premesso questo, ti ringrazio per la domanda poiché, non di rado, mi sono ritrovata a operare dei tagli, chiedendomi se la mia scelta costituisse una sorta di censura o un modo per non violare uno spazio intimo, qualcosa che ritenevo non opportuno mostrare. Alla fine ho scelto di eliminare tutto ciò che non era indispensabile per comprendere la vicenda umana in esame, quegli aspetti morbosi che, dopotutto, è possibile ricercare altrove. La storia non intende esprimere un giudizio, né mettere il lettore nella condizione di farlo. È una vita, come le nostre, piena di sbagli e sensi di colpa, ma contraddistinta da una profonda forza interiore.

Nella primavera del 1977, afflitto da debiti, alcol e drammi familiari, Carver si sposta nella piccola McKinleyville, California, vicino all’oceano e ai boschi. È il primo passo verso la rinascita.

L’alcol può essere considerato un vero e proprio personaggio, una sorta di diavolo tentatore che aleggia durante l’intero corso della narrazione. Come descriveresti il suo rapporto con Carver?
Carver non accettava la sobrietà poiché tramite essa realizzava ciò che aveva fatto e soprattutto perso, a partire dal tempo. Non è necessario essere alcolisti per comprenderlo. A volte ci si abitua alla tristezza di sé stessi: se qualcosa migliorasse ci cadrebbe addosso tutta la vita di infelicità in cui abbiamo atteso e di cui non riusciremmo a sostenere il peso.

A popolare i racconti di Carver sono in gran parte lavoratori precari: cameriere, autisti, barbieri, disoccupati. Uomini e donne comuni, talvolta perdenti, individui da lui descritti come “persone che ci provavano”.

La volontà di rendere universale un tema specifico della vita di Carver, la frustrazione verso i sogni mancati, ha fatto sì che l’autore venga dipinto come un individuo comune, simile ai personaggi di cui sono piene le sue storie e da egli ritratti nella quotidianità degli ambienti domestici. In questo senso quali opere hai tenuto in particolare considerazione?
Ho attinto a tutte le poesie scritte precedentemente al 1977 ma anche a quelle successive, purché contenessero un riferimento esplicito all’arco temporale da me narrato. Fondamentali sono stati i racconti che, a partire da Intimità, mi hanno permesso di ripercorrere il legame tra Carver e la sua Maryann, imbastire dei buoni dialoghi ed esplorare quelle dinamiche di dipendenza affettiva alla base del loro rapporto. Se il periodo di McKinleyville è in parte tratteggiato nel testo La casa di Chef, l’atmosfera che pervade l’intera storia è suggerita da Legna da ardere, uno scritto pubblicato dopo la sua morte e inserito nella raccolta Se hai bisogno, chiama.

Il leitmotiv che sottende l’intero racconto è il non arrendersi, l’accettazione del fallimento e la capacità di risorgere da esso. Trattandosi di una storia universale, una ricerca della propria identità che non si ferma di fronte agli ostacoli della vita, ritieni ci sia stato spazio per l’interpretazione, per una lettura esclusiva della vicenda biografica di Carver?
Come hai detto tu stesso il mio scopo era quello di raccontare, attraverso Carver, una storia universale, in grado di comunicare trasversalmente a ogni lettore, a ogni lettrice, di infondere loro maggiore consapevolezza sulle occasioni della vita. La graphic novel, del resto, non mostra gli anni di gloria dell’autore ed è lontana dal poter essere considerata un manifesto sull’esaltazione del successo. È piuttosto il percorso di un uomo che raccoglie tutti i suoi fallimenti e riparte da sé. Lo stesso Carver amava ricordare la filosofia della libertà di Karl Jaspers, per il quale una scelta compiuta oggi può salvarci da tutte le scelte sbagliate del passato.

Dopo Il mio Salinger, ancora una volta scegli uno script in cui diviene centrale il rapporto di coppia, quello tra un uomo e una donna che, per motivi diversi, cercano uno spiraglio di luce in un mondo cupo e tenebroso. Se da un lato si tratta di relazioni destinate a concludersi, talvolta vissute come ostacoli alle proprie aspirazioni, dall’altro si riflette sulla necessità dell’amore come sostegno vitale e spinta a migliorarsi. Cosa puoi dirci a riguardo?
Salinger e Carver vivevano il rapporto con l’altro sesso in modo del tutto differente. Il primo idealizzava talmente tanto le donne da scontrarsi, di volta in volta, con i dati di realtà. Il secondo, invece, ne aveva un bisogno estremo e le amava soprattutto per i loro limiti umani: nelle rughe, negli occhi stanchi, in quei piccoli gesti apparentemente insignificanti. In entrambi i casi, tuttavia, è l’amore verso la scrittura, unica vera ossessione e linfa della loro esistenza, a rappresentare il motore della narrazione.

Carver si sposa giovanissimo, appena diciannovenne, e ha subito due figli: Christine La Rae e Vance Lindsay. Il matrimonio con Maryann Burk, dalla quale divorzia nel 1982, sommerge l’uomo di responsabilità, spesso vissute come impedimenti alle proprie aspirazioni professionali.

Dialoghi lasciati a metà, pensieri brevi, essenzialità espressiva: la tua scrittura sembra seguire con estremo rigore la cifra stilistica di Carver. Si tratta di una scelta puramente citazionista o c’è dell’altro?
Era importante trasmettere un senso di attesa, uno sguardo sulle cose come correlativi oggettivi di emozioni contrastanti. Ho preferito, pertanto, lasciare il maggior spazio possibile al racconto grafico e all’immaginazione del lettore, consentendo al fumetto di “far sentire” più che riportare. Non è un caso che buona parte della comunicazione testuale passi attraverso il flusso di coscienza del protagonista, talvolta affiancato dal narratore esterno, una seconda voce destinata a glissarsi nei momenti più dolorosi.

Intervista a Valerio Pastore

Valerio Pastore, disegnatore.

Le tavole del volume sono opera di Valerio Pastore. Tra le sue pubblicazioni è opportuno ricordare Horses, graphic novel edita da Noreply e in cui la musica di Patti Smith si traduce in vignette, Ritmo lento in fondo al mare, ispirata al brano Canzone a Manovella di Vinicio Capossela, e Creature dal crepuscolo della percezione, entrambe targate Hyppostyle. Abbiamo raggiunto anche lui.

Raymond Carver – Una Storia è, per tua stessa ammissione, il progetto più complesso e delicato su cui tu abbia mai lavorato, un libro che ha richiesto un anno di ricerca, documentazione e raffronti con Valentina. Parlaci delle principali difficoltà.
Lo sforzo maggiore consisteva nel conferire credibilità e spessore al protagonista. Fondamentale, inoltre, era inquadrare adeguatamente il periodo storico, riproducendo con estrema fedeltà auto, cabine telefoniche, negozi, scorci di città, esterni e interni di abitazioni. Ho prestato grande attenzione anche all’abbigliamento. Quest’ultimo, per quanto possa essere considerato marginale, costituisce un ulteriore elemento di caratterizzazione del personaggio.

Dal punto di vista grafico le atmosfere strizzano l’occhio al pittore Edward Hopper che, alla stregua di Carver, ha fatto del silenzio il suo mantra espressivo: case solitarie, figure isolate, binari che tagliano campi, facciate di edifici e interni illuminati. Avvicinandoti a questo artista, cosa hai osservato e studiato con particolare interesse? Ci sono state altre fonti di ispirazione?
Prima di dedicarmi a questo progetto, ho avuto l’opportunità di ammirare e studiare da vicino i quadri di Hopper, esposti a Roma in una splendida mostra. Di certo quell’esperienza mi è stata utile per ricreare le atmosfere presenti nella graphic novel e proiettare Carver in alcuni dei dipinti da me citati: da Blackhead, Monhegan a Finestre di notte, da I nottambuli a Sera d’estate e Superstrada a quattro corsie. Altra grandissima fonte d’ispirazione sono stati gli scatti del fotografo americano William Egglestone, segnalatomi da Valentina.

Carver e Hopper hanno raccontato la stessa America: pompe di benzina, interni spogli di abitazioni, natura incontaminata, luci a neon, bar e tavole calde su strade provinciali. Scene semplici, talvolta domestiche, che raccontano dinamiche universali quali l’incomunicabilità e la solitudine.

Quella della bicromia è una forma espressiva con la quale hai grande confidenza e la scelta di riproporla in questa occasione non può certo ritenersi casuale. Considerati il taglio della storia e lo script imbastito da Valentina, quali ragioni vi hanno convinto a optare per questa tecnica, ritenendola più funzionale rispetto al colore o al bianco e nero?
I libri di Raymond Carver sono stati per il sottoscritto una sorta di folgorazione, un impatto, il loro, indubbiamente condizionato dal mio modo di interpretare la vita. Leggendo capolavori quali Cattedrale e immaginando un possibile adattamento a fumetti, ho sempre visualizzato colori freddi e in particolare il blu, sfumato in molteplici tonalità. Non ho mai avuto dubbi su questo, credo richiami alla perfezione il taglio dei suoi racconti.

Le prime gravi conseguenze dell’alcolismo arrivano nel 1974, quando Carver è costretto ad abbandonare i suoi incarichi presso l’Università di California. Nei due anni successivi si dedica alla scrittura solo in rari momenti di lucidità.

La forte caratterizzazione attribuita all’alcol consente a quest’ultimo di sfuggire alle regole della tua bicromia, conservando un colore giallo oro che ne sottolinea il potere attrattivo esercitato su Carver. Come ti sei approcciato a esso?
Volevo che l’attenzione del lettore si focalizzasse su una componente di rottura, in grado di spezzare la linearità della bicromia e dare ritmo al prosieguo della storia. L’alcol, tuttavia, non funge unicamente da elemento di disturbo ma anche e soprattutto da perno narrativo. Ho pensato potesse essere una buona idea quella di creare una contrapposizione tra le tinte fredde del blu e quelle accese del giallo. Un colore, quest’ultimo, adatto a bucare la tavola e infondere all’alcol una maggiore valenza simbolica.

Esiste una tavola alla quale tieni particolarmente o che consideri rappresentativa del tuo lavoro?
Penso a una particolare sequenza in cui lo stato d’animo di Carver, raffigurato in una vecchia cabina telefonica, si intreccia con il tormento di due giovani innamorati, chiusi, invece, all’interno di una macchina. Sembra quasi che il protagonista viva in prima persona il loro dolore quando, in realtà, è immerso in una bolla emotiva a sé stante, nonostante gli inevitabili punti di contatto. Queste tre tavole mi hanno messo a dura prova, non volevo che il lettore rischiasse di confondere le due situazioni. Credo di esserci particolarmente affezionato.

Nel corso della tua carriera hai già lavorato a fumetti biografici o ispirati a personaggi realmente esistiti, per lo più legati al mondo della musica come Patti Smith e Vinicio Capossela. Ti andrebbe di associare una colonna sonora a questa graphic novel?
La musica ha sempre avuto un ruolo importante nel mio lavoro, potrei definirla senza indugi come l’olio che fa girare gli ingranaggi della fantasia. Una colonna sonora? Ora che mi ci fai pensare, sceglierei un celebre brano di Tom Waits: Christmas Card from a Hooker in Minneapolis.

Nel novembre del 1977, a Dallas, Carver prende parte a una prestigiosa conferenza letteraria, la prima da sobrio. In questa occasione incontra la poetessa Tess Gallagher, sua prossima compagna di vita.

Hai altri progetti nel cassetto? Pensi a un genere nel quale sperimentarti?
In questo periodo inseguo due suggestioni. La prima, sulla scia di Ritmo lento in fondo al mare, riguarda un volume illustrato che renda onore ai brani di uno o più cantautori a me cari. Solo in seguito vorrei cimentarmi in un libro per ragazzi.

Intervista realizzata via mail il 27 maggio 2019.

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