“Basta una stella sul palco e tutti applaudono come idioti.”
(Sohei Toge, parlando di Adolf Hitler)
Provo un po’ di disagio a parlare di Osamu Tezuka. È uno di quegli autori talmente grandi e inarrivabili che ogni parola scritta potrebbe risultare banale e ripetitiva.
Quando in Italia, all’inizio degli anni ’90, ebbe inizio la “Manga-invasion”, la maggior parte degli autori, degli aspiranti fumettari (come chi scrive), insieme a una grande fetta di pubblico storse il naso; era un modo di fare fumetti troppo diverso così come diverse erano le culture che si scontravano, insomma l’eterna “lotta” oriente vs occidente. Eppure amavamo i cartoni animati che in qualche modo si ricongiungevano a quello stile dagli occhi enormi e capelli a punta; eravamo cresciuti guardandoli ogni pomeriggio ma il fumetto ebbe su di noi un effetto quasi contrario, forse per l’errata convinzione che il manga altro non fosse che un adattamento di quei cartoni tanto amati.
Però sono sicuro che tutti noi, o perlomeno parlo di chi i fumetti li realizza o li studia, eravamo e siamo concordi nel riconoscere il genio di Osamu Tezuka. In effetti non si può non farlo, in virtù di una gran produzione artistica che vanta personaggi come Astro Boy, Kimba, La principessa Zaffiro, per citare quelli arcinoti ormai annoverati nel culto dei comics. Un artista che nel suo paese viene considerato il “Dio dei manga”, amato a tal punto da dedicargli francobolli, statue e perfino un intero museo dove è possibile ammirare le sue opere che ancor oggi vengono ristampate senza sosta, confermando l’amore che il mondo orientale (e occidentale) nutre per quest’autore.
Con i suoi fumetti, Tezuka sapeva divertire ma anche far riflettere, riusciva a essere romantico e a suscitare sentimenti che andavano dalla paura all’odio al dolore, riuscendo ogni volta a stupire il lettore con la sua poliedricità. E il geniale autore continuò a disegnare finché non fu tradito dal suo cuore all’età di sessant’anni e non oso immaginare cosa sarebbe ancora riuscito a produrre.
Di qualche anno prima della morte, La storia dei tre Adolf rappresenta il testamento artistico di Tezuka nonché uno dei più grandi fumetti degli anni ’80.
La storia è quella di Adolf Kaufmann, figlio di un diplomatico tedesco e di una donna giapponese, e di un altro Adolf Kamil, proveniente da una famiglia ebrea; questa storia inizia con un’amicizia adolescenziale e si disperde nei meandri della seconda guerra mondiale tra razzismo e persecuzione, venendo inesorabilmente segnata dal terzo Adolf e cioè Adolf Hitler, leader nazista e responsabile di alcune tra le più disumane atrocità della storia. Ma forse c’è un segreto che lo riguarda e che rischia di essere svelato: Hitler è ebreo. Una scoperta incredibile quanto allarmante che il giornalista Sohei Toge, inviato a Berlino, riceve dal fratello Isao, attivista di sinistra e per questo ucciso dalla Gestapo.
La prova delle origini giudaiche del Führer diviene così il motivo centrale con cui Osamu Tezuka orchestra quest’intreccio narrativo dal ritmo incalzante e toccante che si legge tutto d’un fiato nonostante la mole delle pagine non indifferente (oltre milleduecento). Ma la storia non si ferma e non vuole essere solo un mix d’avventura e dramma e lo s’intuisce dalla complessa personalità con cui Tezuka riesce a caratterizzarne i protagonisti: nel raccontare la sincera amicizia di due ragazzini; nel tratteggiare l’autoritarismo con cui il padre costringe Adolf Kaufmann a diventare un ufficiale nazista; nel descrivere l’assurdo indottrinamento nazista che piega anche chi non riesce o non vuole comprenderlo. Ma soprattutto il grande autore giapponese riesce a parlare al cuore di ognuno di noi e, con un’abilità narrativa strabiliante, realizza una grande opera di condanna verso la guerra, la violenza generata da essa, il razzismo, l’intolleranza e soprattutto l’odio. L’odio è in ognuno di noi (il pacifista Adolf Kamil partecipa a varie spedizioni militari in Palestina in cui muoiono donne e bambini innocenti) talmente radicato da indurre l’essere umano a odiare un suo simile; ognuno, ci dice Tezuka, porta avanti il proprio concetto di giustizia.Lo stile che il “Dio dei manga” usa per raccontarci questa splendida storia è perfetto: tratto e inquadrature essenziali, personaggi stilizzati in un mix di realismo e grottesco eccellenti (imperdibile questo Hitler
dalle movenze irreali, quasi fosse fatto di gomma), espressività molto pronunciata ma mai esagerata; per dirla breve, c’è tutto Osamu Tezuka in quest’opera di immenso spessore artistico e culturale, ma c’è anche molto di più. C’è la consapevolezza, da parte di chi legge, di trovarsi di fronte a un fumetto che racchiude svariati generi narrativi: la costruzione del miglior giallo, l’audacia del romanzo storico, l’equilibrato miscuglio di amore e odio, la perfetta simbiosi tra reale e fantastico. Ma soprattutto c’è tutta l’arte e la denuncia di Osamu Tezuka. “C’è un solo principio che non cambierò mai, nemmeno se mi uccidono: ed è che noi non vogliamo nessun’altra guerra! Per questo, se non altro, mi sono messo a scrivere contro la guerra”. Parola del più grande autore manga della storia.
Curiosità
Le origini ebree di Hitler sarebbero state accertate da un lungo studio condotto dal giornalista belga Jean-Paul Mulders e dallo storico Marc Vermeeren.
A proposito della sua opera, Tezuka disse: “Se insegui quello che la società ti fa credere che sia il vero principio di giustizia, ti accorgerai che esso conduce a una sorta di egoismo dello Stato. Questo è sempre stato il mio soggetto preferito e l’ho ritratto molte volte. Ma La storia dei tre Adolf è il lavoro in cui sono riuscito a renderlo proprio come intendevo”.
Pubblicato a puntate sulla rivista Shukan Bunshun dal 1983 al 1985.
Edizione consigliata
La casa editrice Hazard ha fatto conoscere al pubblico italiano questo capolavoro nel 1998, pubblicandolo in cinque volumi nel classico formato manga. L’edizione consigliata è stata ridotta a tre volumi con cofanetto. Recentemente la casa editrice J-POP ha ristampato l’opera in un’elegante edizione in due volumi.
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