“Garth Ennis […] è noto per i suoi fumetti di guerra, tra i quali due dei suoi preferiti sono Archangel (per le serie War Stories di Avatar Press) e The Night Witches (per Battlefields, pubblicato da Dynamite Entertainment). Entrambi erano direttamente ispirati dalla sua lettura di Johnny Red”.
Subito dopo, a fianco della biografia dello sceneggiatore, troviamo quella dedicata al disegnatore, ancora più esplicita: “Keith Burns […] attualmente sta realizzando il suo sogno di lavorare su storie di aviazione della Seconda Guerra Mondiale delle quali Johnny Red ha rappresentato un apice“.
È possibile leggere le righe sopra trascritte nell’ultima facciata del volume Johnny Red, cartonato di pregevole fattura pubblicato da Mondadori nella collana Oscar Ink. Si tratta di poche parole che rendono chiara la modalità con la quale i due autori, Ennis e Burns, hanno affrontato il compito affidato loro da Rebellion, azienda britannica d’intrattenimento videoludico e fumettistico.
Infatti, dopo essere stati avidi giovani lettori delle avventure di Johnny Red, il pilota che negli anni Settanta solcava i cieli col suo Hurricane, sono stati chiamati a raccogliere l’eredità di Tom Tully, Joe Colquhoun e John Cooper, all’epoca al lavoro sulla rivista Battle. Onore e onere dunque, l’opportunità e la responsabilità di rielaborare, di sentire proprio il personaggio per il quale stravedevano. Come? Con passione e rispetto: questi devono essere stati i termini fondamentali per il team creativo, il mantra ripetuto durante la realizzazione dell’opera.
Sempre dalle righe introduttive si evince che Ennis si è cimentato già in passato con le “storie di guerra“. Per scendere nel dettaglio, si può ricordare, anzitutto, Unknown Soldier, il fumetto che nel 1997 ha registrato la sua prepotente discesa nel campo di battaglia. Hanno fatto seguito, infatti, numerose miniserie, tra cui quelle scritte per la DC Comics e le sue branche (Vertigo e Wildstorm), come Adventures in the Rifle Brigade, Enemy Ace: War in Heaven, Battle Britton e, particolarmente degna di menzione, l’antologia War Stories. Soprattutto nei racconti autoconclusivi che compongono quest’opera, così come accade nell’altra raccolta, Battlefields della Dynamite, spazio rilevante è riservato ai fatti reali, con lo sceneggiatore irlandese che, pur mantenendo viva la vena umoristica, è propenso a smorzare la propria tendenza all’esagerazione.
Dalle biografie, passiamo ora al contenuto principale di Johnny Red. Non è azzardato affermare che Ennis e Burns siano presenti nel fumetto, dapprima personificati in un americano di nome Tony Iverson che ha acquistato l’Hurricane P7089, l’aereo vincitore della battaglia d’Inghilterra nel 1940, successivamente nel veterano russo Rodimitz, presso il quale lo stesso Iverson si reca per ascoltare i racconti riguardanti quell'”obsoleto scatolone di merda inglese“.
Chiaramente, la storia di un velivolo è indissolubilmente legata a quella del suo pilota ed è la vicenda di quest’ultimo l’asse attorno al quale ruota il lungo flashback che occupa la quasi totalità del volume. Come un aedo, l’ex capomeccanico dà voce all’appassionante saga di Johnny Redburne, l’inglese che il volo “ce l’aveva nel sangue“, diventato capo dello squadrone di caccia sovietico Falcon dopo che le porte della sua patria gli erano state chiuse in faccia. L’anziano narratore ha scrutato coi propri occhi il cielo di Stalingrado nel 1942, mentre nazisti e russi si davano battaglia tra cabrate e picchiate, ha riparato varie volte l’Hurricane e ha imparato ad ammirare quell’aviatore impavido e leale.
Garth e Keith, come il loro personaggio Rodimitz, non vedevano l’ora di raccontare al lettore le gesta del “Diavolo Rosso“, si capisce. Tutti, amici e nemici, avevano grande stima di Red, perché era un efficiente sterminatore di tedeschi e aveva dei valori ai quali non rinunciava mai, neppure quando rischiava la propria pelle. Ecco cosa ci viene detto, ma quello che leggiamo se ne discosta almeno parzialmente.
Dopo aver constatato che di notte si sveglia di soprassalto a causa degli incubi legati alla possibile morte dei suoi compagni, assistiamo all’unico reale approfondimento del protagonista, quando condivide la sua idea di una guerra leale con Erich Von Jurgen, pilota dello schieramento opposto, prima sconfitto, quindi aiutato a salvarsi. Successivamente, restiamo in attesa di veder emergere dalle vignette il grande eroismo che Rodimitz decanta lungo tutta la storia.
Si può azzardare un paragone. Dall’Arizona al Grande Nord, dal Rio Grande all’Oceano Pacifico tutti conoscono la leggenda di Tex Willer, infallibile ranger del Texas per i bianchi, Aquila della Notte per i Navajo di cui è il capo (così sintetizza Sergio Bonelli Editore, nell’articolo Il mio nome è Tex Willer caricato nel suo sito). Conosciamo ogni aspetto del carattere e della vita dell’ex fuorilegge, non soltanto perché qualunque malvagio lo senta nominare inizia a tremare e ogni amico non vede l’ora di offrirgli birra gelata, bistecca alta tre dita e una montagna di patatine fritte, ma soprattutto perché appuriamo autopticamente che la sua fama è sorretta dalle imprese di cui è capace.
Anche Johnny è un uomo d’azione, non riesce a stare fermo, sente il bisogno di “fare” ma, diversamente da Tex, non trascende mai la dimensione puramente umana. Prendendo atto del contesto storico differente, Red non diventa leggenda, e non ci sarebbe niente di male se non avessimo davanti agli occhi, continuamente, le didascalie altisonanti di chi l’ha conosciuto. Così il lettore si trova ad aspettare un Godot che non arriva mai. “L’ometto della signora Redburne” è un ottimo aviatore, un amico fedele, un compagno e un leader leale che si rifiuta di abbandonare il proprio squadrone perfino dopo essere stato sollevato dall’incarico. Non piegandosi ai superiori, non accettando tradimenti e inutili sacrifici, si conferma uno spirito libero. Autarchico, porta con sé il fascino della testa calda dal cuore d’oro. Cosa manca allora? Un guizzo.
Il finale del quinto capitolo apre a una situazione che si sviluppa nel sesto, alzando le aspettative del lettore. Nelle pagine che rappresentano l’apice mai più raggiunto nei due numeri successivi, Johnny vive il suo appuntamento con la Storia, ma manca clamorosamente l’obiettivo. La sequenza è lo specchio dell’opera: vorrei ma non riesco.
È possibile individuare ragioni differenti.
Escludendo con fermezza che si sia limitato a svolgere il cosiddetto compitino, come accaduto in passato con Thor: Vikings e con All Star Sezione Otto, oppure che, svogliato, abbia riciclato se stesso, è lecito ipotizzare che Ennis abbia affrontato la sceneggiatura di Johnny Red con troppo rispetto, bloccato dalla sua stessa passione.
Quando lavora a mezzo servizio, l’irlandese tende a esagerare, calcando la mano con sequenze violente, splatter, talvolta nonsense, turpiloquio, scatologia, deformità e atrocità. Niente di tutto questo, a parte qualche volgarità verbale, si rintraccia nell’opera presente, che è il risultato di un processo di sottrazione.
Facciamo un gioco, il “ce l’ho – manca” delle figurine. Abbiamo: una violenza realistica, una nicchia romantica della guerra, un protagonista padrone del proprio destino, costretto a uscire dal sistema per sopravvivere, una trama senza fronzoli, diretta e “sincera”, un complotto politico che rende evidente il disprezzo dei capi per la vita dei soldati, la concezione della Storia come mosaico composto da tante piccole tessere, ossia dalle storie di gruppi di uomini o addirittura di singoli.
Questi elementi sono indubbiamente positivi e non va trascurato un tema trattato con sintesi efficace nella cornice del racconto: la triste condizione dei veterani della Seconda Guerra Mondiale, tra povertà, solitudine e oblio.
Tra le dolenti note ci sorprende l’incedere intermittente della narrazione, dal momento che il ritmo non è sostenuto, ma, quando è più lento, non viene sfruttato per la caratterizzazione dei personaggi. Se le informazioni riguardanti i velivoli risultano interessanti, il rallentamento è causato da alcuni dialoghi troppo esplicativi a proposito di piani e complotti, soprattutto quando la stessa “cura” non si riscontra nelle interazioni tra gli individui, semplificate in scorbutici ordini impartiti da ottusi superiori e bruschi ma fraterni scambi di battute tra commilitoni, col risultato di elevare il tasso di stereotipia dei comprimari. Spogliato dei suoi artigli – ironia, cinismo, dissacrante eversione e volontà di sviscerare idiosincrasie e contraddizioni della società – rimane un Ennis crepuscolare, quasi dimidiato.
Leggendo Johnny Red, si avverte la legnosità di un progetto costruito a tavolino tra l’omaggio e il tentativo di rivitalizzazione. È impossibile sapere quali direttive lo sceneggiatore di Holywood abbia ricevuto dalla Rebellion, ma l’impressione è che sia stato costretto a rispettare alcuni confini ben definiti, sovrappostisi ai limiti già autoimposti dalla riverenza di cui si parlava in precedenza.
Diversamente dal collega, Keith Burns non si è sicuramente sentito ingabbiato e al contrario ha potuto esprimersi liberamente, disegnando molteplici pagine doppie. Con questo sviluppo dimensionale è riuscito a trasmettere la vastità del cielo, senza creare una sensazione d’asfissia neppure con la presenza contemporanea di una decina di caccia. Mantenendo costante l’attenzione per gli sfondi, l’artista si trova particolarmente a proprio agio quando raffigura gli scontri aerei, durante i quali non mancano dinamismo e cura per i dettagli.
I movimenti dei velivoli sono realistici, in virtù della rappresentazione di evoluzioni spettacolari ma calibrate, con le proporzioni salvaguardate anche in occasione delle roboanti esplosioni e del divampare delle fiamme. Il giudizio diventa meno positivo se l’occhio cade sui personaggi. Burns, come molti altri disegnatori che hanno affiancato Ennis in passato, fa uso di linee grezze e spigolose per modellare fisionomie aspre e virili. I personaggi principali sono riconoscibili perché sfoggiano acconciature e rasature particolari, ma non godono di grande differenziazione nelle espressioni facciali. Infatti, ricorrono ciclicamente gli stessi ghigni, le stesse bocche spalancate per lo stupore o per la rabbia, i musi lunghi e le pose a metà tra il disimpegno e l’affermazione del sé, rigorosamente con la sigaretta tra le labbra.
Si può ipotizzare che il vincitore dell’Aviation painting of the year 2016 abbia assimilato la lezione del fumettista giapponese Monkey Punch, il creatore di Lupin III, preferendo però concentrarsi sulla mimica delle figure più bieche e caricaturali che popolano il mondo del ladro gentiluomo.
Destano perplessità anche i volti delle poche donne tratteggiate, dal momento che gli sguardi sono spesso vacui e le labbra carnose restano immobili. Si attesta sul parametro della funzionalità la colorazione di Jason Wordie. Al servizio della trama, le tinte assecondano i ritmi del giorno e della notte, evitando di scadere nella riproposta della stessa sfumatura per la volta celeste. La luminosità delle esplosioni è il perfetto contraltare alla cupezza degli ambienti chiusi e alla monocromia delle uniformi militari.
Come la storia, quindi, nemmeno i disegni convincono pienamente. Se si ritorna col ragionamento al “vorrei ma non riesco” scritto qualche paragrafo più in alto, che potrebbe trasformarsi in un “volevo ma non ho potuto”, qualora si rivelasse verosimile l’ipotesi di una limitata libertà creativa, viene naturale applicare alla valutazione complessiva dell’opera una formula simile, poiché è arduo sia promuovere a pieni voti sia bocciare questo Johnny Red.
Meglio cercare di allargare lo sguardo. Il lettore che si accosta al fumetto attratto dal nome di Ennis, dopo aver goduto dei capolavori dell’irlandese come Preacher e Hellblazer, resta inevitabilmente deluso, perché non trova la profondità dei temi e lo spessore psicologico dei personaggi che hanno segnato quelle pagine. L’irriducibile ennissiano sedotto e abbandonato, forse ormai sfiduciato dopo alcune prove opache o svogliate dell’autore, potrebbe piacevolmente stupirsi di fronte a un approccio così minimale e “pulito”.
Infine, l’appassionato di storie di guerra e di aeroplani, pur senza imbattersi nei guizzi propri delle antologie War Stories e Battlefields dello stesso sceneggiatore, penetra in un racconto chiaro, talvolta spettacolare, che è un omaggio ai fumetti di un tempo, con una grammatica moderna, battute a effetto e un protagonista affascinante benché il suo potenziale rimanga parzialmente inespresso.
Abbiamo parlato di:
Johnny Red
Garth Ennis, Keith Burns
Traduzione di Carlo Crudele e Chiara Libero
Mondadori, maggio 2017
208 pagine, cartonato, colori – 19,00 €
ISBN: 9788804679578