Il Nao di Brown di Glyn Dillon: un piccolo gioiello da scoprire

Il Nao di Brown di Glyn Dillon: un piccolo gioiello da scoprire

Recensione di “The Nao of Brown”, graphic novel scritta, disegnata e colorata da Glyn Dillon, fresca vincitrice del premio speciale della giuria del Festival di Angouleme.

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Talvolta i piccoli capolavori, i gioielli nascosti, li trovi dove meno te lo aspetti.
Di Glyn Dillon non avevo mai sentito parlare prima di qualche mese fa. Non sapevo che fosse il fratello minore del più noto Steve Dillon, divenuto una stella del panorama dei comics a metà anni Novanta, insieme a Garth Ennis, con la serie DC Vertigo “Preacher “.the-nao-of-brown 01

Poi in rete mi imbatto nell’annuncio della pubblicazione per la inglese Self Made Hero della graphic novel “The Nao of Brown”, scritta, disegnata e colorata da Glyn Dillon, al ritorno nel campo fumettistico dopo un’assenza ultra decennale in cui si era occupato di altro (nell’industria televisiva e cinematografica in particolare).

In essa è raccontata la storia di Nao Brown, una ragazza anglo-giapponese, intrappolata a metà strada tra il mondo reale e i problemi della sua mente. Nao è affetta da un “disordine ossessivo – compulsivo” che si manifesta in pensieri e comportamenti violenti che non ricorda una volta passata la crisi.
Oppressa da problemi nel lavoro e nelle relazioni sentimentali, Nao cerca di vivere con più leggerezza possibile. Alla ricerca di un completamento di se stessa, questo sembra arrivare nelle sembianze di uno stranissimo riparatore di lavatrici, capace di donarle la prospettiva esistenziale di cui ha bisogno.

L’autore riesce a trattare il tema della malattia con una delicatezza e una leggiadria uniche, evidenziate sia nella parte grafica, che nei dialoghi tra i personaggi. L’autore scrive di un argomento che ben conosce,  la moglie è stata affetta nell’infanzia e nella prima adolescenza dallo stesso disturbo di Nao. Il pregio di Dillon è di farlo senza mai appesantire la narrazione o diventare eccessivamente didascalico, evitando il rischio di scrivere un trattato medico a fumetti.the-nao-of-brown 02

Il tema del disagio interiore di Nao, dovuto alla sua condizione e al suo odiarsi per i pensieri violenti e malvagi che questa comporta, vengono riletti dal punto di vista dei dettami del pensiero filosofico/medico orientale.
La malattia, secondo tale corrente, è un “disequilibrio” dell’organismo il quale necessita, per guarire, di riassestare i propri meccanismi: deve venirsi a creare una sorta di neutralità che annulli le differenze del corpo e della mente ingenerate dalla malattia stessa e che riporti all’equilibrio perduto.
L’autore introduce questi argomenti attraverso l’artificio narrativo del “fumetto nel fumetto”, con il manga-anime Ichi di cui è appassionata la protagonista e lo svilupparsi dell’esperienza buddista meditativa di Nao (altro argomento ben conosciuto da Dillon).

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La quadratura del cerchio di questo ragionamento, molto più complicato da spiegare qui di quanto lo sia nello sviluppo narrativo della storia, si trova nel personaggio di Gregory, una sorta di gigante buono che ripara lavatrici e che quando è ubriaco diventa un logorroico che cita Shakespeare e i filosofi antichi. E’ lui ad aiutare Nao a capire che nella vita e in ognuno di noi niente è in assoluto bianco o nero, ma spesso e volentieri il colore che più ci assomiglia è il brown, il marrone.

In chiusura un approfondimento sulla splendida parte grafica di quest’opera. Sono manifeste e dichiarate l’influenza e l’ammirazione di Dillon per Moebius e gli autori giapponesi, Miyazaki su tutti.
E’ molto interessante quanto spiegato dall’autore in una recente intervista: le tavole della graphic novel sono state realizzate su fogli A4 con una matita HB, importate poi sul computer dove con Photoshop ha scurito i tratti della matita, quindi stampate su carta per acquerello e così colorate. Questo per le tavole dove si dipana la vita “reale” di Nao, mentre, all’opposto in una sorta di contrappasso, le tavole del “fumetto nel fumetto”, il manga Ichi, sono colorate digitalmente da Dillon. Ciò per differenziare le due parti e, come da lui dichiarato, per avere delle pause dove recuperare dalla fatica e dalla difficoltà della colorazione manuale. Ed è in questa parte manga dell’opera che si ritrova tutta l’ammirazione per Moebius e Miyazaki e il tentativo di fondere assieme i loro stili in una sorta di omaggio-imitazione del loro lavoro.

Grazie a Bao Publishing il pubblico italiano può apprezzare questa graphic novel, vincitrice del premio speciale della giuria dello scorso Festival di Angouleme, in una veste editoriale ricca e preziosa come quella originale.

Abbiamo parlato di:
Il Nao di Brown
Glyn Dillon
Traduzione di Francesco Savino
Bao Publishing, novembre 2013
208 pagine, cartonato, colori – € 23,00
ISBN: 9788865431764

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16 Commenti

1 Commento

  1. Nicola D'Agostino

    11 Febbraio 2013 a 16:27

    Come mai il nome della Bao Publishing è barrato? Si è aggiudicato qualcun altro i diritti? :?

    • David Padovani

      11 Febbraio 2013 a 16:53

      No, credo che sia qualche problema con il link (è lo stesso per Self Made Hero). Segnalo il problema. Grazie

    • La redazione

      13 Febbraio 2013 a 14:24

      Sistemato, era errato il link inserito.

  2. Ryo

    3 Gennaio 2014 a 22:56

    Letto da pochi giorni, davvero un gioiello!

    • Michele Garofoli

      4 Gennaio 2014 a 12:07

      Come non darti ragione Ryo. Il Nao di Brown è una delle letture obbligatorie di quest’anno.

      • Ryo

        6 Gennaio 2014 a 17:59

        Mi ha fatto tornar la voglia di leggere qualche altro graphic novel… chissà!

  3. Fred

    20 Aprile 2014 a 09:49

    Tratto e confezione lussuosissimi . Storia interessante ma non coinvolgente . Il non troppo sottile buddismo/antibuddismo che la ispira pesa troppo.

    • David Padovani

      22 Aprile 2014 a 09:38

      Ciao Fred, e grazie per il tuo commento.
      Davvero trovi che sull’opera aleggi il conflitto sul pensiero filosofico buddista? Personalmente vedo nel buddismo una componente del graphic novel, fondamentale al pari della malattia, entrambi fattori vissuti a livello personale dall’autore e trasposti nella sua creazione.
      Credo invece che l’incarnazione di alcuni personaggi “negativi” all’interno del circolo buddista possa essere vista come una sorta di “denuncia” dello stesso Dillon sul fatto che spesso, anche nella realtà, non è infrequente trovare persone di quel calibro che cercano di approfittarsi, in svariante maniere, del prossimo, celandosi dietro uno pseudo-paravento filosofico religioso.
      Lo stesso Glyn Dillon ne aveva parlato in qualche intervista, se non erro, a seguito dell’uscita di Nao.

  4. Fred

    23 Aprile 2014 a 00:06

    Salve David,
    confesso che, se non avessi letto le recensioni, non mi sarei neppure accorto della narrazione di una patologia vera. Probabilmente perché mi é comune combattere quotidianamente pensieri feroci o vagamente pulp e mi ci sono sentito in sincera sintonia.
    Ciò che invece mi ha turbato è, per dirla con Zerocalcare, l’ombellicentrismo di personaggi tutti ripiegati su sé stessi. Il privato delle loro esistenze é troppo privato.
    Non penso che vi sia stata intenzione di intrattenersi sul pensiero filosofico buddista quanto sull’uso delle sue pratiche che hanno sostituito l’analista o i centri sociali. Almeno così mi é parso ad una prima lettura.
    Lo rileggerò ma so già che le parti migliori resteranno i “pensieri cattivi”.

    • David Padovani

      23 Aprile 2014 a 09:49

      Purtroppo Fred quello che tu definisci “ombellicentrismo” trova ampia diffusione nel genere graphic novel degli ultimi anni, fatte ovviamente le dovute eccezioni.
      In ogni caso, quando lo rileggerai, facci sapere se i tuoi pensieri saranno cambiati o se la rilettura ti avrà fatto sorgere nuove riflessioni.
      Comunque sia, personalmente credo che già il fatto che quest’opera dia vita a più interpretazioni e pensieri sui suoi contenuti, sia indice del suo valore.
      A presto e grazie ancora per i tuoi commenti.

  5. Giuseppe Saffioti

    1 Luglio 2014 a 23:21

    letto da poco, meraviglioso e splendido, mi è entrato nel cuore e non vuole andarsene, a tratti sentivo la necessità di entrare nelle tavole per abbracciare Nao.

    Ottima anche la recensione David, da te imparare ancora molto io devo, mio maestro Jedi

  6. antonioD

    5 Settembre 2014 a 04:59

    Ho una domanda molto specifica: a un certo punto della storia, quando gregory è a casa di nao per riparare la lavatrice, lui le dice di salutargli “dave” del centro buddista, e lei dice di non conoscere alcun dave; segue un momento di complice imbarazzo. l’unica spiegazione che sono riuscito a darmi per questo dave è che gregory ne parla immediatamente dopo la citazione di my tulpa dei magazine da parte di nao. allora ho visto che nei magazine un membro della band è dave formula, così potrebbe essere una sorta di contro-citazione da parte di gregory. non sono riuscito a trovare spiegazione migliore. se c’è vi prego di fornirmela!
    Ad ogni modo sto leggendo il nao di brown per la seconda volta, l’ho ripreso non tanto per la storia ma per nostalgia di quelle immagini e anche per il giocattolo che è il libro in sé, aspetto che io reputo non secondario e che ha una sua dignità e bellezza. sec. me sbaglia chi giudica un’opera del genere con parametri narrativi perché a me pare di una straordinaria poesia visiva a cui la storia fornisce giusto un scheletro d’occasione. Cmq vi prego di chiarirmi il joke sul dave o darmi conforto sulla mia interpretazione.

    • David Padovani

      5 Settembre 2014 a 14:29

      Ciao Antonio,
      per quanto riguarda l’inside joke su Dave mi riprometto di riprendere in mano il volume e risponderti il prima possibile sperando di chiarire il tuo dubbio.
      Per quanto riguarda la tua interpretazione ritengo che sia assolutamente valida. Un volume a fumetti, come del resto un libro, ha una sua importanza materica fondamentale (e questa è una delle ragioni per cui i libri cartacei saranno solo affiancati dalle loro versioni digitali, mai soppiantati); nel caso particolare di Nao of Brown l’edizione originale inglese, edita dalla Self Made Hero, è un piccolo gioiello di packacing editoriale e un plauso va alla Bao per aver mantenuto tale qualità nella versione italiana.
      Personalmente, in un’opera di narrativa disegnata, mi è difficile disgiungere le tavole dal testo: credo che nascano nella mente dell’autore come un tutto unico, come nella mente di un regista una scena o un’inquadratura nascono già confortate dal sottofondo musicale o dalle parole dei dialoghi che le accompagneranno.

      • antonioD

        5 Settembre 2014 a 18:25

        Ti ringrazio della risposta e resto in attesa di un secondo parere sul joke in parola! Per il resto condivido e sottoscrivo la tua analisi, anche per me la concezione dell’opera ha un carattere fortemente unitario, ciò che spesso distingue le vere opere d’arte da altri prodotti che si percepiscono più costruiti. Certo è difficile farne una formula perché se uno pensa a fellini e nino rota o a david lynch e badalamenti… Quello che intendevo dire – e che tu hai sostanzialmente chiarito – è che in un’opera come il nao di brown l’ispirazione ha evidentemente un carattere emintemente visivo, che poi contiene in sé una storia che l’autore si limita al massimo a sgrossare un po’. Ma è giusto precisare che tutto resta un’insieme coerente sin dall’origine.

      • antonioD

        6 Settembre 2014 a 02:45

        Ho appena finito di rileggerlo tutto e ci tenevo a dirti che alla fine della storia viene detto chiaramente chi è questo Dave! Anzi costituisce un approdo narrativo piuttosto significativo. Mi dispiace di aver posto una questione in modo frettoloso e che non ha ragion d’essere, ma ieri notte mi ha preso una tale scimmia mentre leggevo! (nota che ho scritto il msg alle 5 del mattino). Spero tu non abbia perso del tempo per venire a capo del joke, riprendendo il libro e tutto il resto. Ad ogni modo ti ringrazio per la tua cortese disponibilità. Il fumetto resta un’opera bellissima perché contiene un immaginario poetico ispirato e coerente che mi spingerà sempre a ritornarci. Quanto alla storia, mi pare abbastanza evidente a questo punto che si tende a dimenticarla, ma poco importa.

      • David Padovani

        10 Settembre 2014 a 12:24

        Non preoccuparti Antonio: con la scusa di venire a capo della questione “Dave”, ho ripreso in mano il volume apprezzando di nuovo l’opera di Glyn Dillon ;-)

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