Chi è Monica, la donna che dà il nome al nuovo libro di Daniel Clowes? Il pensiero di un soldato al fronte in Vietnam, oppure la figlia di padre ignoto e della giovane Penny, hippy disinibita negli anni ’70 che passa da una relazione all’altra con i rappresentanti della controcultura dell’epoca, o ancora una ragazza abbandonata dai genitori che, in vacanza in un cottage isolato su un lago, sente la voce del nonno defunto da una radiolina, forse frutto di un’allucinazione. O magari è una imprenditrice che ha fondato una importante azienda di candele ma ormai in crisi di identità, il membro di una setta cultista nato negli anni ’70 ma ormai ridotto a una comunità di pochi superstiti, una vecchia pensionata che forse sta per trovare l’amore. Oppure è la narratrice della sua stessa storia e di altre, peculiari e criptiche, scritte da lei in diversi intervalli della sua vita.
Monica, nuova graphic novel di Daniel Clowes, prodotta sette anni dopo Patience (ripubblicata recentemente da Coconino, a poca distanza dalla nuova opera) è un susseguirsi di nove racconti che mostrano un aspetto diverso della protagonista, anche quelli in cui non è presente, dove riverbera come una eco; nove storie nelle quali non tutti i dettagli sembrano combaciare e in cui realtà e fantasia si sovrappongono e si mescolano, tra episodi della vita di Monica e altri che paiono tratti da una serie di brevi racconti horror o action, oppure dalla confessione di un artista fallito.
In quest’opera frammentata eppure stranamente coerente, Daniel Clowes torna alle sue origini: non è un caso che su “The Comics Journal” Joe McCulloch inizi la sua approfondita recensione parlando di un episodio di Eightball, perché i nove episodi di cui si compone il fumetto sembrano nati, per varietà di stile e di atmosfere, proprio sulla rivista creata negli anni ’90 dall’autore statunitense.
Ecco che quindi Monica diventa un crogiolo delle tematiche e dei gusti narrativi di Clowes: ritroviamo il racconto di una ragazza (poi donna) confusa e sospesa come le protagoniste di Ghost World, una carrellata di personaggi bizzarri, eccentrici e sconclusionati come in Caricature, Ice Haven e Wilson (in particolare nell’episodio dal titolo Krugg), storie (quelle in cui Monica non è fisicamente presente) che riportano alla mente il surrealismo e le atmosfere Lynchiane di Come un guanto di velluto forgiato nel ferro, e su tutto incombe un alone di incipiente fine del mondo che sembra lo stesso di David Boring. La summa di queste opere è però concentrata soprattutto nella figura di Monica, che, sempre per citare McCulloch, incarna perfettamente quello che definisce il “Clowesian loner”, il personaggio solitario e singolare protagonista della maggior parte delle storie dell’autore, alla costante ricerca di sé stesso attraverso un cammino bislacco, peculiare ed enigmatico, fatto di percorsi tortuosi che spesso arrivano a conclusioni insoddisfacenti e riportano all’inizio del viaggio.
Insieme al racconto dell’ennesimo “loner”, Clowes espande la riflessione sulla società, sempre sullo sfondo delle sue opere, a una rilettura commentata in chiave weird, e in alcuni passaggi mordace, della storia statunitense, fatta di guerre, periodi di grande fermento artistico, a volte anche velleitario, fascinazione per movimenti settari pidocchiosi e grotteschi e teorie del complotto: una lettura che accomuna passato, presente e forse anche futuro, ammantata di una atmosfera da apocalisse soft che sorprende in maniera deflagrante la protagonista proprio nel momento in cui sembra aver trovato una pace tanto cercata. E in questo finale la vicenda personale e quella storica vanno a coincidere, si sovrappongono in maniera violenta: la fine di un individuo che coincide con la fine della Storia stessa (e qui forse si spiegano le vignette dopo la copertina che rappresentano alcuni episodi cruciali della storia umana), la sublimazione finale del “loner” che sembra ricollegarsi proprio a quel David Boring del 1994, sebbene in una chiave ben più grottesca e assurda.
Al ritorno alle origini di cui abbiamo parlato, Clowes aggiunge una sfida narrativa e stilistica che diventa anche omaggio alla storia dei comics americani. Molti episodi infatti riprendono grandi classici del fumetto statunitense, dalle storie di guerra (Foxhole) al fumetto romantico (Pretty Penny), dall’horror (The Glow Infernal) all’action (L’incidente), tutti filtrati dallo stile dell’autore, che qui si attiene a un realismo che potremmo definire espressionista, che cela sempre una lettura ironica e paradossale: i volti dettagliati, ricchi di tratteggi, si congelano in espressioni cariche di ansia e spaesamento esistenziale, come se spesso le emozioni che esprimono fossero sempre fuori luogo con il contesto narrato.
A questo si aggiungono brevi incursioni in un realismo caricaturale che, benché più misurato e forse proprio per questo più tagliente, ricorda i disegni degli inizi: i vari santoni e intellettuali che si susseguono nella vita della madre di Monica, per esempio, sono spesso ritratti con volti i cui sorrisi posticci o laidi e le cui espressioni inebetite trasmettono un giudizio satirico e corrosivo dell’autore nei confronti di questi personaggi, soprattutto di un intellettualismo posticcio tipico di quegli anni; lo stesso succede nei confronti dei colleghi e dei “pari” di successo con cui Monica non trova una connessione e nel rapporto con i quali sente perdere la propria identità: uno sguardo caustico sul concetto di successo della società statunitense.
L’espressionismo dei disegni è poi rafforzato da una tavolozza dai colori saturi e corposi che crea spesso un senso di contrasto tra quello che viene narrato e la sua rappresentazione, come un vecchio poster pubblicitario, di quelli tipici da statale del Midwest, che al suo interno ha qualcosa di sbagliato, di profondamente inquietante.
Clowes riesce a mettere insieme questi diversi stili e a rileggere ogni genere con una prospettiva particolare senza mai far perdere la coerenza narrativa: sebbene le storie abbiano un tono e un approccio stilistico diversi, e spesso prendano tangenti inaspettate, il risultato finale brilla per un eccentrico equilibrio e una coesione tutta sua. A creare coesione serve anche la voce di Monica, che racconta episodi della sua vita passata e presente (ma anche storie che sembrano non avere niente a che fare con lei, ma che forse sono sua creazione) come narratrice onnisciente: sebbene in alcuni frangenti l’uso di didascalie possa rallentare la lettura e faccia assumere al disegno una funzione più illustrativa che narrativa, questa scelta dona al racconto un tono da grande romanzo americano.
Monica è un’opera dai mille volti, come la sua protagonista, e che idealmente chiude un cerchio lungo trent’anni che riconferma Daniel Clowes nel posto che gli spetta: tra i più grandi fumettisti del nostro tempo.
Abbiamo parlato di:
Monica
Daniel Clowes
Traduzione di Veronica Raimo
Coconino Press, 2023
108 pagine, cartonato, colore – 25,00 euro
ISBN: 9788876186820