Ice Haven è una piccola città, una suburban town come direbbero in America. Una cittadina di periferia, immaginaria s’intende, che potrebbe esistere un po’ ovunque nel mondo, magari non troppo distante dal mio paese o da quello di Daniel Clowes: un uomo che meriterebbe la laurea honoris causa in sociologia per averci regalato il piacere di leggere libri come Ghost World e David Boring, in cui ha esplorato e raccontato il difficile mondo dell’adolescenza, della crescita interiore e dei rapporti interpersonali senza essere mai scontato, ma provocando il lettore e creando con lui un’affinità unica.
In Ice Haven vediamo come Clowes, seguendo un percorso in salita segnato dalle sue precedenti opere, sia riuscito ad ampliare il proprio raggio d’azione e il proprio sguardo sull’umanità: la visione del lettore non è più proiettata su singoli individui, ma su un’intera comunità.
Ice Haven è un puzzle nel quale ogni tassello è una vita che si incastra, talvolta con difficoltà, con molte altre. Non è forse così in realtà la vita di ognuno?
Un tassello di un puzzle immaginario in continuo movimento, mai definito; magari non lo sappiamo, ma le nostre azioni o la nostra posizione possono essere influenzate proprio da quelle di un tassello/persona di cui non conosciamo nemmeno l’esistenza.
Così succede anche agli abitanti di Ice Haven, protagonisti ciascuno di brevi episodi che vanno gradualmente ad intersecarsi e a comporre un disegno, un plot completo. Non si tratta tanto di episodi autonomi, quanto piuttosto di uno sguardo su realtà diverse, alcune di esse legate comunque da un sottile filo conduttore: l’interesse o un qualche tipo di coinvolgimento nella scomparsa del piccolo David Goldberg, un bambino inverosimilmente timido ed emarginato dai coetanei.
Altre figure popolano la cittadina ed arricchiscono il racconto, anche senza essere coinvolti nella vicenda di David, come il poeta fallito Random Wilder che si atteggia a voce narrante dell’opera, certo non onnisciente, ma sicuramente molto invadente; o ancora Violet, la diciassettenne in fuga da una famiglia oppressiva in cerca di un amore idealizzato. C’é poi Vida, la giovane scrittrice di cui Clowes sembra servirsi per un gioco di (auto)citazioni, grazie alla somiglianza con la bionda protagonista di Ghost World o ancor di più con l’alter ego cinematografico di quest’ultima, Scarlett Johansonn; tutto ciò dimostra come l’autore si nutra della cultura pop americana, giungendo ad inserire le sue stesse opere nella categoria (come dargli torto?), assimilandola e personalizzandola per rendere l’opera intelligentemente ammiccante e mai pretenziosa.
A dispetto della natura frammentaria della narrazione, il racconto non è mai fine a se stesso e non fallisce mai nel compito di mantenere vivo l’interesse del lettore, che, pur avendolo conosciuto solo per poche pagine, vuole sapere dove sia finito David.
Nessun personaggio necessita di particolari introduzioni; si tratta spesso di stereotipi, l’intera Ice Haven è un’allegoria, un mondo in miniatura dove non ci sono protagonisti principali e dove ognuno merita uno spazio. Ogni personaggio contribuisce equamente allo svolgersi della vita quotidiana della città e alla riuscita della vicenda narrata nel libro. Il vero protagonista è quindi la cittadina e la sua quotidianità che si manifesta in ogni aspetto grazie ai singoli abitanti. Ogni episodio ha come protagonista un cittadino di Ice Haven, al quale la narrazione si adatta di volta in volta, cambiando linguaggio e stile di disegno. L’esempio più eloquente di questa ampia gamma di variazioni narrative e grafiche sono gli episodi che hanno per protagonista Charles; le pagine a lui dedicate hanno il gusto caricaturale delle vecchie strisce a fumetti (come i Peanuts o Nancy) e il linguaggio (falsamente) innocente e colorito proprio dei bambini.
L’autore in più momenti cita, o forse sarebbe meglio dire adotta, stili propri di fumetti del passato, li mutua adattandoli alle proprie necessità narrative; per raccontare la preistoria di Ice Haven, ad esempio, si serve dello stile grafico dei Flinstones, ricordando quanto il mondo dei comics sia radicato nell’immaginario comune e quanto l’uso di certi stilemi possa facilitare ad arricchire un sottile dialogo con il lettore.
Ice Haven appare pertanto come un omaggio alla storia dei comics e alle strisce del passato, ma forse ancora di più come un tentativo di comunicare col lettore indirettamente e di trasportarlo in una dimensione diversa. Una dimensione dove la storia reale può diventare un comic book, un fumetto dentro il fumetto, come accade alla vicenda realmente accaduta di Leopold e Loeb.
Al di là delle raffinate tecniche narrative, il proposito più immediato di Clowes è raccontare la realtà nelle sue molteplici manifestazioni, anche le più normali e comuni, come quella del vicino di casa o del vecchio compagno di scuola, ricordandoci quanto ogni esistenza, seppur a prima vista insignificante, possa nascondere un mondo di piccole avventure e grandi sentimenti. Una normalità cruda, narrata con un distacco privo di pregiudizi o presunzioni, mosso soltanto dall’urgenza di raccontare. L’autore non critica mai, preferisce piuttosto prendere di mira se stesso con il personaggio di Harry Naybors, il critico di fumetti, che sul finire del volume viene sfruttato per integrare i credits tra le vignette (tecnica cara anche a Seth e Chris Ware), ma soprattutto per darci delle interessanti definizioni del ruolo del fumetto e della critica rispetto all’opinione pubblica.
Lo stato di grazia raggiunto dalla tecnica narrativa di Clowes corre di pari passo con lo sviluppo del suo linguaggio illustrativo, che si piega alle esigenze della narrazione con padronanza del medium. Un disegno che non vive solo di ragioni proprie, ma è stilisticamente narrativo e comunicativo.
Concluso il libro (magari dopo più di una lettura), si ha l’impressione di avere tra le mani un’opera unica, un punto di arrivo non solo per l’evoluzione artistica dell’autore, ma anche per tutto il fumetto in generale. Non vorrei che questa affermazione suonasse pretenziosa, ma non è certo un mistero che Daniel Clowes, nonostante la (relativamente) giovane età, sia considerato un punto di riferimento dai migliori talenti odierni e da alcuni illustri colleghi, come lo stesso Seth, che ha recentemente ammesso di essersi ispirato alla tecnica ad episodi di Ice Haven per creare il suo Wimbledon Green.
Abbiamo parlato di:
Ice Haven
Daniel Clowes
Coconino Press Fandango, 2008
96 pagine, brossurato, colori – 16,00€
ISBN: 978-88-7618-069-9
Riferimenti:
Il sito di Coconino Press: www.coconinopress.it