Wilson di Daniel Clowes: ritratto di un uomo qualunque

Wilson di Daniel Clowes: ritratto di un uomo qualunque

Gli occhi sgranati di Wilson, scapolo di mezza età, stralunato e sperduto in un'anonima stradina di periferia, ci danno il benvenuto nel nuovo lavoro di Daniel Clowes. Piccoli siparietti di vita quotidiana danno sfogo alle mille sfaccettature del protagonista, tra dolori, comicità involontaria, momenti di autoesaltazione.

Era l’anno delle elezioni, proprio all’inizio della campagna elettorale e questa era senz’altro la grande questione su cui interrogarsi. Inoltre ovunque i posti di lavoro sembravano scomparire all’improvviso e tutti coloro che conoscevo avevano la faccia modello: “cosa cavolo sta succedendo qui?.
(
Daniel Clowes, intervistato da Noah Dunham per Blogtown, traduzione di Andrea Pachetti)

Gli occhi sgranati di Wilson, uno scapolo di mezza età, stralunato e sperduto in mezzo a un’anonima stradina di periferia, ci danno il benvenuto nel nuovo lavoro dell’autore indipendente Daniel Clowes. La storia è incentrata su piccoli siparietti di vita quotidiana, dando sfogo alle mille sfaccettature del protagonista che interagisce con la grigia fauna cittadina o coi propri affetti personali, tra dolori, comicità involontaria, momenti di autoesaltazione.

Uno zotico generoso, uno scapolo solitario, un padre e marito devoto, un idiota, un sociopatico, uno spaccone illuso, un fiore delicato. Questo “omino qualunque” diventa l’inconsapevole rappresentante dell’umanità intera, incarnando dentro di sé le suggestioni autobiografiche di Clowes, delle persone che conosce, avvicinandosi all’esperienza di vita del lettore.
Il carattere estremo del personaggio lo porterà ben presto ad uscire dagli angusti confini della grigia periferia, alla ricerca di un senso per la propria vita. Momenti di passaggio come la dipartita delle persone care, diventare genitori, passare in rassegna trionfi e fallimenti della propria esistenza, vengono raffigurati da Clowes con cinismo e disincanto. Riferendosi a Wilson, Clowes ha detto:

Ritengo che abbia ragione su un sacco di cose, ma forse le dice in un modo tale da non essere accettato dal prossimo. Ma questo non significa che ciò che dice o pensa sia sbagliato.

Ma la simpatia tra autore e personaggio che emerge nelle interviste non rende meno caustica la satira verso la contraddittoria natura di un’intera generazione, a volte passiva, altre volte polemica, divisa tra la percezione del vivere in una sorta di micro-universo trappola e il tentativo costante di anestetizzarne l’effetto.

Il protagonista cerca di camuffare la sua scarsa tolleranza e la scarsa voglia di comunicare esaltando il senso di comunità, le meraviglie nascoste nella vita di ogni giorno, ma riesce a malapena ad avvicinare il prossimo. La gente per Wilson esiste solo per gratificarlo o prestargli attenzione, ma si ritrae subito quando qualcuno prova, a sua volta, a raccontarsi o esprimere stati d’animo. Concentrato, come tutti noi, nella perenne messa in scena di sé stesso, inizialmente è intrappolato in una cittadina di periferia che tenta di amare (la stessa Oakland che Clowes conosce bene), ma essa gli ricorda costantemente le proprie brutture.

I suoi tentativi di introspezione risultano semplici e teneri a tempo stesso, il senso di irrisolto che traspare dalle riflessioni eleva il dubbio e la mediocrità esistenziale a una dimensione quasi eroica. Non ci si può non commuovere, di fronte a frasi come:

“Quando mia madre è morta è stato come se… come se ti dicessi che domani non vedrai più l’oceano. Puoi continuare la tua vita, ma non vedrai più l’oceano.

Una poesia generata dall’essenziale, una costante ripulitura del proprio stile, fino ad arrivare alla perfetta iconicità comunicativa del media fumetto. Il lettore è continuamente portato a ridere delle idiosincrasie del protagonista ma, subito dopo, è spinto a solidarizzare coi suoi dubbi e i suoi dolori. Ciò che fa ridere in una sequenza ritorna, grazie al legame narrativo tra le varie scene, a farci piangere qualche pagina dopo, un po’ come il comico tentativo da ventriloquo che Wilson improvvisa per ringraziare gli ammiratori del suo cane. Si arriva a riconoscersi negli atteggiamenti, nelle reazioni, nell’orrore provato di fronte al buon senso comune e nella risata cinica verso i momenti di debolezza con sé stessi. I dialoghi che Clowes mette in scena ci parlano della negazione dei difetti del mondo reale, della vecchiaia, della morte, dell’incapacità di uscire dalla propria routine e dalle scelte sbagliate di vita.

Wilson è sia vittima che carnefice, nelle situazioni dolorose che attraversa o nella tragicomica fuga in cui coinvolge figlia ed ex-moglie. A volte è caustico critico dell’infantilismo del mondo adulto (il collezionismo, la mediocrità borghese, la comunicazione via internet), altre volte egli stesso diventa interprete di quella superficialità che disprezza negli altri, aggrappandosi a quella stessa retorica nel momento in cui si sente abbandonato e solo.

Wilson ci parla della disarmonicità della vita umana, non riassumibile in strutture narrative, è la costante attesa di qualcosa che non arriva mai, impossibile da chiudere con una promessa di speranza o con una morale finale. È una collezione di momenti (tra la goliardata di un pacco postale ricolmo di feci spedite a un parente, al pianto solitario in un campo da baseball) in cui l’unica gioia diventano le piccole cose, e l’unica risoluzione può essere improvvisa, come un taglio secco, priva di qualsiasi pathos o battuta memorabile.

La tecnica

Si tratta di una storia concepita per la pubblicazione singola , e questo la differenza da  altre celebri opere di Clowes, come  Ghost World, serializzate all’interno dell’antologia Eightball e solo successivamente raccolte in volume.

Clowes dichiara di aver compiuto un lavoro di selezione e scrematura del materiale accumulato (“ho spuntato tutto fino all’essenziale“). La peculiarità che salta subito all’occhio è l’estrema varietà dello stile di disegno, che muta continuamente registro dal realistico al grottesco, alternandosi tra il classico tratto vagamente pop art di Clowes e omaggi ai grandi cartoonist americani, da Charles Schultz a Robert Crumb.
Anche lo stile narrativo si articola per mezzo di tavole a colori che ricordano la tradizione delle strisce syndacate americane pubblicate nei supplementi domenicali dei quotidiani. Per questo motivo ci verrebbe automatico pensare a una sorta di Charlie Brown o Calvin e Hobbes di mezza età, ma il carattere disomogeneo dei vari siparietti di vita vissuta racconta in realtà una vera e propria storia unica, che segue i punti salienti della vita di Wilson, fino alla loro naturale evoluzione.

Ci troviamo quindi di fronte a un respiro narrativo degno di Ghost World o David Boring, declinato però attraverso lo stile da strip di Ice Haven. Proprio da Ice Haven Clowes ha mutuato l’espediente della varietà grafica, infrangendo la legge non scritta dell’uniformità del tratto, quasi a sottintendere che la vita umana non si può riassumere sotto un’unica gradazione di forme o colori. In Wilson talvolta prevalgono le tinte uniche, talvolta colori più accesi ed infantili. Le deformazioni comiche si alternano a tratteggi e ombreggiature drammatiche, totalmente al servizio dei sentimenti che l’autore vuole esprimere. Anche quello che potrebbe essere inteso in prima istanza come un semplice omaggio in realtà diviene strumentale alla funzione narrativa: disegnare Wilson con lo stile dei peanuts (“noccioline” o “cose di poco conto”) esprime perfettamente il suo spaesamento di fronte ai dubbi esistenziali, mentre per i commenti più grezzi e disincantati lo vediamo trasfigurato col nasone e i tratti pesanti tipici dei cartoonist underground. La scelta del formato narrativo esalta il ritmo della storia, a prescindere dai toni comici o drammatici di ogni singola scenetta.
Dalla costruzione di una situazione, alla battuta finale che taglia, nega, spiazza completamente l’illusione o le riflessioni delle vignette precedenti, la dimensione della strip diventa in ultima analisi l’unica lente davvero efficace attraverso cui raccontare piccole e grandi storie di ogni giorno.

Abbiamo par­lato di:
Wilson
Daniel Clowes
traduzione Elena Fattoretto
Coconino Press – Fandango, 2010
80 pagine, brossurato, colori – 17,50€
ISBN: 978-88-7618-176-4

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