Con Matteo Stefanelli: riflessioni sulla critica web – Parte I°

Con Matteo Stefanelli: riflessioni sulla critica web – Parte I°

Prima parte di una lunga chiacchierata con il direttore di Fumettologica.it, il critico e docente universitario Matteo Stefanelli, sui temi della critica fumettistica "nata" in rete.

I contenuti dello Speciale che nei mesi scorsi abbiamo dedicato ai pionieri della critica web, le variegate e interessanti risposte che quei protagonisti della prima stagione della divulgazione fumettistica in rete hanno dato nelle interviste loro dedicate, hanno sollevato vari spunti di riflessione. Molti di questi toccano temi ancora attuali nel dibattito critico intorno al fumetto e, soprattutto, fanno da sponda a un allargamento della riflessione a che cosa significa fare critica e divulgazione fumettistica oggi sul web, quali siano gli strumenti che un critico dovrebbe avere nel proprio bagaglio intellettuale, quali gli errori endemici più comuni.
Abbiamo così pensato che sarebbe stato interessante affrontare questi argomenti con una figura importante del panorama critico e divulgativo del fumetto italiano, non solo sul web, ma anche in ambito accademico. Da qui è nata l’idea di invitare Matteo Stefanelli a condividere un’ampia riflessione a tutto campo che, partendo dalle risposte date dai nostri intervistati, ampliasse il ragionamento per una analisi più generale del sistema della critica fumettistica italiana.

[Un ringraziamento speciale a Simone Rastelli, che ha contribuito a questo approfondimento con alcune interessanti riflessioni sparse qua e là.]

Matteo Stefanelli è un critico, un saggista e professore universitario (insegna linguaggi audiovisivi presso la facoltà di scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano). Ma è stato anche un blogger ed è l’attuale direttore di Fumettologica.it, sito di “informazione e cultura del fumetto”, a cavallo quindi tra attualità giornalistica e approfondimento critico.
Stefanelli approda sul web con il suo blog Fumettologicamente, nel 2009. È dunque parte di quella che potremmo definire l’ondata più matura di realtà digitali di critica e approfondimento sul fumetto, nata sulle orme lasciate e sulle strade aperte da quei pionieri cui abbiamo dato voce nel nostro Speciale. Ci ha incuriosito da dove sia nata l’esigenza di Stefanelli di essere presente sulla rete, affiancandola alla sua già avviata e importante professione accademica e di divulgazione sul fumetto.

«Sono stato un tipico “tardivo digitale”. Pur occupandomi di Internet e di quelli che all’epoca chiamavamo “nuovi media” nel mio lavoro di ricerca e didattica in università, avevo esitato molto ad aprire un blog. Un po’ per indole (sono più riflessivo che impulsivo, lo riconosco), un po’ per attendismo: cosa fare di piacevole, di cosa scrivere utilmente, e come cavolo farlo?
A spingermi furono lo stimolo e il confronto con alcuni amici o colleghi: Paolo Interdonato, Fausto Colombo, Antonio Dini e Giovanni Boccia Artieri, che seguivo nei loro ‘esperimenti’ da blogger, e con cui parlavo spesso dei rischi/opportunità di una simile impresa. Ovviamente leggevo anche blogger fumettòfili, ma tra questi non trovavo l’equilibrio che cercavo tra utilità dell’informazione, qualità della scrittura e stimolo intellettuale. Troppo entusiasmo acritico, oppure scrittura piatta, oppure troppo egocentrismo. Ma anche poco spirito di servizio, e poca voglia di spingere il pedale sulle questioni più teoretiche. Tutte dinamiche ovvie, nella fase di “ubriacatura da opportunità” che Internet e i blog avevano aperto a tanti. Il risultato era che leggevo molto, ma anche che perdevo molto tempo in letture banali.

Ripensare a quegli anni, pur non lontanissimi, scatena un sacco di ricordi. Ricordo la penuria di immagini presenti in rete («è mai possibile che non si trovi nulla su X?»). La fatica nel leggere testi critici di 20/30.000 battute scritti come fossero saggi di una rivista d’arte o letteratura, peraltro scalcagnata («possibile che il sito X, o il blog Y, siano così incredibilmente scolastici e verbosi?»). L’irritazione di leggere post di due righe sui fatti personali del giorno, o su passioni tanto diffuse quanto banali («perché dovrei essere interessato al tuo cane/gatto/vacanza/compagno/a?»). La noia di leggere le solite ‘idee critiche’ di sempre, dall’idolatria per il citazionismo di Alan Moore alla sensualità di Crepax … Per non dire dei recinti che esistevano fra evangelizzatori dell’indie americano, coltivatori delle “monoculture” Bonelli o Disney, fanboys (e fangirls) di supereroi o manga, nostalgici delle “riviste d’autore”…

Ricordo poi che la facilità d’uso della (allora) giovane piattaforma WordPress mi colpì – «ehi, ma è come usare Word!» – e alla fine mi decisi: avrei aperto un blog. Dopo due anni di meditazione, mi ero convinto.
A un patto: focalizzarlo per bene e alimentarlo come se fosse non un diario, ma un ‘lavoro’. Avrei scritto solo di fumetto e di immagini, avrei limitato molto la dimensione personale, e lo avrei fatto badando bene a un tono serio-ma-curioso. Non avrei mai replicato il registro che usavo altrove, nella scrittura accademica o in quella critica (no maxi-saggi, no recensioni), ma non avrei fatto nemmeno l’Aca-fan tutto link & riferimenti. Sapevo poi che di certi temi non si occupava nessuno o quasi: il fumetto delle origini, la dimensione economica e strutturale del settore, il contesto editoriale francese contemporaneo, le intersezioni tra fumetto e comunicazione, arte, pubblicità, design. Nelle mie intenzioni c’era anche un desiderio, o quantomeno una tensione: scrivere seriamente di aspetti di cui ci si occupava con troppa leggerezza, e scrivere con leggerezza di ciò che invece veniva ingessato da troppa seriosità.

Dopo avere scritto per un tot di anni su fanzine, testate di critica come Fumo di China, Schizzo Idee, Il Mensile del Fumetto (quest’ultimo la ‘palestra’ più stramba e stimolante cui abbia partecipato), su qualche rivista di “fumetto d’autore” (tipo Blue o Mondo Naif) e su qualche periodico generalista, mi ero convinto di due cose:
1) alternare scrittura accademica e critico-giornalistica era una ottima ginnastica, mentale e comunicativa
2) un blog avrebbe potuto essere un esercizio ancora più efficace, soprattutto se inteso come un servizio, oltre che come una piattaforma espressiva. È stata una splendida esperienza, e naturalmente un progetto più complesso come Fumettologica non esisterebbe senza quella stagione, fatta anche di nuove scoperte, nuove competenze, incontri.»

Visto l’arrivo sul web di Stefanelli una decina circa di anni dopo la nascita delle prime realtà di critica in rete, viene naturale chiedersi se fosse stato un lettore dei contenuti di qualcuno di quei siti.

 «Nel 1999, ai tempi dell’offerta “free” di Tiscali, come molti altri ero lì. Tanto curioso quanto impreparato: non avevo avuto esperienza, a differenza di amici (anche fumettòfili: penso ai creatori delle fanzines Made in USA e Fumettando), del mondo delle bacheche BBS o dei primi newsgroup. Ma i siti li conobbi rapidamente, e quasi tutti. Ricordo il pioniere AFnews, i cui pezzi ogni tanto stampavo su carta; oppure Ultrazine e Comics Code (per cui scrissi qualcosa su Chris Ware, se ben ricordo); gli esperimenti artistici di Inguine. E centinaia di blog, italiani, americani, francesi, spagnoli, brasiliani, portoghesi…
Credo che nel 2007/2008 il mio feed reader avesse già oltre un centinaio di fonti, di cui una buona metà fumettistiche. E infatti nel 2010 non riuscivo più a leggerlo: nel giro di due anni si era intasato. Fra i tanti, ancora ricordo: Coconino-Classics, che è stato il principale motore per la diffusione online di fumetti “delle origini”; lo splendido collettivo americano di teste pensanti intorno a ComicsComics; la miniera di dati sul manga ComiPress; lo straordinario Same Hat di Ryan Holmberg; Du9 con la sua sensibilità per il fumetto d’avanguardia francese.»

Dato per assodato che il web in venti anni è cambiato e di conseguenza è cambiato anche il modo di approcciarsi alla critica fumettistica in rete, anche con Stefanelli ci siamo soffermati a riflettere sulle conseguenze positive o negative che ha avuto questo cambiamento sul modo di scrivere di fumetto: tutto si è fatto più veloce, i social media hanno fatto saltare il banco dei rapporti interpersonali, consolidato nei precedenti anni analogici e nella prima era digitale.

«In estrema sintesi, penso che siano cresciuti il peggio e il meglio. Il peggio, ovvero la mediocrità delle opinioni da bar (o fondate su autentica incompetenza) trasformate in voci di ‘influencer’ – talvolta persino permalosi, supponenti o scorretti – che amplificano il naturale inquinamento cognitivo. Il meglio, ovvero l’esplosione delle specializzazioni – su temi, autori, editori, periodi – e della soggettività come chiave per la produzione di discorsi critici. Alla faccia del mito dell’oggettività, infatti, la critica è anche la produzione di punti di vista ben argomentati. Nel fumetto, inoltre, l’avvento dei blog ha rivoluzionato la scrittura critica perché ha messo in crisi il predominio dell’enciclopedismo spicciolo. Un autentico ‘virus’, una deformazione degli evangelisti che aveva reso inutile tanta produzione cosiddetta critica, ma che di critico aveva ben poco: schedine su autori, riassuntini di opere, liste di futili dettagli.

Intendiamoci, nulla contro la posizione emotiva del fan – siamo tutti fan di qualcosa, e abbiamo il diritto di esprimere qualsivoglia passioni – ma fare critica non si riduce alla condizione di un “lettore competente” che sa scrivere. Questo, semmai, è l’equivoco della critica-fandom, quella che già Umberto Eco sfotteva saggiamente parlando di chi scrive di “un fumetto qualsiasi come se si trattasse della Iliade”. Pikappa non è Asterix, così come Cyril Pedrosa non è Alberto Breccia, e se qualche lettore – o editore, o autore – non accetta di distinguerli (magari anche offendendosi: ne ho viste di tutte), significa che non solo la critica, ma l’idea di fumetto, rischia di tornare indietro di 50 anni.

Oggi, nonostante una maturazione nei temi (la specializzazione che dicevo), e nelle forme (la diversificazione degli obiettivi e degli stili di scrittura), la critica sconta anche nuovi problemi. La lista è lunga, come argomentava bene una recente e spietata analisi di Alex Ross, in un altro ambito, sul New Yorker: lo sfaldamento del suo ruolo di mediazione fra produttori, creatori e lettori (la prossimità e orizzontalità dei social non aiuta la “distanza critica”, o non sempre), l’ipertrofia quantitativa (se chiunque può scrivere, come distinguere ciò che conta?), la conseguente moltiplicazione di nuovi micro-servilismi (la critica come mero presidio di piccoli ecosistemi o comunità) e la sua diluizione nelle forme di un giornalismo veloce che bada più a promuovere il consumo che a discutere il merito delle questioni. Il risultato è che fare critica, oggi, non è più fare discesa, ma è fare slalom. Vale però anche per il pubblico, che sa bene di essere sempre più alla deriva in un oceano di link, fake news e bolle comunicative. I cambiamenti ci sono e i problemi pure, ma la “critica-slalom” esiste e se la cava – a volte – davvero molto bene.»

Eccoci tornare all’equivoco della differenza tra critico e lettore competente.
Dalle risposte degli intervistati in rappresentanza di varie delle prime storiche realtà web, spesso è venuto fuori che molti hanno rifuggito la definizione di “critico” per loro stessi e di “sito di critica” per le loro creazioni.
Se da una parte ciò è encomiabile e va a merito degli interessati la consapevolezza dei loro “limiti” o della loro presa di coscienza di mancanza di un bagaglio di strumenti adatti, dall’altra – provocatoriamente – nelle loro risposte si potrebbe leggere una mancata assunzione di responsabilità. Quasi che definirsi “semplice lettore (competente)” costituisse ragione sufficiente per esprimere posizioni non sorrette da ragionamenti. Ciò impoverisce e depotenzia l’intero movimento di divulgazione sul web, perché crea un’area di  ambiguità nella quale ciò che si scrive non mira a suscitare una discussione, ma solo ad affermare una posizione personale.

«Assolutamente, concordo. Dalle risposte dei tuoi intervistati traspare che in alcuni c’è un sincero spirito di fandom, senza troppe rivendicazioni. Capita a molti, ormai, di avere un sito su vini, birre, gatti, calcio, romanzi, film, serie tv, ma non per questo tutti si autodefiniscono sommelier, veterinari, allenatori o critici. Tuttavia registro anche io un atteggiamento curioso, diverso da quello comune in altri settori culturali (e qui elimino gatti e calcio): più che scarsa responsabilità, ci vedo confusione negli obiettivi e un certo anti-intellettualismo di fondo.»

 

Da qui, naturalmente, nasce la sfida della costruzione di un’autorevolezza, che sia riconosciuta non solo nel piccolo cerchio di chi si occupa di fumetto, ma anche fra i lettori. In modo che sia possibile orientarsi nel territorio fluido della critica/divulgazione.

«La confusione è figlia di casi specifici, ma anche di scarsa professionalità: molti siti non si sono saputi dare una linea precisa al di là della espressività personale o della generica evangelizzazione al fumetto. Invece che pensarli come progetti professionali, veri side-project da dirigere e sviluppare (con obiettivi di profitto o no profit che siano), li hanno pensati in una ottica hobbystica. Nulla di male – anzi! – nel passare il tempo sulla propria passione, ma è un peccato vedere disperdere parte dell’energia del divertimento hobbystico in sermoni o rivendicazioni.

La componente anti-intellettualistica, invece, è evidente in coloro che ribaltano la domanda mettendo in discussione l’esistenza stessa o l’essenza della critica, come fosse discutere di un qualcosa di etereo, “sesso degli angeli”. Il che è falso, oltre che sbagliato. La critica come sappiamo esiste eccome, tanta o poca che sia. L’anti-intellettualismo, si sa, oggi è tornato a essere molto diffuso. E qui non serve certo ricordare su cosa si fondi, in Italia, il successo di alcuni movimenti politici; ma non è solo un fenomeno italiano, come sappiamo bene. Forse si potrebbe aggiungere un aspetto più specifico relativo al fumetto: per molte persone vissute in un contesto e/o in un’epoca in cui il fumetto era percepito come un consumo povero, poco degno e intellettualmente scarso, l’anti-intellettualismo rimane un tratto costitutivo – diciamo involontario, o riflesso condizionato – della loro stessa percezione del ruolo del fumetto nella società. In fondo la pensano così ancora molti autori stessi. Il fumetto, che sia Pikappa o Davide Reviati, era e rimane un fenomeno anche intellettuale, che richiede strumenti critici e pratica critica; per Pikappa e Reviati, però, non possono essere utilizzati bagagli identici; e questo, forse, alcuni “critici web anti-critica” non lo possono ammettere perché, semplicemente, non ne hanno davvero gli strumenti. O meglio, non hanno ancora superato la condizione di membri di una subcultura “dominata” – per dirla un po’ alla Bourdieu – che per uscire da quella impasse dovrebbe cambiare set di categorie (e quindi, in parte, anche di letture).»

Il discorso qui ci porta a chiedere a Stefanelli quali possano essere dunque gli strumenti che un bravo critico e divulgatore dovrebbe usare e, cosa più importante, dove e in che modo oggi potrebbe acquisirli.
Questa educazione al fumetto di cui parliamo è un progetto il cui fine è la diffusione di un amore critico e consapevole verso il fumetto stesso. Dunque, per partecipare a una simile impresa è opportuno non partire disarmati. Se suonerebbe quasi una scusa quella di voler conoscere “tutto”, prima di iniziare, è chiaro che esiste un bagaglio minimo di sopravvivenza, che poi si arricchirà nel corso del tempo.

«Niente ricettari segreti e dritte furbuffe. Da una parte credo nel mio mestiere di docente, e penso che studiare serva, oggi persino più che mai visto che la concorrenza è (almeno quantitativamente) aumentata e per incidere serve avere una preparazione solida e ricca. Dall’altra parte, il mio solo suggerimento è leggere sia buona critica fumettistica che buona critica non fumettistica. Insisto molto su quest’ultimo aspetto: leggere critica culturale. Non solo su cinema e tv, però. Esistono anche l’arte, la letteratura, il design – e la politica, perché la riflessione sulle forme culturali non può vivere disincarnata dalla consapevolezza sui processi economici e sociali. Chi passa il tempo a leggere fumetti e un pugno di siti di critica fumettistica, non avrà mai l’elasticità e la densità necessarie a fare buona critica, nemmeno se “specializzata” solo nel fumetto.»

Insomma, secondo Matteo Stefanelli, per saper parlare di fumetto, non solo fumetto si deve leggere e studiare ed è un atteggiamento condivisibile. Avere ampie vedute, allargare i propri interessi contribuisce senza dubbio ad arricchire le proprie riflessioni anche nell’ambito della propria passione – il fumetto in questo caso – che come tutte le arti non può essere slegato  e non essere specchio nella società e nell’ambito culturale dal quale nasce, anche quando il suo unico intento sia quello dello svago o dell’intrattenimento.
Un po’ come quando si dice che un aspetto fondamentale della scuola secondaria di secondo grado è quello di fornire agli studenti un metodo di studio con il quale affrontare l’università, a prescindere dalla facoltà o dalla materia in oggetto, anche quando si parla di fumetto diventa importante una preparazione che si basi sullo studio della critica, a prescindere dall’oggetto della stessa.
Leggere critica culturale in generale, per vedere come è scritta, come è impostata, a prescindere dai contenuti, senza comunque tralasciare questi ultimi.

 

Fine prima parte

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