I contenuti dello Speciale che nei mesi scorsi abbiamo dedicato ai pionieri della critica web, le variegate e interessanti risposte che quei protagonisti della prima stagione della divulgazione fumettistica in rete hanno dato nelle interviste loro dedicate, hanno sollevato vari spunti di riflessione. Molti di questi toccano temi ancora attuali nel dibattito critico intorno al fumetto e, soprattutto, fanno da sponda a un allargamento della riflessione a che cosa significa fare critica e divulgazione fumettistica oggi sul web, quali siano gli strumenti che un critico dovrebbe avere nel proprio bagaglio intellettuale, quali gli errori endemici più comuni.
Abbiamo così pensato che sarebbe stato interessante affrontare questi argomenti con una figura importante del panorama critico e divulgativo del fumetto italiano, non solo sul web, ma anche in ambito accademico. Da qui è nata l’idea di invitare Matteo Stefanelli a condividere un’ampia riflessione a tutto campo che, partendo dalle risposte date dai nostri intervistati, ampliasse il ragionamento per una analisi più generale del sistema della critica fumettistica italiana.
[Un ringraziamento speciale a Simone Rastelli, che ha contribuito a questo approfondimento con alcune interessanti riflessioni sparse qua e là.]
Leggi qui la prima parte di questo dialogo
Agli intervistati del nostro Speciale sugli albori della critica web avevamo posto una domanda che partiva dal seguente assunto del saggista e critico letterario Filippo La Porta: “L’unico risultato della scomparsa della critica seria e circostanziata sarebbe l’appiattimento del movimento letterario e delle opere che esso produce a un livello dove quest’ultime restano indistinte le une dalle altre”.
Il quesito voleva portare a riflettere sull’importanza della critica e di chi cerca di farla per l’intero movimento del fumetto: questione a nostro giudizio fondamentale (per il quale motivo, altrimenti, esisterebbero realtà come Lo Spazio Bianco, Fumettologica, etc?) sulla quale anche Stefanelli ha una posizione molto netta.
«La questione è tanto antica quanto chiara: la critica è importante. Quanto? Tanto, e per farla semplice la riduco a questo: quanto l’opinione fondata e ben argomentata di una persona, a noi nota o meno, con cui capita di intrecciare un discorso su un tema qualsiasi.
In un ecosistema di produzione e consumo di cultura, la critica non è che un tassello del più ampio processo con cui la cultura avanza, si fa e si disfa, in un incessante andirivieni fra idee e controdeduzioni. La Porta dice bene perché la critica è concime, sia quando svolge il ruolo di “spiegazione” (o divulgazione, o disseminazione), sia quando propone giudizi che smontano opere comparandone le premesse (o gli esiti) con altre esperienze più utili (la critica “militante”), sia – e soprattutto – quando lavora per spostare in avanti le idee offrendo ragionamenti nuovi (la critica “speculativa”).
Non voglio dire con questo che la critica sia sempre buona, perché esiste certamente una critica buona e una dannosa. Ma quando parliamo di critica fumettistica, ovvero in qualche modo di una pratica specialistica che vive in un ecosistema definito, la sua funzione è sia di smistare parte del traffico di ‘attenzione’ verso un’opera (o una questione), sia di nutrire un percorso di scambio – attraverso la riflessione – cui partecipano un po’ tutti, lettori come autori come editori.
Nella esperienza mia e di tanti colleghi, molti episodi emblematici riguardano quelle stroncature inflitte a opere di eccellenti autori (o editori) che, magari senza esprimersi in pubblico, hanno fatto arrivare al critico sofferte ma sentite repliche sul merito, finite in lunghi scambi densi e intelligenti, tornati utili in seguito tanto al critico quanto alla sua controparte, o ad altri critici, o ad altri artisti o produttori.
Nessun buonismo in questo: la critica ha la sua autonomia, e non sempre centra il bersaglio, così come non sempre trova dall’altra parte soggetti in grado di reagire con maturità professionale o intellettuale.Ma resta vero quel che dice La Porta: là dove c’è critica viva e buona, c’è un movimento culturale più vivace e stimolante. In fondo la critica non è che un epifenomeno dei più ampi processi democratici: dove c’è libertà di pensiero c’è buona critica e buona arte, più di quanto non avvenga laddove le dinamiche democratiche sono compresse da forze politiche o economiche anti-liberali. La questione è tanto antica quanto chiara, appunto.»
Critica che dunque generi un dibattito, tra le varie parti in causa. Un dibattito costruttivo, maturo, professionale che faccia crescere tanto chi scrive di fumetto quanto chi scrive fumetto.
Purtroppo, come si legge tra le righe del pensiero di Stefanelli, quando (sempre troppo raramente) avviene, si esplica nella sfera privata di un contatto diretto tra critico e autore/editore. Questo resta senza dubbio un momento di scambio positivo, ma sarebbe anche auspicabile che non ci fosse reticenza – soprattutto da parte degli autori – a renderla una abitudine di pubblico dominio, fermo restando la disponibilità anche del redattore dell’articolo all’accoglienza delle tesi dell’altra parte e alla confutazione della sua analisi.
Se ciò avvenisse con maggiore frequenza, sarebbe un momento altamente costruttivo per il lettore e anche il sintomo di un “sano” rapporto dialogico tra critica e autori, che si basi su un reciproco riconoscimento di ruoli – che è qualcosa di diverso dal concedere rispetto e stima ad personam, e che vada oltre i rapporti amicali che possono nascere in un ambiente così relativamente piccolo come l’universo del fumetto italiano.
Perché, se dalle interviste fatte emerge che, nei primi anni dell’esperienza web, il rapporto con il mondo professionistico del fumetto non era così radicato e forte come invece oggi pare essere, l’attuale vicinanza, tra realtà di critica e realtà produttive – ulteriormente facilitata dal largo utilizzo degli strumenti “social” della rete – per certi aspetti “bagna le polveri” al tentativo di fare critica correttamente.
Da un lato ci può essere il fine di chi scrive di tentare di usare questa “amicizia” con autori e case editrici come porta per accedere al mondo del fumetto professionistico, e dunque non fare dell’obiettività e dell’onestà intellettuale uno dei cardini quando scrive di fumetto. Dall’altro però si può vedere anche un certo “disagio” degli autori verso il mondo della critica, che spesso si manifesta con polemiche, flame sui social network e cose così. Anche qui forse andrebbe fatta chiarezza e provato a mantenere una maggiore distanza tra la realtà critica da quella “produttiva” del fumetto.
«Sì, oggi la prossimità tra gli attori del sistema è una cosa splendida ma anche un problema nuovo proprio per la critica. Voglio però fare un esempio, forse provocatorio: anche François Truffaut, quando per anni fece il critico di cinema per i Cahiers du cinéma, “usò la critica” per accedere ad un’altra carriera, come regista.
Non dobbiamo perciò vedere questa dinamica come sbagliata di per sé. Il punto è un altro: il mondo professionistico del fumetto non sono solo gli editori, ma anche gli autori, i critici e i giornalisti. Almeno coloro che intendono il proprio ruolo con serietà. Ovvero: certe cose si fanno e altre no; certe si possono fare solo con alcune cautele; se ci sono problemi si affrontano con correttezza professionale. E mai perdere la calma.Quello che trovo inusuale è semmai la quantità di polemiche dirette autori-critici o autori-autori. Trovo che in altri settori, come la tv o l’editoria letteraria ad esempio, la professionalità imponga di risolvere le controversie in ambito professionale, e non sui social. In questo senza dubbio, c’è ancora una certa immaturità di alcuni. Ma vedo anche che molti imparano dagli errori, e che le case editrici – sempre più managerializzate e proceduralizzate – stanno dando un contributo di crescente qualità»
C’è una chiara sensazione che la comunicazione attraverso i social network sia utilizzata senza particolari accortezze, confondendo (o fingendo di confondere) i vari livelli del discorso; un’assenza di chiarezza/lucidità che genera spesso polemiche il cui obiettivo sembra essere la promozione o difesa di status da parte di singoli (pensiamo ai sedicenti influencer). Paradossalmente, l’effetto che andrebbe sfruttato è che questo comportamento svela lo spessore e le finalità autopromozionali di molti individui: cosa che dovrebbe pesare nel processo di riconoscimento dell’autorevolezza.
«Le polemiche vanno e vengono. Le relazioni di lavoro serie, quelle rimangono e durano nel tempo. Non ho mai vissuto una fase di relazioni professionali tanto ‘banali’, tra critici e editori di fumetto, come quella di oggi: ciascuno fa il suo, stroncature incluse, e si passa ad altro.
I social complicano un po’ la vita a tutti, ma in fondo Facebook è un mezzo ancora relativamente giovane, e le nuove generazioni offrono già segnali di disinteresse verso gli abusi dei “flame quotidiani”, supportati dalla crescente responsabilizzazione delle stesse piattaforme, sempre più impegnate a contenere i fenomeni di vero e proprio trolling. Il fumetto era e rimane un settore sottorappresentato nei discorsi pubblici. Ovvio che l’esplosione di visibilità offerta da internet abbia portato con sé dinamiche da, come dicevo, “ubriacatura da opportunità”, in un settore che ha avuto meno luoghi destinati alla presa di parola.»
In Italia ci trasciniamo dietro un grosso equivoco da anni. Da noi ci sono stati e ci sono dei siti che fanno soprattutto informazione,news e un poco di critica e siti che invece tentano soprattutto di fare critica e un po’ di informazione. La sensazione è che critica e informazione vengano messe sullo stesso piano, facendo passare certe operazioni d’informazione come critica quando invece non lo sono.
È un’ambiguità che pare fare comodo sia ad addetti ai lavori sia ad autori, che nessuno ha mai tenuto a chiarire e che, di nuovo, va a detrimento dell’auto-consapevolezza che un movimento di critica dovrebbe avere.
«Anche il Corriere della Sera fa informazione, ma ospita allo stesso tempo molta critica. Capisco la questione, ma non mi pare rilevante qui: stiamo parlando di critica al di là della proporzione ‘geometrica’ che essa occupa in un contenitore. Piuttosto, troverei interessante approfondire, prima o poi, il tema dell’informazione: ci sono testate che offrono quasi solo informazione di seconda mano (tante), e altre che vanno a produrla, cercarla, sollecitarla (poche).
Anche fare informazione è un mestiere non solo serio e utile, ma influente sul piano dello stimolo alla riflessione. Produrre informazione può generare effetti profondi, in grado di influenzare i produttori, i creativi e la stessa prospettiva critica, più di quanto non possa fare il puro e semplice ‘repackaging’ di informazione prodotta altrove (all’estero in primis).La buona critica, in fondo, si fonda proprio sulla buona informazione. La crescente diffusione dell’inglese, peraltro, è già un fattore palese di come certa informazione italiana sul fumetto non serva a nulla: il pubblico e gli operatori stessi preferiscono, spesso, informarsi – almeno per gli highlights e le breaking news – alla fonte (americana, francese, giapponese). Purtroppo in Italia molti siti di informazione sono piattaforme di mera “traduzione di informazione” prodotta altrove.»
Ad onor del vero, se non possiamo che concordare con Stefanelli sull’utilità e serietà del fare informazione, non possiamo d’altro canto notare come l’ambiguità, ad avviso di chi scrive, stia proprio nel fatto che talvolta si cerca di fare passare l’informazione per critica (e viceversa). È giusto che un “contenitore” contenga più “scomparti” (l’informazione, la critica, la voce dei vari protagonisti, etc.): l’importante è non fare confusione tra questi e far finire, passateci l’esempio “casalingo”, le mutande insieme ai maglioni.
Quando c’è chiarezza, dichiarazione delle fonti e assoluta onesta in quello che si vuol offrire al lettore, anche il fornire al panorama italiano informazione prodotta all’estero ha un suo valore e senso.
Chiaro che la sfida posta da questo tema è precisamente quella di valorizzare i vari elementi rispetto al tipo di lettore al quale ci si rivolge e rispetto alla visione della propria attività – che si dovrebbe declinare in una linea editoriale.
Ritornando ora al significato e al senso della critica, un altro aspetto molto interessante che viene fuori dalle risposte alle interviste è la definizione di critico e di critica fumettistica, molto varia. Porto a esempio una di quelle che personalmente mi hanno più colpito, data da smoky man, che riverbera concetti espressi anche da altri intervistati come Marcello Vaccari:
“La critica richiede distacco, anche temporale. Oggi viviamo tutti immersi nel “real time” e in un ronzio di tweet. Tutto può essere un capolavoro, senza specificare i motivi. La critica anche quando stronca deve indicare dei parametri, dei criteri, deve giustificare l’analisi. Fare critica richiede pensiero e tempo: è un compito difficile e meritorio.”
Ritorna in queste parole il concetto di fruizione la più veloce possibile che viene imposto alla nostra vita ed esperienza contemporanee, tanto nel digitale quanto nel sociale, di lettori e di “divulgatori”. Anche questo potrebbe andare a detrimento della creazione di un vero e proprio movimento di critica italiano, vista la necessità di scrivere subito e pubblicare velocemente di tutto, bruciando le tappe anche e soprattutto per le penne più giovani che avrebbero bisogno di un maggior periodo di formazione.
«La rete ci offre opportunità: più di prima, i nostri siti ci consentono di pubblicare sia contenuti lunghi che brevi. A noi la scelta. Sì, il real time è a volte un peso. Ma penso anche che possa essere una liberazione: scrivere lungo, oggi, è un gesto ancora più prezioso, che non va sprecato – come hanno fatto tante fanzine un tempo, o tanti blog – riversando testi lunghissimi che ripetono nozioni già note e stranote altrove. Smoky man peraltro lo sa bene, lui che in realtà pubblica spesso contenuti brevi, ma non per questo futili, oltre che lunghe interviste. Chi invece auspica siti di critica zeppi di soli testi lunghissimi, invece, poi non legge né il Comics Journal né il New Yorker …
Ripeto: la questione non è lungo versus breve, perché la lunghezza non è un valore di per sé. La lunghezza è funzione dell’obiettivo, non della qualità; e “approfondimento” oggi si può fare anche in poche righe, se lo si intende come effetto generato dall’offerta di idee o chiavi di lettura originali, e non dalla mera compilazione. Altrimenti torniamo alla pedagogia degli anni Cinquanta, con le maestre schierate a favore del romanzo ‘lungo’ e contro il fumetto ‘perché troppo breve’. Sarebbe un bel paradosso, no?»
Assolutamente, sì, un bel paradosso e sicuramente nel mondo odierno saturo di stimoli molteplici, il dono della sintesi, un’alta qualità di contenuti con tutte e sole le parole che servono ad esprimerli, è un dono da coltivare: non ammetterlo, sarebbe un atteggiamento retrogrado.
Ma come ammette lo stesso Stefanelli, gli spazi per i “pensieri lunghi” devono continuare a esistere, soprattutto in un mondo digitale nel quale i contenuti restano per sempre (?) a disposizione di tutti, una volta messi in rete.
Stefanelli conosce molto bene anche il mercato fumettistico d’oltralpe ed era doveroso chiedergli una riflessione che scaturisce dalla lettura del rapporto ACBD sul 2016. In esso leggiamo che i nostri cugini d’oltralpe possono contare su 24 riviste presenti in edicola e 44 siti web di critica e divulgazione fumettistica (per non parlare degli 87 saggi cartacei pubblicati), a fronte del “desolato” panorama italiano con un paio di riviste in edicola e i siti web più “strutturati” che non arrivano forse neanche alla decina. È lecito chiedersi se quei numeri sono un sintomo o una conseguenza di un movimento italiano di critica e divulgazione poco riconosciuto e non coeso.
«In parte sì e in parte no. Innanzitutto, se in Francia ci sono 3 o 4 volte i lettori che ci sono in Italia, la proporzione non mi sembra così squilibrata. Un aspetto più problematico, invece, è il rapporto fra editori e siti. In Francia la relazione è più strutturale, perché la filiera è più integrata: gli editori francesi hanno tutti uffici stampa ben organizzati più di quanto non accada in Italia; gli stessi editori hanno piccoli budget di pubblicità diretta da destinare alle testate web; le testate in attivo sono quelle che presidiano segmenti precisi; ecc.
E poi ci sono i numeri: più siti non significa necessariamente più traffico. Conosco qualche dato di alcuni noti siti francesi, ed ho appreso – non senza stupore – che sono inferiori a quelli di Fumettologica. Ma i dati cambiano in fretta, sono in generale riservati, e senza informazioni precise e aggiornate evito considerazioni ulteriori. Tuttavia non ne farei un cruccio: è un mercato più grosso, normale che il panorama sia più vasto.»
A prescindere dall’impossibilità di un rapporto tra mercati di dimensioni diverse, quanto sarebbe auspicabile avere anche in Italia un rapporto annuale analogo a quello dell’ACBD che, ricordiamo, propone comunque i numeri delle tirature, non del venduto? Il potere ragionare e riflettere con cifre alla mano, chiare e incontrovertibili, seppur dinamiche e mutevoli velocemente. Sarebbe ulteriore elemento di chiarezza, trasparenza e onestà tra le varie parti in causa.
Tornando proprio al panorama critico nostrano, qualche mese fa, in una trasmissione radiofonica sul fumetto, Stefanelli ha espresso la considerazione che in Italia è difficile trovare “buone penne” che scrivano di fumetto, in particolar modo di fumetto seriale. In quella sede il direttore di Fumettologica non ebbe il tempo di argomentare la sua affermazione né di approfondirla. Gli abbiamo lasciato qui lo spazio, chiedendogli di fornirci la “sua” ricetta per allevare bravi critici che sappiano scrivere in italiano e sappiano di ciò che scrivono.
Entriamo quindi nel campo della formazione del critico/divulgatore, tema centrale e quotidiano anche nella redazione de Lo Spazio Bianco, dove cerchiamo di stimolare la maturazione critica delle penne. Stefanelli è egualmente coinvolto nella questione in quanto direttore responsabile di Fumettologica ed è chiaro a lui come a noi che senza buone penne ogni ambizione di autorevolezza resta velleitaria.
«Ribadisco e torno volentieri su quel concetto. Perché in parte è una questione generale, legata a quel che dicevo intorno alla mediocrità che affolla la scrittura sul fumetto inquinata da entusiasmo acritico, enciclopedismo spicciolo, piattezza nella scrittura, obiettivi espressivi più che analitici o intellettuali. Ma il problema maggiore lo vedo in una porzione più limitata delle “penne” critiche: il rapporto con i prodotti seriali.
Mi spiego. In Italia abbiamo non solo ottimi critici letterari, musicali, cinematografici ma, ormai, una o due generazioni di critici molto bravi e competenti che si occupano di serie tv o di videogames. Eppure mancano critici bravi a scrivere di fumetto seriale. La causa però non sta né in una sfortunata maledizione né si riduce alle ragioni economiche di un mercato “piccolo e povero” in cui quelle penne non troverebbero spazio.
Basti pensare al mercato, ancora più limitato, del graphic novel in Italia. Lo sviluppo di questo segmento ha portato con sé un bel vento fresco, tanto verso gli autori ed editori che verso i critici: nuovi artisti, nuove etichette, ma anche nuove penne. In 15 anni di colleghi ne ho visti ‘emergere’ molti, sulle stesse pagine per cui ho scritto io o altrove, da Rolling Stone a Zero, da Lo Straniero a XL-Repubblica, da Internazionale a LaLettura, e tuttavia di nuove penne che scrivono di fumetto seriale (italiano) ne ho viste pochissime.
Ricette non ne ho, ma so fare una diagnosi: come la qualità della critica si specchia nella qualità delle opere (vedi Gipi, Fior, Igort, Reviati: grandi talenti, sui quali hanno scritto pagine bellissime molte grandi penne, narratori, giornalisti o critici), così la qualità delle opere si specchia nella qualità della critica. E qui casca l’asino: dove sono i nuovi gioielli della serialità a fumetti tali da attirare l’attenzione, l’energia, le idee, lo stile delle “migliori penne possibili”?
Se mancano bravi critici esperti in fumetto seriale italiano, oggi, è forse anche perché manca buon fumetto seriale italiano. Dunque per vedere nuove buone penne scrivere di fumetti seriali, dovremo aspettare nuovi fumetti seriali che possano competere con la qualità della serialità giapponese, americana o francese – per le quali, non a caso, esistono numerose penne critiche di grande qualità.»
Pensiero “forte” questo, che peraltro richiama la posizione, nel campo della letteratura scritta di Vittorio Coletti , che ha suscitato un’interessante discussione, ma che il sottoscritto sente di non condividere fino in fondo.
A ridosso della trasmissione radiofonica dove Stefanelli aveva espresso in origine la sua convinzione, avevo scritto una mia riflessione sulla questione, che potete trovare nel blog di redazione de Lo Spazio Bianco.
Quel che esponevo in quello scritto, in un certo senso può legarsi anche alla soprastante riflessione di Stefanelli. L’idea, da sempre diffusa tra un cospicuo numero lettori e critici, che il fumetto seriale italiano (riferendosi in special modo al fumetto bonelliano) sia classico, tradizionalista, disinteressato all’innovazione e spesso rivolto a fasce di lettori “maturi”, che vogliono continuare a leggere le stesse avventure dei loro beniamini, come quando li avevano scoperti da giovani.
Fermo restando che il fumetto seriale – italiano o anglofono che sia – ha in sé insita una certa dose di “conservatorismo” (lo stesso Eco lo ammetteva), credo che esista un preconcetto per molte “penne critiche” allo scrivere di seriale italiano, convinti che in esso non ci sia niente di nuovo da scoprire.
In tutta sincerità, non ritengo che manchi buon fumetto seriale italiano: manca la curiosità di cercarlo e l’abitudine a darne per scontata la bassa qualità. Qualità che invece c’è, ma deve essere parametrata (e quindi analizzata) con logiche diverse (e quindi con strumenti critici in parte diversi) rispetto alla graphic novel e alla storie “one shot”.
In conclusione, tornando al focus che ha contraddistinto lo Speciale sui pionieri della critica sulla rete, ci è parso interessante avere il parere di Matteo Stefanelli tanto su quale sia stato l’apporto di quelle prime realtà web alla crescita del movimento della critica fumettistica in questi ultimi venti anni, quanto su quale valore e ruolo la critica possa ricoprire nella più generale crescita del movimento fumettistico italiano.
«Io penso che la critica, in Italia, abbia contato e stia contando più di quanto non si dica. Per esempio molti uomini di editoria, oggi alle redini di collane o case editrici, vengono proprio dall’esperienza critica prima ancora che da quella manageriale: penso a Masiero in Bonelli o a Lupoi in Panini, ma potrei nominarne molti altri. E non possiamo dimenticare che nell’esperienza critica e di riflessione hanno affondato le loro radici due delle più grandi bandiere del movimento fumettistico italiano: il festival di Lucca e la rivista Linus, sin dal lontano 1965.
E inoltre, possiamo forse immaginare che l’idea di fumetto, in Italia, possa prescindere dal contributo che ha dato per 50 anni Umberto Eco? Io penso di no. Ma non dimentichiamo tanti critici fumettistici – part time o full time – protagonisti in altri settori, da Federico Zeri a Francesca Alinovi a Pier Vittorio Tondelli. Il fumetto ha ispirato molta buona critica, in Italia, che ha seminato sia dentro che fuori dal mondo specialistico del fumetto.
Certo, la critica fumettistica in Italia ha avuto meno protagonisti influenti rispetto a quanto avvenuto in Francia o Stati Uniti. E questo è un dato a nostro sfavore. Ma se l’Italia è uno dei quattro o cinque leader mondiali nel mercato e nella creatività del fumetto, lo è anche sul piano della critica e della produzione intellettuale intorno al fumetto. Non dimentichiamolo. Oggi il problema è che la difficoltà nel nostro export di fumetti viaggia in parallelo alla difficoltà di export della sua critica: il dominio dell’inglese come lingua veicolare ci sta penalizzando. E la critica italiana fatica a farsi tradurre, ancora più dei fumetti.
L’apporto del web, poi, ha dato e sta dando molto al fumetto italiano, anche proprio grazie alla produzione critica. In realtà la critica ha fatto da collante tra pezzi di un settore molto frammentato e poco comunicante fino a pochi anni fa, diviso com’era tra ambiti e generi rigorosamente compartimentati (bonelliani, disneyani, supereroi, manga, ‘decani’, autori all genre, indipendenti). Gli editori e gli autori cercano riscontro critico oggi molto più di venti anni fa; i lettori che leggono siti di critica sono numerosi e in crescita.
La critica serve, peraltro, a fornire competenze che un tempo non erano troppo necessarie: redazionali, contenuti speciali, introduzioni, dossier storici, e tanta stampa periodica o generalista che volendo iniziare a occuparsi di fumetto sceglie, spesso, di affidarsi a critici esperti (con mille distinguo, naturalmente). Nulla per cui gridare al “Rinascimento della critica”, ma nemmeno nulla per cui suonare le “campane a morte della critica”. Semplicemente: c’è, ci siamo, alcuni spazi resistono a fatica, ma altri viaggiano sereni su binari impensabili fino a pochi anni fa.»
Sguardo ottimista, dunque, quello di Stefanelli al quale viene facile associarsi, augurandoci che tra vent’anni possa esserci qualcuno al nostro posto a dedicare un approfondimento a quattro decenni di critica e divulgazione fumettistica in rete.
È un augurio che ci sentiamo di fare a Matteo Stefanelli – oltre a ringraziarlo per questo bel dialogo -, a noi de Lo Spazio Bianco e a tutti i protagonisti che quotidianamente, ognuno a modo proprio, arricchiscono il panorama web del parlare sul fumetto.