In un futuro imprecisato, l’acclamata giocatrice di pallavolo Mara Prince scopre di avere dei superpoteri. Tale rivelazione la porta a riconfigurare l’intera esistenza e ad affrontare un mondo che improvvisamente la odia, mentre le sue peripezie personali si intrecciano con quelle del fratello gemello Mark, soldato professionista.
Lo sfondo di questa storia è una società futura chiusa, opprimente e asettica, totalmente assuefatta e dipendente dalle telecomunicazioni, impegnata in una guerra lontana e intangibile. Ognuno ha un proprio destino predeterminato dal quale è impossibile sfuggire e valori fondamentali come “l’eccezionalità personale, l’orgoglio per la vittoria e la consapevolezza di sé” vengono instillati sin da piccoli.
Da un punto di vista tematico, è possibile identificare all’interno dell’opera alcuni filoni principali: tra questi, sicuramente grossa importanza viene riservata al rapporto tra il singolo e la società, alla solitudine e all’impossibilità di essere compresi. Rappresentativa la scena iniziale: nelle prime tre tavole è onnipresente il sottofondo della televisione, degli sponsor della partita imminente e dei reportage di guerra. La tavola successiva è una splash page in cui esplode il silenzio: la giovane protagonista si appresta a entrare in campo e, nonostante sia la giocatrice più importante e pagata del mondo, è sola. Il mondo è fuori, le sue compagne di squadra sono altrove, la solitudine la circonda.
La successiva scoperta dei propri poteri straordinari è per Mara un’arma a doppio taglio e la ragazza passa attraverso la gogna mediatica per il rilevante sospetto di aver imbrogliato nel conseguire i successi sportivi. Brian Wood decide però di non concentrarsi troppo sul lato giudiziario né sul peso schiacciante della responsabilità derivante dal conferimento dei superpoteri, seguendo invece la via del progressivo isolamento di Mara. Nel percorso dal primo all’ultimo episodio, Mara perde definitivamente i contatti con il mondo esterno.
I dialoghi assillanti lasciano pian piano il posto alla voce narrante, fino al climax del quinto (e penultimo) episodio, in cui viene definitivamente messa in discussione la natura profonda della protagonista: fin dove ci si può spingere per vendicarsi di un mondo che ti perseguita?
A seguire, nell’ultimo capitolo, emblematicamente la voce narrante diventa quella della stessa Mara e il viaggio si permea di ricordi e suggestioni, a dare profondità e coerenza alla storia. Sono gli ingranaggi stessi della società in cui vive ad averla resa ciò che è, perfettamente figlia di un mondo ossessivo e intransigente.
Con un classico espediente narrativo, Brian Wood utilizza l’ambientazione fantascientifica per amplificare i difetti della società contemporanea. Wood, autore di vari lavori profondi e ideologicamente stimolanti (DMZ su tutti), in realtà qui suggerisce più di quanto riesca a raccogliere: sicuramente più interessante nelle premesse che nell’effettiva lettura, l’opera non porta fino in fondo tutte le idee d’origine, lasciandole in parte irrisolte.
I disegni di Ming Doyle sono una piacevole sorpresa. L’autrice, nota soprattutto per il lavoro su Quantum & Woody (Valiant), si dimostra capace di donare espressività ai personaggi e metterli in scena con buona drammaticità. Il suo è un lavoro d’atmosfera, in cui la precisione dei dettagli a volte viene meno a favore della descrizione delle emozioni. Uno stile underground che rappresenta il giusto contrappunto grafico alle bizzarre idee di Wood, rendendo omogeneamente singolare la storia. A questo contribuiscono anche i colori netti e intensi di Jordie Bellaire, decisamente funzionali alla narrazione.
In definitiva, Mara è un volume godibile ma non imprescindibile, in cui l’orizzonte del futuro e il destino di una giovane giocatrice si ergono a lente d’ingrandimento delle nostre esistenze contemporanee fatte di piccole e imperfette ossessioni.
Abbiamo parlato di:
Mara
Brian Wood, Ming Doyle
Traduzione di Fabio Gamberini
Panini Comics, 2015
144 pagine, brossurato, colore – 14.00 €
ISSN: 9788891212085