Mabel Morri, chi è, cosa fa, cosa pensa…
Sono nata a Rimini, dove tuttora vivo. Ho frequentato il liceo artisticoprivato della città e poi mi sono iscritta alla “Scuola del fumetto” diMilano, dove nel ’99 ho fondato con amici del corso la casa editriceindipendente “Studio Monkey”. Ho iniziato a pubblicare da subito, tanto chenon avevo nemmeno terminato i corsi, presso la PIEMME ed. illustrando duelibri. E poi, non mi sono più fermata. Pubblicazioni saltuarie ovunque mihanno permesso di migliorare il tratto e osservare le cose da sistemare dopola stampa. Ho pubblicato per Davide Toffolo, nel suo “Fandango” (n.5, misembra di ricordare), e ho collaborato con un quotidiano locale, “La Voce diRimini”, dove pubblicavo settimanalmente storie di otto tavole. L’esperienzaé durata un anno, poi ho continuato con loro per iniziative, secondo me,bellissime: illustrare racconti di autori anche famosi, o perlomeno,conosciuti in ambito editoriale o da appasionati e fervidi lettori di libri(come me, anche se credo che un Pallavicini, o un Drago, o un Voltolini senon sono famosi, comunque sono rispettabilissimi nell’ambiente letterario).Ci sono stati due inserti di questa iniziativa, uno invernale che ha portatoalla pubblicazione di una carina antologia edita da Guaraldi ed. di Riminicon il titolo “I racconti di fine millennio”, ed uno estivo, con autori menoquotati ma comunque bravi. Quell’anno avro’ realizzato almeno un centinaio diillustrazioni…
Successivamente, inizio a ‘mettere insiemé il primo numero della miafanzine. Intanto mi iscrivo alla facoltà di psicologia di Urbino, doveancora adesso nuoto nei fin troppo dispersivi mari degli appelli e dellesessioni. Nel 2002, vinco il premio Scenario al festival di fumetti di Lucerna inSvizzera per la migliore sceneggiatura.
In due anni di “hai mai notato la forma delle mele?” arrivo a pubblicarealmeno 400 copie, e tutte vendute. Adesso, nel settembre 2003, riprendero’ a disegnare, sperando di far uscire per questo dicembre almeno due albetti nuovi, che pero’ non avranno più il titolo dei quattro precedenti, che considero una serie apprezzabile, ma per la quale penso sia il momento di chiudere.
…cosa pensa…
Penso talmente tante di quelle cose che potrei persino risultare antipatica,specie dopo una stagione al bar che mi ha fatto venire il sangue amaro edove la mia misantropia cronica sta visibilmente peggiorando.no bé… penso che ci sia qualcosa di buono e di bello in ogni esserevivente e non che esista sulla faccia della terra, e penso che ci sia ognigiorno della vita un cielo chiaro e terso nel quale perdersi e dirsi che lavita è bella, deve essere bella, perché perdiamo sempre qualcosa di noi ogniminuto che viviamo, cambiamo costantemente, e deve rimanere quel qualcosache ci ricordi ineluttabilmente chi siamo e cosa dobbiamo fare per esserefelici.
E penso che sto facendo tardi al lavoro…intanto ti spedisco questo, domanicontinuo. ciao
[…]Come hai iniziato a fare fumetti, cosa ti ha spinto?
Da che ho memoria, ho sempre disegnato. quando si ha quattro anni è ciò che si fa più spesso. Il mio unico guaio (?), o fortuna che sia, è che io ho continuato, specializzandomi. Sai, è qualcosa che ho sempre fatto, forse sono nata così, non so, ma so che fa parte di me. E l’accetto e la coltivo. Disegnare per me, è un po’ come respirare. È vitale. E se smettessi, non credo che la mia vita mi parrebbe meno banale e/o mediocre come quella di tante persone che servo al bar ogni giorno. E poi, sai, sono nata negli incredibili anni ’70, a cavallo degli ’80 e dell’invasione dei primi cartoni animati giapponesi, dove tra un Goldrake e un Mazinga e battaglie intergalattiche, c’era una patina di sentimentalismo mica da ridere. I buoni sentimenti fioccavano da ogni parte, e né Candy né Lady Oscar mi hanno aiutata a crescere non credendo nel bene e nei giusti. E poi è arrivato Mitsuru Adachi che ha cambiato completamente la mia vita, o forse ha messo in mostra ciò che già esisteva e che era sopito e che, a mo’ di ‘goccia che fa traboccare il vaso’, doveva esplodere. Ho iniziato così, scopiazzando altri stili, ma cercandone fin dagli antipodi uno mio, e soprattutto, cercendo di raccontare, raccontare la vita. Perché è l’unica cosa che possiamo oggettivamente osservare: le esperienze, gli incontri, le casualità, la nostra vita insomma. Ed io crescevo, e a tredici anni le ragazze cambiano, per forza di cose, ed io notavo su di me e sugli altri queste radicali trasformazioni, e mi accorgevo che avevo tante cose da dire, tante cose meravigliose da raccontare. E da lì, ho continuato. Fino ad adesso. e scopro che ho ancora tante cose da dire e da raccontare. Perché si cresce continuamente ed il passato offre spunti inattesi, come il futuro.
Come nascono le tue storie?
Forse, inavvertitamente, ti ho già risposto sopra. Pero’, bé, nascono più o meno così, dall’osservare costantemente la vita.
È chiaro nel tuo fumetto l’intento di narrare i pensieri, le emozioni, prima ancora che le azioni,gli eventi. Ed ancora prima che narrare, comunicare. Quanto di te metti nelle tue opere?
Effettivamente, parto sempre da impercettibili e a volte paradossali avvenimenti della mia vita reale, ma li esaspero a tal punto che non assomigliano nemmeno lontanamente a ciò che vivo davvero. E sai cosa ho notato ascoltando persone che, in sincerità, mi esprimevano il loro giudizio? Che non sono tanto le situazioni simili e reali ad accomunare quello che scrivo con quello che queste persone vivono o hanno vissuto, non è tanto l’analogia delle esperienze, ma quella sottile e quasi impercettibile linea della profondità del cuore. In molti me l’hanno detto: sfioro le corde del cuore, accedo non volendo in quella parte che ognuno di noi possiede e che è solo nostra, e segretamente intima, inaccessibile. Il che, quando me l’hanno detto, mi ha anche un po’ spaventata, ma anche lusingata. Molto lusingata. Una volta, mi hanno anche detto, riguardo ad un’analogia di situazioni, che si fa fatica ad accettare da se stessi certe risposte a determinate domande, e poi arrivo io con le mie storie, che faccio aprire loro gli occhi. Ti diro’, alle volte, è quasi imbarazzante… pero’ tutto sommato, ci si rende conto di non essere soli. Ognuno di noi ‘vivé, ma non si riesce a dire “anch’io…”.
Fumetto o narrativa, l’importante è esprimere quanto hai da dire, ed infatti nei tuoi albi racconto classico e vignette si alternano. Non c’é differenza per te tra i due modi di comunicare?
Personalmente no. Ho avuto un’educazione classica, ho sempre letto tantissimo, intendo non tanto fumetti quanto romanzi e in poche parole quei pochi anni di liceo classico hanno lasciato il segno (poi sono passata all’artistico perché capisci anche tu che in un ambiente così austero e rigido come il classico non erano tanto plausibili disegnini sui bordi dei dizionari di greco e latino…). E poi sono un’appassionata di arte, e studiando costantemente quadri, pittori, metodi di pittura, e amando certe correnti artistiche dove realismo, dinamicità, teatralità dei gesti, molteplici significati in un’unica immagine, mi si è radicata questa visione di unità.
Hai mai notato la forma delle mele sembra quasi un diario personale, una specie di “blog” cartaceo, come evidenzia la curiosa esposizione della tua “collezione” di scontrini e ricordi. Quasi un mettersi a nudo davanti agli altri… È così che vivi fare fumetti, o almeno questo fumetto?
A dire il vero, credo sia nato così. Non proprio volendolo, ma ha questa forma, può sembrarlo, sì. Ne parlavo l’altro giorno con Edo Gabriellini, l’attore feticcio di Virzì, il quale trovava carina questa visione. Pero’, per quel che mi chiedi tu, la ‘storià degli scontrini è nata dalla voglia di mostrare che forse il mondo è piccolo, o che, semplicemente, la vita è legata anche ai luoghi che si frequentano o che non si frequenteranno mai più, cosa che li rende ulteriormente speciali. Mi sono arrivate mail deliziose…qualcuno mi ha risposto “…anch’io”. Non è grandioso? E comunque, tutto il terzo numero è nato stranamente, volevo che fosse strano.
Gli ambienti e i personaggi sono tutti vicini ad una quotidianità che avvicina il lettore alle storie, i toni sono spesso lievi e lenti, come le giornate in cui ci si può fermare a pensare. Questa è la dimensione del tuo stile di raccontare, ti interessa il reale ed il presente, o hai in mente anche storie di altro genere, storie fantastiche o d’azione?
Sì. a me piace raccontare il reale ed il presente. Ed è quello che mi piacerebbe continuare a fare. E sì, per quanto lontano dai miei canoni, non mi dispiacerebbe disegnare anche storie diverse, più fantastiche che d’azione a dire il vero. Ne avevo anche scritta una… tanto tempo fa, ma perdo subito interesse per queste storie. Fondamentalmente, mi annoiano.
L’amore è al centro dei tuoi racconti, l’amore disperato, o l’amore trovato… un argomento di cui non si finirebbe mai di parlare, che popola canzoni, film, libri… Esiste per te un unico modo di amare? Come cerchi di strutturare i tuoi personaggi, come crei le loro personalità ed il loro modo di amare?
Non credo in un unico modo di amare, credo piuttosto in un’unica idea di amore. Trovo che esistano tanti modi di amare, tuttavia io ho la mia precisa idea. Credo che ci sia un’unico amore che esiste per ognuno. Bisogna avere “solo” la fortuna di incontrarlo. Cosa non tanto facile, direi. Per quello che provo adesso, credo di averlo incontrato, tanto da poter affermare che se terminava un amore come quello, l’amore non poteva durare per sempre, non era eterno. Un colpo basso per la mia idea di amore, direi una evidente frattura nel muro delle mie convinzioni, o ideali che siano, dipende da come li si chiama…e cerco di osservare, studiare, le persone che incontro, che vedo (tanto che trovo il mio lavoro al bar non solo un lavoro socialmente utile, ma anche un’incredibile ed inesauribile “mercato di pesce”…), il loro modo di comportarsi, leggo e guardo film, e creo i miei personaggi da tutte queste cose, anche se, alle volte, mi bastano le emozioni che mi fa provare una canzone per creare un personaggio.
Domanda da curioso: hanno un significato i diversi colori degli albi?
Sì. Ho scelto i colori sulla base di ciò che gli albetti raccontavano, una sorta di “colonna sonora” o per lo meno visiva. Sai, racconto storie che possono sembrare leggere, che alle volte mi danno l’idea di un respiro, e volevo che ogni albetto avesse un proprio significato, un proprio ‘insiemé evidenziato dal colore.
ops…é tardissimo…devo lasciarti.
cerco di terminare in settimana.
salutoni.
Allora, dov’eravamo? sì, il resto
Aggiungo al volo una domanda: puoi allora spiegarci il significato di ogni colore?
A dire il vero, non è che ogni colore ha un suo particolare significato. Non credo nemmeno di essere in grado di saperlo spiegare a parole. So solo che nella mia testa, quando mettevo insieme gli albetti, li immaginavo con questi colori. Sapevo che il numero uno, sia per la “novità” del prodotto (o forse semplicemente, una “novità” nella mia vita), sia per i contenuti, nella mia testa doveva avere il colore di quello che si immagina essere colorato il cielo, come se ci si fermasse un attimo a respirare, ma un respiro simile ad una boccata d’aria, di quelle che ti danno la voglia di “continuare”. E così via, gli altri. Il secondo, mi piaceva rosa, il terzo, indipendentemente dai contenuti mi ero imposta fosse viola, il quarto invece è stato puramente casuale. Ti posso dire piuttosto sul perché di bagni di colore tenui, molto chiari, in questo sì c’é una ragione. e cioé: avevo provato a fare alcune fotocopie di mie tavole su fogli colorati, e provando più colorazioni mi sono accorta che su quelli tenui, alle volte, il disegno riusciva addirittura a risaltare, mentre si perdeva completamente su toni forti. E quindi, non potendomi permettere, ancora, lavori di tipografia di un certo livello, la scelta è stata quasi obbligatoria.
Come hai fatto a far conoscere i tuoi albi? Che successo hanno avuto le tue storie?
Attraverso la casa editrice, ho avuto la possibilità di pubblicità su internet, e poi nell’ambiente c’é stato un passaparola generale, tante copie regalate, naturalmente, e poi la mia presenza e scelta oculata di a chi darli e a quali librerie provare a venderli. per il resto, credo… bravura? o quel certo talento che in molti mi hanno attribuito? Non so…
So che ultimamente si cerca ovunque qualcuno da portare in auge, solo perché molti dell’ambiente non sanno più da che parte voltarsi per vendere due copie in più, tanto da riesumare persino me che sono più o meno dentro da otto anni. Lo trovo vile, spregevole pure, ma se funziona così… se ci si vuole “abbassare” a stare sotto padrone, suppongo sia l’unica alternativa. Io ho scelto l’autoproduzione anche per questo. Totale libertà su tutta la linea. Meglio di così! ehm… alcune storie hanno avuto più successo di altre, poi chiaramente dipende molto dal gusto personale. La storia dalle 16,04 alle 16,15 la testa di seba… è piaciuta a Laura Scarpa tanto da pubblicarmela sul n.8 della sua rivista Scuola di fumetto, così in una recensione su Fumo di china n.107 hanno lodato Odori dell’amore… presente nel terzo numero. Chi per “deformazione professionale”, chi per gusto proprio hanno dato il loro giudizio. Anche se a me, interessa maggiormente quello di persone che conosco. Forse perché, in un certo senso, loro sono il ‘vero’ pubblico. E allora, le preferenze cambiano notevolmente: vedi la storia Prima di quanto immaginassi del quarto numero, l’hanno definita, esagerando, un piccolo capolavoro o anche qualche storia scritta ha lasciato perplessi molti conoscenti che non si aspettavano che sapessi anche scrivere, senza per forza avvalermi del disegno. Pero’, nel mio piccolo direi che non mi posso lamentare, per il morale è pura energia.
Com’é il rapporto con i tuoi lettori?
Suppongo buono. Con alcuni ci scriviamo e-mail, con altri si è passato persino ad un rapporto epistolare, con altri amici, credo, credo ci si possa definire così… da parte mia, cerco di essere più gentile e disponibile possibile, anche perché non penso di poter fare altro.
Quanto è dura per una autore/autrice esordiente navigare nel mercato fumettistico?
Per questa risposta posso allacciarmi a ciò che scrivevo sopra. E comunque, per me non è dura affatto. Sai, indipendentemente dal successo o dalle pubblicazioni, che con il tempo ti rendi conto di quanto siano futili, persino superflue, se non per far girare il proprio nome e lavoro “prima”, io ho scelto di voler disegnare. E anche se mi laureero’, prima o poi, o addirittura faro’ la psicologa in un futuro, non smettero’ mai, mai, di avere speranza. Ho una vita davanti per poter sperare, ho una vita davanti per poterci provare, disegnare è il mio unico modo per non entrare in analisi, il mio unico sfogo. E poi, perché devo regalare soldi ad un collega? Adesso stavo scherzando… intendo entrare in analisi. Comunque, io ho anche la casa editrice che mi permette di partecipare a fiere e festival, quindi un po’ di “luce” ho la possibilità di averla.
La pubblicazione amatoriale è per te un ripiego, o il modo per fare quello che vuoi senza limitazioni, in massima libertà?
La pubblicazione amatoriale per me non è un ripiego. Anzi, in francia c’é un vero e proprio sottobosco di produzioni simili, tanto che in confronto le nostre autopubblicazioni, italiane intendo, sono decisamente inferiori. Di qualità, di livello, di “creatività”. Personalmente, lo trovo, come scrivevo prima, l’unico modo per avere totale libertà su tutta la linea. Piuttosto, meglio che non rammenti troppo le produzioni indipendenti francesi… potrebbe venirmi un colpo, alcune sono talmente belle che nemmeno i nostri, pochissimi, editori italiani riescono a fare. Ed ora che ci penso (forse sto divagando, ma chi se ne frega?), se noti, l’unica che cerca, o per lo meno tenta, anche come promozione di alcuni autori, di avvicinarsi alla raffinatezza di prodotti è la Star Comics, comunque i Kappa boys. Non so se hai mai preso in mano il loro volumetto di presentazione per le nuove uscite annuali, mi pare, ma è spudoratamente sulla linea di tanti volumetti di presentazione francesi. Tra l’altro, non penso nemmeno di aver rivolto delle illazioni, anzi, tanto di cappello ai Kappa che cercano di inculcare nelle teste dei lettori qualcosa di positivo. Più che altro, fanno una strana forma di propaganda per quel che riguarda la qualità dei prodotti. E questo è bene, molto bene.
Quali sono le difficolto’ dell’autoprodursi e della distribuzione “in piccolo”, quanti e quali i costi maggiori?
Suppongo i soldi. Il mondo gira intorno a questo schifo di pezzetti di carta colorata, portante tra l’altro di molti batteri… sinceramente, per ora, posso tranquillamente permettermi l’autoproduzione, poi sai, io ho sempre frequentato l’ambiente, non sono propriamente una sconosciuta, quindi con la casa editrice ho avuto davvero buone possibilità, anche semplicemente di far girare maggiormente i miei lavori. E poi, la frequentazione assidua, i contatti con le persone dell’ambiente sono fattori che per un’esordiente possono far comodo. Poi, sai, per chi è proprio nuovo, penso che ci possa essere anche diffidenza. Io ho sempre avuto critiche positive, che fossi brava in giro si è sempre saputo, o per lo meno, i miei lavori sono sempre piaciuti. Probabilmente, per non essere ancora riuscita a “sfondare” mi manca qualcosa, non so… o forse la mia non troppo aria di persona facilmente vendibile, o di persona che non si “abbassa” facilmente, infastidisce qualcuno. Io so solo che devo continuare per la mia strada. Se si semina bene, i frutti, prima o poi, buoni e gustosi, vengono raccolti.
Che consigli daresti a chi volesse seguire questo metodo di pubblicazione?
Direi di non abbattersi mai, mai. Anche perché credo sia una filosofia di vita, indipendentemente dal fumetto. Lottare, lottare sempre. In tutte le cose che si scelgono di fare. E soprattutto, rialzarsi sempre. Nonostante le delusioni, le esperienze negative, i “no” o persino le non risposte degli editori, magari afflitti, abbattuti, perché è umano, ma mai sopraffatti, mai vinti. Bisogna essere determinati, e soprattutto, se si inizia una cosa, anche se si tratta di intraprendere questa strada così ardua nei meandri del fumetto, la si finisce, perché non si lasciano le cose a metà, mai. E comunque, tentare, tentare sempre. Sì, suppongo che direi questo, anche con meno cattiveria…
Hai progetti, idee per il futuro?
Un mare di progetti. Adesso, con la stagione al bar meno stancante, ho ripreso a mettermi al tavolo da disegno. Se ce la faccio, cerco di far uscire due o tre albetti per dicembre, storie lunghe perlopiù, non più albetti facenti parte di serie. Anzi, una nuova serie “macchiato caldo” sarà la prossima che faro’ uscire. Ma prima due storie lunghe (forse suddivise in due albetti ciascuna) e uno di soli racconti ed illustrazioni. Almeno questo nelle più rosee e felici previsioni.
Hai avuto contatti con editori professionisti, o stai comunque cercando di trasformare il fumetto in un lavoro?
Quelli, a dire il vero, li ho avuti sempre o più o meno. Un’ editore della mia città vuole propormi qualcosa. Cioé, mi ha già proposto qualcosa, ma se ne riparlerà a stagione al bar finita, in novembre quindi. E poi, si parte sempre con l’idea di fare del fumetto un lavoro, ed io ho tentato per qualche anno. Ma mi sono resa conto che, nel frattempo, è sempre meglio lasciarsi e/o aprirsi altre strade, forse più “sicure”. E allora, c’é stato il bar e l’università. Anche perché ci si accorge che stare troppo dietro ai propri sogni logora il cervello, fa uscire dalla realtà, e quando questa si presenta con il conto, è salato, diamine se è salato.
Oltre che scrittice sarai anche lettrice, immagino: cosa ti piace leggere, come fumetti e non solo?
Leggo pochissimi fumetti. mal sopporto i giapponesi, quelli moderni chiaramente, perché quelli della mia infanzia sono ricordi piacevoli e tra le tante cose brutte della vita, i ricordi piacevoli si cerca di tenerseli dentro per sempre. E se li leggo, leggo Giardino, prevalentemente, gli autori con la “a” maiuscola. Diversi francesi, Gibrat, Jacamon, Dumontheil, qualche giapponese come Taniguchi e, per me, l’intramontabile Adachi, qualche americano, ma sinceramente Clowes (si scrive così? non me lo ricordo, comunque l’autore di Ghost World) mi ha già stancato, piuttosto Tomine l’ho rivalutato, o meglio, non che io possa permettermi di rivalutare cotanto autore (chi sono io per permettermelo?che diritto ho?), pero’ ero semplicemente diffidente. Poi l’ho letto, e la diffidenza si è dissolta come niente. A dire il vero, come ho scritto sopra, leggo tanti romanzi. tanta narrativa, tanti classici, tanta letteratura. Adoro gli italiani dei primi del novecento, quel gusto così realista. Giorgio Bassani lo reputo il migliore in assoluto. Poi, se inizio a parlare di libri, non smetto più… quindi mi fermo subito.
Mi spieghi meglio questa tua risposta più sopra? “so che ultimamente si cerca ovunque qualcuno da portare in auge, solo perché molti dell’ambiente non sanno più da che parte voltarsi per vendere due copie in più, tanto da riesumare persino me che sono più o meno dentro da otto anni.”
Non traspare dalle tue parole un giudizio molto positivo sull’ambiente fumettistico. Ci sono state esperienze o testimonianze che ti hanno un po’ scottata?
Scottata, nel vero senso della parola, no. Ma delusa, sì, questo sì. Ma suppongo sia normale. Entrando in un ambiente nuovo, si scruta, generalmente, ci si guarda in giro, e poi si può anche giudicare. A me è capitato, per esempio, di far vedere i miei lavori, comunque promettenti e spinta da giudizi positivi, appena uscita dalla “Scuola del fumetto” di Milano a persone che fin da allora erano nonostante tutto degli sbocchi notevolmente buoni per un’esordiente. Senonché, l’essere presa quasi a pesci in faccia mi ha disturbata parecchio. Ho lasciato perdere, ho ingoiato i miei rospi, ho continuato per la mia strada fino ad oggi, per poi vedermi le stesse persone che, non sapendo più chi pubblicare o proporre, in evidente crisi “creativa”, vedono solo adesso le mie qualità, anche per le buone recensioni dei miei albetti, solo ora mi chiedono per quale motivo “esco” dall’ombra solo adesso. Dunque… Un conto è denotare oggettivamente che il mio disegno non va bene per un determinato mercato, e allora sono la prima che si tira indietro. Ma essere presa in giro, no, questo proprio no. Ti giuro, ho cercato anche attenuanti. Sai, appena uscita da un corso si hanno tutti i difetti del mondo, lo stile ancora incerto, piccoli problemi di “forma” che, purtroppo, e questo è innegabile, solo con tanta esperienza e varie pubblicazioni si superano e si migliorano. Ma trattarti come se avessi vissuto dall’altra parte del mondo e ritornare solo ora, per me è una presa in giro. Perché io sono rimasta sempre qui, gli ambienti sono gli stessi, ci si incontra in tutti gli spazi ed eventi che ci sono, anche perché sono sempre quelli, poche storie. Quindi, queste persone non le considero nemmeno più tanto. Anzi, se posso, cerco anche di pubblicare per loro, ma perché per quanto faccia la dura, in un modo o in un altro, per qualcosa ci si “abbassa” sempre, ma io da una parte e loro a debita distanza. Pero’, ti assicuro, che come in ogni altro mondo, anche in questo, conoscenze e raccomandazioni fanno la parte del leone. Come dire, non è proprio rose e fiori, anzi, non lo è mai stato. Motivo, ulteriore motivo in più, per l’autoproduzione.
Altro particolare che non si può fare a meno di notare è una grande fiducia nelle proprie qualità: credo che per un autore sia importante sia il senso critico, sia la consapevolezza dei propri mezzi. Quali sono le critiche che ti rivolgi, in cosa pensi di dover ancora lavorare?
Bé, nel mio piccolo, credo di essere arrivata ad un buon punto. Non ho un mercato così vasto da dovermi confrontare con i mostri sacri, qualora io poi possa mai permettermi. Forse, la linea, il segno con il pennino, qualche particolare, ma niente di enorme e non correggibile con il tempo e la pratica. Forse un po’ di dinamicità in più nelle tavole, se la sceneggiatura lo richiede, e forse più “naturalezza” nelle pose. Ma per il resto, non saprei proprio cos’altro trovarmi. In fondo, un disegno perfetto non lo sarà mai, ma quando io mi alzo dalla sedia ed osservando la tavola mi sento leggera, conscia di aver dato il meglio, allora va bene. So che il mio, cuore o talento che sia, l’ho dato.
C’é qualcosa di cui ti piacerebbe parlare, ma che non ti ho chiesto?
Non ti ho mai parlato di Fabrice Neaud, che è un autore francese, e del quale un giorno ti parlero’. Come al solito, adesso, devo fuggire al lavoro.
Intervista tenuta per email nei mesi di Agosto/Settembre 2003