
Attraverso la storia della Tariqat nota come “Haqq“ (uno dei novantanove nomi di Dio secondo il Corano, col significato di “verità“ ma anche “giustizia“), Can non solo racconta le basi della comunità nata in Kurdistan, i suoi precetti religiosi di giustizia umana che si lega a quella divina e i valori sociali di uguaglianza tra uomo e donna, ma ricostruisce anche stralci della storia irachena, dalla dominazione inglese post Prima Guerra Mondiale fino alla Anfal, il genocidio compiuto dall’esercito iracheno di Saddam Hussein al termine della guerra tra Iraq e Iran.
Il contrasto tra eventi politico-militari e vicende social-spirituali esalta l’esperienza della Tariqat, che assume una dimensione mitica, sospesa in un’atmosfera mistica che raggiunge il suo picco nella parte finale, la conclusione dell’ultima generazione della comunità rimasta in mano a tre sole donne.
Il disegno di Can, pur non esente da imperfezioni e da un tratto non sempre sicuro, nel suo essere tremolante, scarno ed essenziale esalta questa atmosfera, distillando in pochi tratti l’essenza di questo racconto: nei suoi grigi e nei suoi volti realistici ma piatti si incontrano la lezione del fumetto tedesco (dove Can si è formato a contatto con Anke Feuchtenberger e Stefano Ricci) e la tradizione figurativa mediorientale. Un’opera profonda ed eterea, una finestra su un mondo affascinante e poco conosciuto.
Abbiamo parlato di:
L’ultima donna
Shirwan Can
Traduzione di
Oblò APS, 2021
80 pagine, brossurato, bianco e nero – 12,00 €

