Durante il Lucca Comics 2015, Miguel Ángel Martín ha presentato Brian the Brain – L’integrale, volume pubblicato con NPE che raccoglie l’intera saga di Brian, il ragazzo nato senza calotta cranica e dalle particolarissime abilità, che negli anni si è affermato come il più celebre personaggio nato dalla matita del maestro di León. Abbiamo incontrato Martín durante la prima giornata della manifestazione e, partendo dalla sua più recente pubblicazione, gli abbiamo rivolto alcune domande sul suo lavoro da molti ritenuto trasgressivo e controverso.
Miguel Ángel Martín (Leon, Spagna, 1960) è uno dei più importanti autori del fumetto contemporaneo, definito dal Time “uno dei migliori disegnatori europei” e incluso dalla rivista The Face tra i “50 disegnatori del secolo”.
Con le sue opere, caratterizzate dal contrasto tra il disegno, freddo e distaccato, e le forti tematiche affrontate, Martín esplora il lato più inquietante dell’animo umano da attento osservatore, rappresentandolo in tutta la sua shockante evidenza.
Psychopatia Sexualis, che afforonta il tema della violenza e degli abusi sui minori, è stata oggetto in Italia di uno dei peggiori esempi di censura degli ultimi anni in Europa
L’opera più famosa di Martín è la saga di Brian the Brain, un ragazzino privo di calotta cranica con cui l’autore porta il lettore a riflettere sulla scienza, sulla società e sulla natura umana attraverso lo sguardo disincantato del suo protagonista.
Tra gli altri lavori dell’artista spagnolo si riconrdano anche Anal Core, Bug, Neuro Habitat – Cronache dell’isolazionismo, Playlove e la partecipazione al progetto UDWFG della Hollow Press.
Partiamo parlando del protagonista della sua opera più conosciuta, di cui presenta qui a Lucca il capitolo conclusivo all’interno dell’Integrale pubblicato con NPE. Brian è davvero migliore degli altri personaggi raccontati o ha comunque dei tratti in comune con loro, nonostante sembri così particolare e puro?
Diciamo che Brian è molto differente, è un ragazzo particolare. Non so bene se sia così buono, forse la gente ha ragione quando dice che Brian è buono. Lui è buono e il resto dei personaggi sono cattivi. (ride)
Ho sentito dire che ha un’idea molto particolare del lato umano delle persone. Ho letto in un’intervista che secondo lei Brian è tanto umano quanto lo sono assassini, criminali…
Certo, tutti siamo umani, anche Adolf Hitler era umano! Molto cattivo ma umano. [ride]
Lei racconta spesso di violenza e sopraffazione fisica. Questa violenza può essere letta come un modo dell’essere umano per avvicinarsi agli altri, anche se in maniera estrema e malata, o è semplice violenza fine a se stessa?
Per me questa è la natura umana, ed è come è, come la natura dello scorpione. Semplicemente tento di rappresentare la natura umana nella sua totalità: la parte buona, la parte cattiva, la parte luminosa, la parte oscura…
Credo che la particolarità di Brian sia che non è un personaggio risentito, e non odia. Brian non odia il mondo, non prova risentimento. Il mondo non lo tratta bene, ma lui non odia. L’odio è una cosa tipica di tantissimi personaggi underground: sono tutti risentiti, e credono che il mondo sia una merda.
Io invece ho una concezione particolare di vedere il mondo: non credo che il mondo sia una merda, nel mondo c’è di tutto, merda e non merda.
Quindi lei ha un approccio positivo con il mondo?
Giusto, esatto.
Nelle sue storie gli ambienti sono sempre artificiali e le situazioni molto estremizzate. Di natura si parla molto poco in Brian the Brain e in altre sue storie come Neuro Habitat. Il suo rapporto personale con la natura qual è?
Il problema è che i miei personaggi, come me stesso, non vivono la natura. Vivono in un mondo che secondo me è relativamente artificiale. Voglio dire: una formica facendo un formicaio non crea qualcosa di artificiale? Un edificio di cemento non è artificiale? Per gli uomini è lo stesso che per la formica, solo che l’edifico è costruito da esseri umani.
In fin dei conti per me questo è naturale, è una parte della natura umana e dell’essere umano, quindi la natura è effettivamente presente nelle mie opere.
Intende dire che creare ambienti artificiali è un modo dell’essere umano per esprimersi?
Certamente! È espressione, è vivere in una società sofisticata. Perché credo che sia meglio vivere così che non come una tribù amazzonica, come ad esempio fanno gli indigeni. [ride]
La sua risposta mi fa venire in mente i bambini protagonisti de Il signore delle mosche di William Golding, che provengono da una società evoluta, artificiale, ma che messi a confronto con la natura tirano fuori il peggio di loro. Quindi magari vivere a puro contatto con la natura non sempre è positivo?
No, io credo che non sia mai positivo. L’uomo vive in contatto con la natura quando non può fare altro. Se puoi fare un’altra cosa quasi tutti gli esseri umani preferiscono vivere qui. [indica il luogo circostante]
Ad esempio, c’è una setta americana molto conosciuta, gli amish, che vive in modo molto semplice, ma neppure gli indigeni. Vivono in una società con edifici e case, non nella pura natura.
Un’altra componente dei suoi libri è la solitudine, di Brian e di altri personaggi. Il suo rapporto con la solitudine qual è? Per lei la solitudine è un universo da creare? La cerca, la fugge?
Brian la solitudine non l’ha cercata, l’ha trovata perché la gente non vuol stare con lui, la sua non è una forma spontanea di solitudine. Mentre io sto più o meno bene da solo. Preferisco stare solo piuttosto che con gente che non mi ama.
Lei descrive un’umanità il cui operato è portato alle estreme conseguenze, in bilico su un baratro negativo. Secondo lei c’è un modo con cui l’umanità può fuggire dal pericolo incombente di una eccessiva forma di tecnologizzazione? Cosa può fare l’uomo per ovviare a questi estremi?
Perché sarebbero estremi? Questa è tecnologia estrema? [indica la videocamera gli apparecchi con cui viene registrata l’intervista] È negativa questa tecnologia?
Assolutamente no!
La risposta l’hai data tu! [ride]
A proposito di Psychopathia sexualis, si è detto molto della censura di questo suo libro. Vorrei chiederle invece del suo pensiero riguardo la censura in generale: se la censura può essere vista solo in maniera negativa o anche positiva. Penso ad esempio a movimenti come l’underground statunitense di Robert Crumb, nato come reazione alla censura stessa, o le reazioni del fumetto popolare americano al Comic Code Autorithy in periodi più recenti, mentre nel fumetto italiano penso a Frigidaire, Valvoline… Insomma, in alcuni casi la censura ha indirettamente portato a qualcosa di buono, e sono nati movimenti che hanno tratto la loro forza proprio da essa.
Secondo me la censura è negativa e lo è sempre stata. Il problema è che la censura sociale è una cosa, quella legale è un’altra. Io capisco quella sociale, per esempio Brian è censurato continuamente dalla società, ma la legge non dovrebbe poterlo censurare. Ciò che per me è ovvio è che la gente può dire che i fumetti di Martín sono una merda e non li vuole, benissimo, ma non mi sta bene che i miei fumetti vengano censurati.
La miglior definizione di libertà di parola che abbia mai sentito è di Orwell: «Se la libertà significa qualcosa, significa il diritto di dire alla gente ciò che non vuol sentirsi dire». D’accordo, tu non vuoi ascoltare, ma io ho diritto a dirlo, e se non ti piace, ti saluto. [ride]
Sempre riguardo la censura, lei pensa che un fumettista emergente sia in qualche modo limitato dalla censura, non solo sociale ma anche editoriale, ad esempio per il rispetto di un target di riferimento? Un fumettista giovane e moderno può sentirsi libero, o questa libertà non c’è?
Se io ho trovato un editore perché gli altri fumettisti non dovrebbero riuscirci? [ride] Come io ho un editore, qualcuno pubblicherà le opere di altri, credo.
Non bisogna preoccuparsi della censura, ma della propria autocensura. Questa sì che è terribile!
Talvolta i giovani ricorrono all’autoproduzione proprio perché gli editori non vogliono prendersi la responsabilità di pubblicare i loro prodotti, temendo la censura e gli stessi problemi sofferti dai suoi libri in passato.
Questo è vero, alcuni editori temono la censura: la loro paura più forte è quella di non vendere nulla, e non pubblicano alcuni autori perché pensano che non venderanno mai. Questa è la realtà.
Ma è anche vero che la censura a volte aiuta: si può parlare male di un’opera, purché se ne parli. La censura è dunque anche un modo per fare pubblicità a un fumetto.
La censura per Psycophathia sexualis è stata una pubblicità buona, per esempio, e io ringrazio sempre la Procura di Cremona, ma era un caso particolare. Però se il mio editore non potesse pubblicare Brian the Brain, io non sarei qua.
Tornando indietro ai suoi inizi, in diverse interviste ha detto che il suo tratto deve molto alle linee tondeggianti dei film Disney, che sembrano molto lontani dal suo genere. C’è altro che deve a Disney?
Mi sono ispirato a Disney, ma solo nel tratto, i contenuti sono molto differenti. [ride] Disney mi piaceva da bambino, oggi non lo posso sopportare! Mi piaceva soprattutto Paperino: è un personaggio schizoide, pazzo. Ma al contrario non mi piacevano molto Biancaneve, Pinocchio e gli altri classici. Ho sempre preferito Paperino. [ride]
Ha detto spesso che deve molto anche a Jacovitti.
Sì, lo amo! Mi ha molto influenzato quando avevo 14 anni, disegnavo come lui e lo copiavo. Mi piacevano anche le sue storie oltre al disegno, era un fumettista surrealista, sognante, originalissimo. Di fatto non ho mai trovato fumetti come quelli di Jacovitti, come Cocco Bill o il resto della sua opera. Tutti i suoi fumetti sono meravigliosi, è un disegnatore geniale, un vero artista.
Chiudiamo con una domanda sul fumetto spagnolo. Conosce lo stato del fumetto iberico, a livello di pubblicazione in Italia e traduzione e diffusione delle opere realizzate nel suo Paese?
I fumettisti spagnoli stanno vivendo un buon momento, alcuni vengono pubblicati anche in Italia e Francia. in Spagna si pubblica quasi ogni tipo di fumetto, più o meno come in Italia: giapponesi, americani, francesi, italiani… Questo per me è positivo, perché c’è una grande varietà che vent’anni fa non esisteva. Il fumetto è migliorato tantissimo in generale, in Spagna, Italia e nel mondo. Direi che è una buona notizia!
Grazie infinite a Miguel Ángel Martín per la sua simpatia e la sua disponibilità nel rilasciarci questa intervista.
Intervista realizzata dal vivo il 29 ottobre 2015, durante il Lucca Comics & Games.