Intervista a(b)braccio a Roberto Natalini e Andrea Plazzi

Intervista a(b)braccio a Roberto Natalini e Andrea Plazzi

Quattro chiacchiere con Andrea Plazzi e Roberto Natalini, ideatori della collana Comics & Science, per scoprire come la fisica, l'informatica e i misteri della scienza siano finiti dentro i fumetti e come un matematico possa diventare editor e traduttore di albi a fumetti.

Cosa c’è di più umano del raccontare storie? Il mondo del fumetto è un ambiente professionale, regolato da leggi di mercato, concorrenze, gerarchie e persino tasse. Ma il suo solo aspetto fondamentale sono le storie: raccontate e disegnate da autori che si divertono, si impegnano, si arrabbiano, si imbarazzano e sono, insomma, umani.

Con un abbraccio e qualche domanda si prova a ricordarlo.

Andrea Plazzi, traduttore, saggista ed editor, e Roberto Natalini, direttore dell’Istituto per le applicazioni del calcolo “Mauro Picone” del Consiglio Nazionale delle Ricerche, sono i fondatori di Comics & Science, collana a fumetti di divulgazione scientifica pubblicata dal CNR. Entrambi hanno iniziato come matematici, ma Andrea Plazzi è presto passato ai fumetti, occupandosi di fanzine, traduzioni e della supervisione di serie di successo come Rat-Man. L’obiettivo di Comics & Science è divulgare la scienza attraverso i fumetti: fino a oggi hanno pubblicato storie illustrate da Leo Ortolani, Silver, Tuono Pettinato e altri ancora. Il loro ultimo albo, uscito in occasione di Lucca Comics & Games 2017, contiene la storia Archimede infinito 2.0, scritta e disegnata da Giuseppe Palumbo.

Ciao Andrea e Roberto! Ormai siete entrambi personaggi noti nel mondo del fumetto: ma qual è stato il vostro primo contatto con le nuvolette, da lettori e da professionisti?
Roberto Natalini: Dal punto di vista professionale, non ho avuto nessun contatto con il fumetto fino a quando non abbiamo cominciato a lavorare insieme ad Andrea al Comics & Science. Da ragazzo ero un lettore standard degli anni Sessanta: Topolino, Corriere dei Piccoli, che, anche se non lo sapevo, rappresentavano il fumetto italiano di qualità. Ricordo la scoperta dell’Omino Bufo come una rivelazione! E Gaston Lagaffe per me è stato un mito, anche se era un po’ di nicchia! In seguito ho vissuto in Francia e ho visto l’altra faccia del fumetto: quello franco-belga, che veniva sbandierato come opposto a quello americano, commerciale. Per tre anni sono stato immerso in una visione diversa del fumetto. Poi sono tornato in Italia e alla mia vita da lettore saltuario. Finché i miei figli hanno iniziato a portarmi ai Comicon, dove a un certo punto abbiamo incontrato Andrea. Per loro era un personaggio mitico, era “Mister Plazzi” – ma io non leggevo Rat-Man, quindi per me era solo un collega che aveva fatto matematica.
Andrea Plazzi: Io fumetti ne ho sempre letti. Ho iniziato più o meno come Roberto, e a un certo punto, invece di smettere o di dedicarci solo il tempo libero, ho approfondito facendo il “fanzinaro”, un’attività che all’epoca si svolgeva – ve lo giuro! – su carta. Contemporaneamente studiavo matematica e, nei primi anni dopo la laurea, lavoravo in posti diversi. A un certo punto mi hanno chiesto di tradurre e ho cominciato a farlo part-time. La cosa mi è un po’ esplosa in mano: da quasi ventiquattro anni lavoro nell’editoria a tempo pieno. Ed è divertente.

A proposito di traduzioni, oggi per diventare traduttori ci sono corsi specifici e competizioni come il Translation Slam: all’epoca come funzionava?
AP: Beh, mettiamo tra parentesi la premessa ovvia, e per certi versi scontata, che la competenza linguistica deve comunque essere ragionevolmente buona, la migliore possibile. Alla mia epoca, quando i fumetti Marvel tornarono a essere pubblicati in Italia, si scoprì che non erano tantissime le persone in grado di tradurli in maniera soddisfacente: si tratta di mondi narrativamente complessi, con grovigli inestricabili di personaggi e situazioni che solo gli appassionati si ricordano. Un traduttore standard, anche estremamente bravo, allora non sapeva e non aveva modo di documentarsi su tutto il contesto, su quello che era già stato scritto, a volte in maniera arbitraria: ci sono esempi storici di traduzioni infedeli ma talmente felici che sono state mantenute. Ormai sappiamo tutti che il Grande Cocomero dei Peanuts è una grande zucca, ma nessuno si sognerebbe mai di cambiarne il nome!
Oggi ci sono strumenti che all’epoca erano impensabili: si può avere accesso incondizionato a quasi qualsiasi tipo di traduzione, di gergo, di lessico, di dizionario specializzato! Anche solo la logistica della traduzione è cambiata, la ricerca online non ha confronti. Non sono tutte rose e fiori: è uno strumento potentissimo che però, guarda caso, non ha portato a un aumento della qualità generale. Quello che ha portato è un aumento della velocità, che è sempre più necessaria, perché spesso le tariffe sono calate. È un circolo vizioso, che adesso si sta spezzando perché si è arrivati in fondo: in molti ambiti non si può andare più giù, e quindi bisogna risalire. Probabilmente non c’è ancora stato – lo stiamo aspettando, non auguro del male a nessuno, ma è inevitabile – un caso davvero grave, in cui un errore di traduzione produce danni sostanziali, per esempio a un summit diplomatico fra Cina e Stati Uniti… Io comunque sono sempre abbastanza fiducioso: specialmente se le cose vanno malissimo, è difficile che peggiorino ulteriormente! Definirmi ottimista è una parola forte, ma faccio fatica a essere pessimista, per carattere.

Cosa hanno in comune secondo voi le scienze e i fumetti? In sostanza, perché è nato Comics & Science?
RN: La scienza in realtà ha un rapporto con tutto. La nostra vita umana è basata sulla scienza. Dal momento in cui lo scimmione di 2001: Odissea nello spazio comincia a lanciare il suo strumento fatto di osso per aria, comincia un’avventura, che a un certo punto è diventata un modo di vedere il mondo. Io poi sono un matematico, e penso che la matematica sia un modo completo per vedere il mondo. Come dice il matematico americano Jordan Ellenberg, la matematica è la continuazione del senso comune con altri mezzi. Ecco, questa scoperta della scienza dappertutto, in particolare della matematica dappertutto, porta per forza di cose all’incontro col fumetto. Per una questione di gusto, noi siamo partiti con qualcosa che fosse bello di per sé: far incontrare la scienza col fumetto voleva dire creare delle opere d’arte, che fossero belle in sé e che poi al loro interno avessero un contenuto. A questo punto però avremmo potuto fare delle cose belle che non c’entrassero niente con la scienza: per quale motivo uno scienziato come me dovrebbe perdere il suo tempo in questa iniziativa? Perché mi diverto? Sì, sicuramente sì. Perché entro gratis al Lucca Comics? Sì, anche. Però il motivo è più profondo. Molti hanno paura della scienza: a volte per errori di comunicazione da parte degli scienziati, a volte per pregiudizio, a volte perché una cosa così potente fa paura, se non la si capisce. Io modestamente, nel mio piccolo, ci tengo a spiegare il motivo per cui prendo uno stipendio dal CNR, spiegando anche tramite i fumetti quello che faccio.

Ma in pratica, come è nato e come funziona Comics & Science?
RN: In pratica, è nato nel bar qua dietro!
AP: Facciamo due numeri l’anno, pubblicati da CNR Edizioni. La direzione editoriale, quindi la decisione degli argomenti, lo sviluppo delle storie, la selezione dell’apparato di redazionali è sostanzialmente condivisa, su spunti dall’uno all’altro sulle proprie competenze. L’idea per le storie e i fumetti in genere è qualcosa che è nell’aria, o che uno dei due lancia all’altro, e che viene valutata a seconda della realizzabilità e della disponibilità degli autori. Io mi faccio tendenzialmente carico, con uno scambio continuo con Roberto, della parte redazionale.
RN: Se vedeste il volume delle mail, messaggi Whatsapp, SMS e di qualsiasi tipo che ci scambiamo ogni giorno sareste impressionati! Mia moglie si preoccupa.
AP: Roberto ha una rubrica scientifica di una potenza impressionante: quando serve un nome da lì esce! Adesso la metto in battuta, ma questo dà un valore aggiunto concreto non surrogabile. Una cosa del genere si può fare soltanto con il CNR in senso lato, e all’interno del CNR con una persona veramente interessata.
RN: Per spiegarci meglio, il CNR ha un suo ufficio pubblicazioni, che però tendenzialmente si occupa di volumi di tipo scientifico. Invece noi cerchiamo di fare quello che oggi si chiama outreach, cioè raggiungere la cittadinanza, la comunità, per raccontare ciò che stiamo facendo. È un’attività che il CNR ritiene essenziale. Il presidente del CNR, Massimo Inguscio, ci sta dando carta bianca e ci spinge a continuare. Ci siamo resi conto che dobbiamo non solo giustificare il nostro lavoro, come dicevo prima, ma anche motivare le persone a interessarsi di ciò che facciamo.

È capitato che degli autori si proponessero, per argomenti che volevano raccontare?
AP: Non tantissimi, anche se capita…
RN: Babbage è nato così!
AP: Sì, fra questi c’era Alfredo Castelli!

Quindi i fumettisti si interessano anche di scienza?
AP: Piace a tutti quelli con cui siamo in contatto. Alcuni sono veri entusiasti: Davide La Rosa è uno dei nostri, un po’ più che moralmente, perché fa per noi brevi storie. Altri, con cui pensiamo di lavorare, sappiamo che ci seguono e sono molto interessati.

Personalmente avete mai scritto o disegnato fumetti?
AP: La prossima domanda?
RN: Aspetta, aspetta, voglio dire una cosa! Disegnare fumetti no, ma su un giornalino che aveva mio cugino quando avevo otto anni credo di aver disegnato delle cose che però ricordavano molto quelle di Davide La Rosa…
AP: Ma magari! Secondo me non disegnavi abbastanza male.
RN: … poi ultimamente mi è capitato di scrivere il soggetto di una storia a fumetti, per la Disney. Francesco Artibani era venuto con noi a vedere il Cern nella visita che avevamo organizzato alcuni anni fa, quindi era già stato coinvolto: ne abbiamo parlato con la redazione di Topolino (in particolare con Valentina de Poli) e un certo punto è nata la loro attività di fumetti scientifici. Abbiamo organizzato un primo incontro, “Topolino meets Comics & Science”. All’incontro abbiamo scherzato, dicendo che fra le storie di Topolino mancava la matematica: mi hanno preso sul serio! Francesco Artibani e io ci siamo sentiti e ne sono usciti due fumetti matematici: Paperino e i ponti di Quackenberg, su soggetto del collega Saracco, di Parma, e Topolino e i numeri del futuro, per cui ho scritto il soggetto insieme a Francesco Artibani. Quindi sono stato battezzato come autore di fumetti! Come ha detto la mia dottoranda l’altro giorno: Questo nel curriculum spicca.

Eccoci all’ultima domanda, la classica delle interviste a(b)braccio: nella vostra esperienza nel mondo del fumetto, qual è stato il momento più imbarazzante, escluso l’abbraccio che fra poco ci scambieremo?
AP: Quella volta al San Diego Comicon, con Will Eisner. Lo vidi un po’ perplesso, e gli chiesi: “Serve una mano?” “Dove sto andando, no.” Stava cercando il bagno.
RN: Io non ho vissuto abbastanza nel mondo del fumetto e non ho abbastanza senso della vergogna! Ma in campo matematico è successo: per esempio quella volta che stavo spiegando qualcosa come il teorema di Lax e ho trovato davanti a me, in prima fila, Peter Lax, uno dei più grandi matematici al mondo.

Intervista realizzata dal vivo il 2 novembre 2017

Clicca per commentare

Rispondi

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *