Hard-boiled e animali antropomorfi

Hard-boiled e animali antropomorfi

Approfittando dell'uscita dell'edizione integrale di “Blacksad”, di Juan Dìaz Canales e Juanjo Guarnido, e in attesa dell'annunciata serie Bonelli "I bastardi di Pizzofalcone", vi proponiamo una breve carrellata su alcuni fumetti hard-boiled interpretati da animali antropomorfi.

Nel novembre del 2000 esordì in Francia, grazie all’editore Dargaud, il primo volume della serie Blacksad, creata da Juan Dìaz Canales ai testi e Juanjo Guarnido ai disegni.
Quella storia, intitolata Quelque part entre les ombres (tradotta in italiano come Da qualche parte fra le ombre) conteneva già i due elementi maggiormente distintivi del progetto: un mondo di animali antropomorfi e il genere hard-boiled come principale riferimento narrativo.
La scommessa era quindi quella di unire due realtà apparentemente distanti tra loro per creare un effetto di sorpresa, suscitare curiosità e, perché no, sfidare le convenzioni di genere e un certo stereotipo di marca disneyana, ma in grado di portare a risultati coerenti e inediti.

Tanto prima quanto dopo la nascita di Blacksad, il fumetto ha conosciuto storie con protagonisti animali senzienti, che camminano in posizione eretta e indossano vestiti, capaci di interpretare avventure non necessariamente comiche o indirizzate esclusivamente ai lettori più giovani.

La raccolta integrale in volume uscita lo scorso anno, che raccoglie tutte le cinque avventure della serie, offre il pretesto per ragionare – senza pretesa di esaustività – su parenti e affini narrativi in qualche modo vicini come spirito al lavoro di Canales e Guarnido.
D’altronde, come scrive Sergio Brancato sul numero di ottobre 2018 di Linus:

Espressione delle culture animiste e totemiche, fondate sulla continuità tra uomo e natura, il codice antropomorfo appare già mito e riemerge poi nella fiaba, giungendo all’industria culturale grazie al genio illustrativo di Grandville, che lo sviluppò in un’estetica modernamente morale.

L’ispettore Anatroni

Già alla fine degli anni Settanta fa il suo esordio un fumetto a tinte gialle con un animale protagonista, vestito di tutto punto e dotato del dono della parola: stiamo parlando dell’Ispettore Anatroni (Canardo in originale).
Quest’anatra detective dall’aria perennemente avvilita che fuma sigarette, beve ettolitri di vino e indossa un impermeabile consunto degno del tenente Colombo, è stata creata per la rivista belga di fumetti A suivre dal cartoonist belga Benoit Sokal.

All’inizio Canardo era protagonista di brevissime storie in cui il gusto grottesco prevaleva sulla struttura gialla e sull’ambientazione noir. Il tono paradossale della serie era ribadito dal finale caustico in cui il malinconico e disincantato investigatore immancabilmente moriva per poi ritornare, inspiegabilmente, in azione nella storia successiva. Nel tempo, Canardo ha guadagnato tavole e spessore narrativo, diventando protagonista di albi cartonati nel classico formato BD a 48 pagine.

Ma, anche nella versione “lunga”, la serie di Sokal non possiede la robustezza mystery che Guarnido e Canales avrebbero poi conferito a Blacksad, così come pure manca in Canardo la colta interpretazione dell’antropomorfismo sfoggiata dai due autori iberici, capace di donare profondità e spessore psicologico a personaggi primari e secondari della loro serie sul “gatto nero” nei primi anni 2000.
L’autore belga sfrutta invece l’ambientazione giallo/animalesca di Canardo soprattutto per esprimere il suo pessimismo esistenziale attraverso un devastante humour nero. Tutto è cupo e soffocante nelle storie di Canardo, dalla grafica alla fabula tutto odora di fumo e alcol. E i personaggi, ivi compreso l’investigatore in forma d’anatra, passano gran parte del loro tempo a bere e fumare in loschi bar, location sperdute ai margini della città o della campagna francese.

Mafiosi e ladri, assassini e vittime, sono tutti sullo stesso piano, tutti indispensabili alla commedia (dis)umana di Sokal, in cui Canardo più che un “eroe attivo” è un “osservatore privilegiato”, il simulacro dell’occhio del lettore dentro il mondo raccontato. Per quanto possa suonare paradossale, l’anatra investigatrice è il solo personaggio umanissimo della serie, dotato di una sensibilità elevata quanto il suo tasso alcolico. Canardo resta invischiato nelle brutte vicende che gli ruotano intorno, perché partecipa con la sua pietas alla miseria sociale e umana (pardon, “animale”) dei tipi che incontra, siano essi sadici, brutali o semplicemente diseredati.

L’hard-boiled di Tito Faraci tra MM e Jungle Town

Un riferimento imprescindibile per quanto riguarda fumetti con animali antropomorfi come protagonisti è sicuramente il mondo disneyano.
Normalmente si pensa solamente ad un uso semplicistico e fin troppo children-oriented per questi personaggi, con un’opinione viziata da una visione superficiale o da una frequentazione della produzione disneyana limitata al settimanale portabandiera in periodi nei quali la linea editoriale privilegiava approcci conformistici. In realtà non è importante la natura dei protagonisti o il loro principale pubblico di riferimento per determinare a priori il tono di un fumetto, ma l’abilità degli autori nel riuscire a trattare avventure e tematiche di un certo tipo anche attraverso questo che di per sé è un filtro estetico.
È infatti utile ricordare che Topolino si è trovato spesso nei panni di detective (dilettante e non) e di avventuriero, vivendo numerose avventure dal taglio adulto e maturo. Sfruttando l’iniziale collocazione nelle strisce quotidiane sui giornali americani,

Floyd Gottfredson e i vari sceneggiatori che l’hanno affiancato hanno impostato atmosfere noir, inquietanti e cariche di pathos, che nel passaggio ai comic books si sarebbero viste con maggior difficoltà.
Così, dopo un’iniziale serie di storie dal taglio più semplice e in linea con i coevi disegni animati, il Mickey degli anni Trenta e Quaranta assunse ben presto i contorni dell’eroe, della persona coraggiosa pronta a fare la sua parte in favore della giustizia, trovandosi non di rado in situazioni rischiose e dalle tinte fosche, debitrici di certe pellicole di genere e di una narrativa americana alle quali anche Blacksad, decenni dopo, si sarebbe abbeverato.

È ispirandosi a quelle atmosfere che Tito Faraci impostò alcune delle sue prime storie per Topolino, calando il personaggio in trame dal sapore noir e in cui spesso appariva il commissariato di Topolinia, che proprio lui seppe valorizzare come mai prima di allora descrivendo attivamente la “fauna” che vi si muoveva all’interno.
L’exploit di questo approccio al fumetto Disney da parte dell’autore si è però avuto fuori dalle pagine del settimanale disneyano, su una testata completamente dedicata a questo tipo di atmosfere che esordì in edicola nel 1999: MM – Mickey Mouse Mystery Magazine.

In questa serie di albi spillati, Faraci trasferisce il protagonista in un’altra città, la tentacolare e moderna Anderville, e gli fa vivere una serie di storie (scritte anche da Francesco Artibani, Augusto Macchetto e Riccardo Secchi) nelle quali diventa un detective privato a tutti gli effetti che, senza tutti i contatti e le amicizie di cui godeva nella sua solita realtà, si trova costretto ad affrontare sfide molto più dure del solito, con toni fortemente debitori dei romanzi di Ed McBain. Poliziotti duri o corrotti, malavita tollerata, abitanti con segreti da nascondere, informatori o semplici furbastri senza arte né parte: questa è la fauna che Topolino si trova di fronte, mentre si muove tra il 28° Distretto, il proprio ufficio e un bar dalla cucina di dubbio gusto.

Con un primo numero illustrato da Giorgio Cavazzano e i successivi disegnati da alcuni dei migliori talenti di quel periodo (Alessandro Perina, Claudio Sciarrone, Giuseppe Zironi ecc.), MM offriva anche tavole che esulavano dalla classica gabbia fissa, con soluzioni grafiche ardite e interessanti.
Il progetto ebbe vita breve, ma rimane tutt’oggi un riferimento sia nel fumetto disneyano che tout-court, paragone imprescindibile quando si parla di Blacksad.

Faraci e Cavazzano avrebbero poi collaborato insieme ad un progetto molto simile: nel 2006 uscì infatti Jungle Town, volume proposto all’interno della collana“Buena Vista Lab”, varata dalla Disney per ospitare una serie di graphic novel sperimentali con storie d’autore autoconclusive e senza personaggi del cast classico.
Il setting è la città che dà il titolo all’avventura, popolata da animali antropomorfi, e la trama vede due poliziotti dalle fattezze canine indagare sull’omicidio di un topo, trovato morto in un esclusivo campo da golf per gatti dove la sua specie non era ammessa.
Politica, movimenti sovversivi e pregiudizi sono il terreno sul quale i due protagonisti indagano per giungere alla verità, seguendo gli stilemi del noir presi dalla letteratura di genere e, ancor di più, dalle diverse serie televisive poliziesche che da decenni affollano i palinsesti, nelle quali non a caso troviamo spesso una coppia di detective all’opera.

I disegni di Cavazzano sono volutamente disneyani fino al midollo, anche per via della colorazione accesa di Luca Bertelé, e offrono un’estetica fintamente rassicurante mentre si parla di morte e si leggono velate allusioni sessuali.
Come accaduto anche in Blacksad, in particolare dalla seconda avventura del ciclo, punto focale di Jungle Town si rivelò essere la tematica del razzismo, vista tramite una realtà composta da animali di diverse specie, con minoranze e differenze.

Lackadaisy: aria di proibizionismo

Nel 2007 esordì un webcomic americano scritto e disegnato da una giovane fumettista emergente, Tracy J. Butler, successivamente raccolto in formato cartaceo grazie all’interessamento della “nostra” Renoir, prima casa editrice al mondo a pubblicarlo. Intitolato Lackadaisy, era ambientato negli Stati Uniti degli anni Venti, in un mondo popolato da gatti antropomorfi.
Pur non avendo un impianto thriller, l’autrice scelse il periodo di svolgimento con l’intento preciso di calare i personaggi nel pieno dell’epoca del proibizionismo, con tutti i sotterfugi e le attività illegali connesse a chi decideva di vendere alcolici in barba alle leggi vigenti. Va da sé che l’atmosfera torbida che si respirava nelle vignette di Lackadaisy flirtava con tipica da noir, per quanto il protagonista Rocky assumesse i contorni più del caratterista che del duro tutto d’un pezzo.


L’intuizione di Butler sta nel mettere al centro un felino esuberante e dal comportamento sopra le righe anche quando si occupa di contrabbando, rischia di venire giustiziato e compie ritorsioni contro gli avversari. Gli altri personaggi, come la proprietaria del locale che dà il nome al fumetto, i gentiluomini che vi gravitavano intorno e il robusto e losco barman erano infatti più che sufficienti per rendere i toni più foschi.
Il marroncino slavato come gradiente di colore per le tavole, che richiamava l’immagine di vecchie fotografie sbiadite, trasmetteva un’atmosfera retrò, da primi decenni del secolo scorso, mentre lo stile con cui i gatti venivano rappresentati era improntato al cartoon: Rocky aveva spesso un sorrisone che ricorda lo Stregatto dalla versione animata di Alice nel Paese delle Meraviglie, ma anche i volti dei vari comprimari seguivano uno stile vagamente disneyano, furry e poco realistico, piacevole e adatto alla storia.

Una storia che, come negli esempi precedenti, vede esseri zoomorfi in un eterno conflitto tra guardie e ladri, tra tutori della legge e criminali, in atmosfere soffuse e losche.

Elefanti, tassi, talpe e maiali

Altri esempi di questa commistione tra storie di ispirazione “dura e cattiva” con un immaginario cartoon sono apparsi tra il 2009 e il 2012 in America, in Francia e in Italia. In particolare, sono da ricordare opere come Città 14 e Elephantmen, entrambe con protagonisti dei pachidermi.

Nella prima opera, dei francesi Pierre Gabus e Romuald Reutimann e portata in Italia a suo tempo da Planeta DeAgostini, ci viene presentata una realtà in cui convivono esseri umani, alieni e bestie parlanti, dove un elefante si allea con un castoro che, in virtù del suo lavoro di reporter d’assalto, lo coinvolge in diverse situazioni rischiose e che flirtano con la cronaca nera.

Nel secondo caso, la serie (proposta nel nostro Paese da Panini Comics) è ambientata in un ipotetico futuro di stampo fantascientifico, dove gli esseri del titolo sono stati creati in laboratorio mischiando DNA umano con quello degli elefanti per creare una nuova razza che potesse essere utile negli eserciti. Richard Starkings ai testi e Moritat e José Ladronn ai disegni imbastiscono una storia dai toni scuri e non mancando – fin dallo spunto iniziale – di affrontare tematiche sociali come l’arroganza umana, le conseguenze della politica guerrafondaia e il non saper rispettare l’ordine naturale fondante del nostro pianeta.

Da citare sicuramente anche Grandville, opera dell’autore britannico Bryan Talbot – noto tra gli altri per La storia del topo cattivoLe avventure di Luther Arkwright oltre che per i disegni di varie storie di Hellblazer, Sandman e Batman. Ambientato in una ucronica Londra di stampo steampunk, segue le indagini dell’ispettore di LeBrock di Scotland Yard, un tasso risoluto a scoprire cosa si nasconde dietro l’apparente suicidio di un diplomatico inglese, in una indagine che lo porta a scontarsi con complotti politici e intrighi più grandi di lui.

Anche il mondo di Lupo Alberto ha esplorato il genere crime, ovviamente sempre con il suo stile ironico e dissacrante: esiste un’identità alternativa per il personaggio di Enrico La Talpa – storico comprimario della serie – di nome Sam Falco, un detective in impermeabile sempre invischiato in losche indagini. Tra le storie che lo vedono protagonista un posto d’onore spetta a Duro come il tuo cuore, di Piero Lusso e Bruno Cannucciari; del carattere del signor La Talpa rimane in Sam Falco una certa tendenza a non ascoltare chi gli sta intorno e a non cogliere determinati segnali, elementi che gli rendono difficile il proprio lavoro. Per il resto, lo sceneggiatore attinge a piene mani a tutti i cliché di questo tipo di narrazioni – comprese le didascalie con i disillusi monologhi di pensiero del detective – ottenendo una sorta di parodia del genere, una storia divertente e simpatica che risulta anche in grado di mantenere intatte le atmosfere delle opere a cui si ispira, valorizzata non solo dai disegni di Cannucciari ma anche dai colori dello stesso Lusso.

Infine, non possiamo dimenticare una creatura tutta italiana.
Bacon di Marco Natale, pubblicata da Vittorio Pavesio Editore, è una serie in 3 volumi – Chicago 1936, Roma 1937, Berlino 1938 – che vede al centro il detective privato Joe Bacon, un maiale in giacca e cravatta che si muove in un mondo di animali umanizzati.
Loschi intrecci tra mala e vertici politici USA, il fascismo in Italia e un salvataggio da effettuare nella Germania nazista sono gli sfondi su cui il personaggi si muove, che risponde alle regole base dell’hard-boiled tra frasi fatte, sarcasmo, femme-fatale e situazioni rischiose da cui dover uscire all’ultimo secondo.
Tre avventure piuttosto riuscite, anche per via dello stile di disegno morbido e caratterizzato da un’affascinante colorazione su toni di grigio e da ombreggiature d’atmosfera.

Bacon, così come tutti i titoli qui commentati, hanno il pregio di prendersi sul serio: non usano animali parlanti come attori per stemperare tensioni e toni, ma offrono storie che per anima e ambizioni non sfigurerebbero all’interno di romanzi, film e serie televisive di stampo poliziesco, interpretati da attori in carne e ossa. Il plus sta quindi nel piacevole corto circuito mentale che provoca l’accostamento di due elementi apparentemente opposti ma che dimostrano invece di sapersi coniugare in maniera credibile.

Nuove e future avventure in nero

Una formula evidentemente vincente e piena di fascino in primis proprio per i fumettisti, e ancora fortemente attuale: basti pensare che sempre Tito Faraci ha scritto una nuova serie – Starker, disegnata da Albo, disponibile nel corso del 2019 sulla piattaforma digitale di Shockdom, Yep! – che vedrà ancora una volta i toni noir e hard-boiled coniugati con un’estetica cartoon e personaggi dalle fattezze animali, fortemente debitori nell’aspetto dell’impronta disneyana, e che la Sergio Bonelli Editore ha optato per una scelta simile nell’adattamento a fumetti – distribuito in libreria da aprile 2019 – della serie di romanzi I bastardi di Pizzofalcone, creata dallo scrittore Maurizio De Giovanni, nel quale i personaggi – normalmente umani nei libri – assumeranno fattezze zoomorfe pur caratterizzate da un tratto più realistico.

2 Commenti

2 Comments

  1. Jacopo

    22 Febbraio 2019 a 08:18

    Scusate, ma a proposito di tematiche adulte vorrei segnalare anche “Contronatura” di Mirka Andolfo.
    Non ho avuto ancora il tempo di leggere tutti i volumi, ma la storia è interessante, con tematiche quali le relazioni interspecie/etniche e l’omosessualità.

    • la redazione

      22 Febbraio 2019 a 12:22

      Adulto sì, forse con il noir o l’hard boiled ha qualche attinenza in meno… Comunque siamo consapevoli che la panoramica non è esaustiva, ben vengano altre segnalazioni :)

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