Big Splash, l’esordio di Marta Bandirini pubblicato nel 2022 da Beccogiallo, offre uno sguardo intimo su questioni delicate come il desiderio di maternità e la sincerità nelle relazioni umane. Il disegno in bianco e nero traccia fisionomie subito amiche e gli argomenti, trattati con leggerezza, fanno appassionare al carteggio fra Isa e Ada lasciandoci con qualche appunto mentale su posizioni spesso introiettate. I corpi imperfetti, i dialoghi e i carteggi coraggiosi, tutto ci riporta a episodi verosimili che arrivano dritti alla pancia, e al cuore.Ciao Marta e benvenuta, partiamo subito da una domanda sul tuo primo Lucca: com’è andata? Cosa ti è rimasto?
Ciao Nicole, è un piacere essere qui. Riguardo a Lucca: urca! Caos e bellezza direi, e una sensazione di sentirsi un po’ inadeguata. È bellissimo viverla dall’altra parte dello stand dato che prima l’ho sempre girata da turista e da appassionata, ero molto emozionata per questa cosa. Dato che sono una persona un po’ ansiosa è stata anche un’esperienza molto affaticante, me la immaginavo più rilassata.
Mi sono rimasti anche gli incontri con le persone con cui finora mi ero solo scritta e che sono riuscita a vedere in carne ed ossa. È stato molto bello poter associare visi a dei lavori che avevo molto apprezzato e conoscere le persone con cui avevo lavorato e interagito.
Big Splash è nato come blog in cui raccontavi le avventure di Isa e Ada. Come ci hai lavorato per farlo diventare un libro?
Ci sono delle cose simili rispetto al libro ma ho tolto un paio di personaggi e delle linee narrative. Mi sono concentrata sulle storie che mi interessavano di più e ho iniziato a costruire l’arco narrativo che portasse le protagoniste verso una presa di coscienza, anche minima: è un fumetto dove non succedono grandi cose. Succede che queste due amiche parlano e capiscono delle cose di sé.
Ho aggiunto parecchio: sul blog pubblicavo 4 tavole ogni due settimane, l’avevo progettato secondo le possibilità che avevo e andavo un po’ a braccio. In due settimane avevo giusto il tempo di sceneggiarlo e disegnarlo e tuttora sul blog ci sono le prime 30 pagine. Oltretutto nel frattempo è successo che mi sia rotta il gomito destro.
Da dove è venuta l’urgenza di raccontare questo momento di vita, fra gravidanze e amicizia?
Stavo vivendo la stessa fase delle mie personagge: una delle mie più care amiche era incinta e sul momento mi aveva dovuta abituare gradualmente a questa cosa.
Ha iniziato a raccontarmi che avrebbe voluto un bambino e i dubbi su quando sarebbe potuto capitare. Quando il bambino è arrivato subito e lì ho realizzato che mi sento abbastanza distante da questa cosa, dato che non la desidero. Al contempo mi è dispiaciuto non esserci in quella fase della sua vita così importante e di grande cambiamento. Sono riuscita ad andarla a trovare ma a 15 giorni dal parto e non ho vissuto i precedenti nove mesi importanti. Ho iniziato a interrogarmi un pochino su questa cosa, su come la vivevo io, su come la vivevano le mie amiche, su come l’ha vissuta lei, e ho cercato di catalizzare le varie voci che sentivo in giro sfruttando le due protagoniste e i personaggi secondari.
Una cosa che ho realizzato è che appunto quando lei mi ha detto che avrebbe voluto avere un bimbo o una bimba io subito ero molto spaventata. Mi son detta che poi non avremmo più potuto fare nulla insieme e che la nostra amicizia sarebbe finita.
E da lì mi sono interrogata su quanto agisse su di me questa cosa della maternità totalizzante, di donne e ragazze che dopo la maternità sembrano scomparire. Poi magari non è vero perché si devono districare fra mille impegni, ma anche io avevo questo pregiudizio.
Pensavo non le sarebbero più interessate le cose che facevamo insieme, anche se a lei invece interessavano ancora parecchio. Ne abbiamo parlato tanto: non aveva nessuna intenzione di smettere di fare stupidate insieme. Mi sono resa conto di quanto la maternità e il suo desiderio possano essere totalizzanti, così come l’ansia del poter essere una mamma pessima se non vieni assorbita in tutto e per tutto dalle questioni genitoriali. Insomma, sia che tu voglia figli che non li voglia è una questione che ti tocca: non hai scampo.La riflessione dietro il racconto si sente tantissimo dai termini che fai utilizzare alle protagoniste: dal “darsi i mezzi per capirsi quando ci si vuole bene” – che è una cosa che si prende terribilmente per scontata – alla gravidanza come “bene pubblico” sia che faccia o non faccia parte della tua vita.
Ne ho parlato tanto con le mie amiche e mi fa piacere arrivi così tanto. Ci dicevamo: come la gestiamo?! Non dovrebbe interessare così tanto, tutti, costantemente. Viene gestita come se fosse un bene pubblico: i fatti tuoi diventano pubblici, automaticamente, e ne devi rispondere a terzi – sconosciuti.
Leggere queste riflessioni fra le vignette è forte e non fai sconti, per quanto i dialoghi siano molto verosimili. Introduci termini precisi, come quando parli del patriarcato senza retorica – che sembra un po’ Voldemort, bisogna stare attente a non nominarlo troppo.
Sì se nomini il patriarcato sei pesante e provocatoria. È proprio come Voldemort: sappiamo tutti che c’è, ma se lo nomini troppo sei pedante.
Mentre scrivevo e disegnavo mi sono data la possibilità di ascoltare con un’attenzione diversa i dialoghi con le mie amiche e con le persone che conoscevo, o di altre persone. Il patriarcato è sempre presente. Una cosa che mi è stata detta, ad esempio, è «Vedrai che quando troverai la persona giusta arriverà anche l’istinto di maternità». Ho un compagno da dieci anni e credo che sia la persona giusta, forse può essere concesso che a una persona invece non vada assolutamente. È una questione privata, di cui parlare con le amiche, le persone vicine, o dei professionisti e non siamo tenute a dare sempre spiegazioni a tutti.
Ad esempio – e prima non ci avrei mai fatto caso – la settimana scorsa mi è stato chiesto se avevo dei figli, e quando ho risposto di no mi è stato detto «Non li hai ancora». Ma perché? È così scontato che debba arrivare il momento? Purtroppo ti ci fai l’orecchio, e il sangue amaro. Avere figli è un qualcosa di radicato nella nostra cultura, ma se non ne vuoi devi farti un sacco di domande. E va bene interrogarsi, ma rimane una questione privata.
Sembra che l’argomento gravidanza interessi molto a tutti, così come della libertà di abortire o meno. E certe posizioni politiche odierne fanno molto paura, a livelli di distopia. Ci si sente violate a sentirne parlare in termini così prescrittivi.
È come se tu fossi trattata da bambina piccola e dovessi portare una giustificazione perché non hai fatto o scelto qualcosa. La campagna che viene fatta sulla 194 è molto furba. Il problema della 194 è che andrebbe migliorata e andrebbe eliminata la presenza degli obiettori di coscienza. Mantenerla così vuol dire che un sacco di persone possono dare il proprio parere su quello che devi decidere tu. È un filo sottile: sembra si vogliano dare garanzie, quando invece rimanendo così mantiene già molti limiti sulla propria scelta. Si sa che gli obiettori di coscienza impediscono l’accesso sicuro all’aborto e non è che le donne smetteranno di abortire, ma verranno messe in posizione di rischio perché non potranno accedere in modo legale e gratuito a un servizio sanitario che ti dà questa possibilità.
Il che riporta a quanto il tuo racconto sia politico. Per te com’è stato condensare tutti i punti di vista che hai sentito in due personagge?
Il passaggio è stato macchinoso e divertentissimo. Era la prima volta che provavo a fare qualcosa di corposo ed è stato difficile ma molto divertente rispetto a chi è più professionale e ha già un metodo consolidato. Ho definito bene i caratteri delle protagoniste e dei personaggi secondari che avevo a disposizione, e avevo un quadernino con un elenco di temi che volevo trattare con appunti e trascrizioni di cose successe. In base alle caratteristiche delle personagge sceglievo su quali di loro appoggiare determinati pensieri: sono partita dallo scrivere tantissimo e poi ho pulito. È stato un lavoro a levare, soprattutto sui dialoghi, scegliendo le parole che mi servivano di più. Riassunto dopo riassunto sono emerse le parole che volevo usare.A livello di tratto come si è affinato il tuo stile? Come ci hai lavorato sul blog e com’è andata poi nel dover ripetere gli stessi personaggi e gli ambienti più e più volte su carta?
Essendo partito come un blog avevo bisogno di qualcosa che fosse veloce da fare e volevo qualcosa che fosse espressivo e giocoso.
Ho capito con il tempo che non mi piace lo stile realista e non sono troppo brava. Il tempo cadenzato è stato un altro fattore che mi ha influenzata perché essendo un po’ insicura e ansiosa rischiavo di sforare. È stato un esercizio di presa di coraggio, dopodiché ho mantenuto il processo stando attenta a non aggiungere troppi dettagli.
Quando Big Splash si è trasformato in libro il tempo si è dilatato, e avrei avuto più tempo per tavole più realistiche o più dettagliate, ma non sarebbe venuto bene, così ho continuato a lavorare su quel tipo di segno. Mi piacciono molto le linee pulite, mi dà molta pace il fatto di non fare tratteggio e poter fare ombre a blocchi neri. L’ordine che riesco a creare – almeno su carta – mi fa stare bene.
Per quanto riguarda invece la gabbia com’è andata? Hai fatto delle prove?
Sono partita studiando la gabbia di un fumetto che mi è piaciuto tantissimo edito da Mammaiuto: Ross, di Claudia “Nuke” Razzoli. È una sorta di soap familiare che racconta di una ragazzina, da quando è giovane a quando diventa grande. Sono partita studiando la sua gabbia e poi l’ho rallentata: lei si muove su un arco temporale molto lungo e quindi doveva velocizzare certi passaggi, nella mia storia di fatto ci sono delle lettere e vengono raccontati pochi mesi, quindi ho dilatato tutto e ho reso le vignette meno serrate.
Sul ritmo mi sono interrogata tanto e ho cercato di farlo funzionare. Ho fatto tante prove con piccoli storyboard con le sole vignette per capire se il ritmo mi piaceva, se accelerava e decelerava nei momenti giusti. Sono andata a orecchio, perché non l’avevo mai fatto prima.
Un’altra tematica molto presente è l’amicizia durante gli anni dell’università. È un po’ come se le amicizie che crei resistano nei momenti di vita forti com’erano. Sono momenti così importanti per la creazione della propria persona: si vivono un sacco di momenti divertenti ma anche di casini e una seconda adolescenza, quella del mondo del lavoro, e non si sa bene come affrontare il tutto.
Mi interessava raccontare quella parte perché quella che ti fai all’università – o comunque in quegli anni – è la famiglia che ti scegli tu. Sono le amicizie che scegli di portare avanti. E quando ti capita che qualcuno di quella tua famiglia scelta rimane incinta vorresti esserci. Sono quelle le persone che vorresti vicino, anche quando finisce quel periodo magico per cui per qualche anno si riesce ad abitare insieme. Il legame che si crea è molto forte, molto potente, perché vivi con queste persone delle prime volte importanti, e poi si allontanano perché siamo una generazione così, che gira. Troviamo lavoro dove possiamo, oppure facciamo l’università in una città che non è la nostra e poi torniamo.
E quando succede che ci siano cambiamenti lavorativi o di coppia o di vita sono loro le persone che vorresti avere vicino, ma non le hai, e devi sempre contrattare con la distanza, le telefonate, e la lontananza che ti toglie quel lusso di potersi stare vicine anche per 15 minuti della giornata.
Io non ce l’ho più perché le mie amiche sono in giro per l’Italia, e mi ritrovo a vivermi molto nell’attesa cercando di sopperire con il cellulare. Nel fumetto ho fatto scrivere delle lettere alle protagoniste perché volevo che qualcosa rimanesse: quando capita più che qualcosa rimanga? Magari ci sono audio divertenti che ci si è mandate, ma quando succede di ascoltare un audio di 4 mesi prima? Sono amicizie forti, una famiglia a tutti gli effetti, e si fatica a tenere traccia delle rispettive vite.Parlavamo poco fa di patriarcato: dobbiamo fare sempre attenzione, perché l’abbiamo introiettato più di quanto vorremmo e capita anche fra ragazze di giudicarsi in modo aspro. C’è molto da ricostruire, sia nella coppia che nell’amicizia, e che il “si è sempre fatto” e “si è sempre detto” lascia il tempo che trova. Bisogna guardarsi in faccia molto bene, ascoltarsi e capirsi. La scena di Ada sulle scale con la collega è molto dolce, sono piccole rivoluzioni.
Volevo riportare i dialoghi non solo della mia vita ma anche rubati dai tavolini dei bar. Le ragazze parlano tanto e se la prendono spesso, è vero, ma neanche troppo. Sono disposte ad avere grandi litigi e anche a far pace. A dirsi delle cattiverie e poi però connettersi in maniera empatica e andare oltre il pregiudizio. Penso che questo sia un nostro enorme punto di forza.
E anche se la storia nei secoli scorsi non ha girato a nostro favore, ci ha portato ad agire meno e ad ascoltare molto di più, stare in ambienti stretti e familiari, in generale trovo maggiore capacità di ascolto e di confronto critico costruttivo. A meno che non succeda qualcosa di veramente grave, i legami non si spezzano mai troppo. L’emotività gioca a nostro favore, e ci apre all’ascolto. Ascoltare le ragazze al bar è diventato il mio hobby. Sono belle le cose che diciamo, e interessanti. Io credo nella frivolezza e nel non prendersi troppo sul serio, e se la riusciamo a portare nei discorsi più importanti credo questo possa dare tantissima forza. Non è sempre giusto sdrammatizzare, ma è una qualità che abbiamo appreso.
Al contempo sappiamo che ci sono ancora tante battaglie da combattere.
Assolutamente, le mie personagge, tutte quelle che ho raccontato, sono delle privilegiate. Sono ragazze che stanno abbastanza bene. Isa fa un lavoro che non le piace ma evidentemente se riesce a tenersi un part-time vuol dire che non ha problemi economici. Sono squarci della vita di una ragazza bianca, etero, cis.
Volendo su questo si potrebbe scrivere un tomo.
Passi sulla bisessualità di Ada in modo tranquillo, un’apertura normalizzata sulla fluidità di genere e che in Italia sta arrivando, ma è meno presente rispetto ad altri paesi.
Ho voluto inserire alcune tematiche senza indagarle troppo e dandole per assodate, tipo questa. Non volevo metterci la lente di ingrandimento sopra.
Ada, come spesso accade, carica la sua ex di alcuni modi di essere suoi, dandole delle colpe per paura di guardarsi dentro e dare alle cose il proprio nome. Volevo che si sfiorasse questa cosa, che fosse credibile ma che non fosse quello il focus, così come non ho voluto ragazzi nella storia. Doveva essere una storia di amicizia femminile, su più livelli.
Le figure maschili che ho inserito non vanno a infastidire la trama e non volevo che prendessero loro il microfono. Mi piaceva l’idea che fosse testimoniata la possibilità di avere un compagno che non interferisce con la tua vita privata ma che è collaborativo, che è di supporto, che sa scindere, che non soffra di gelosie cretine.
Il compagno di Ada è consapevole quasi prima di lei che il ritorno della ex non c’entra niente con la loro coppia, che è molto solida, e si preoccupa per lei che si sta appigliando al passato per altri motivi, lo capisce. Volevo si parlasse di questi argomenti in maniera indiretta, senza essere morbosi.
Con la ex non si entra troppo nel dettaglio, si capisce che c’è stata una relazione, che erano diverse, che c’erano delle dinamiche manipolative, ma che poi le si supera senza farle diventare l’argomento totalizzante. Sono cose che succedono al pari di tante altre. Volevo anche sottolineare che le ragazze possono essere molto immature e personaggi mediocri. Non c’è nessuno che spicca in niente, perché se no sembra un’investitura.
Sempre riguardo alle rappresentazioni, Isa è un personaggio grasso e peloso, e anche in questo caso lo prendiamo come dato assodato. Non interessa a nessuno che lei sia così perché la trama è un’altra.Questa è un’altra scelta decisa che fai, spostando appunto il focus su argomenti più importanti.
Sì, volevo che le mie protagoniste fossero tutte brutte e anche se non le ho disegnate in modo realistico volevo fossero così. Non ce n’è una avvenente, e quando non sono bruttine usano un’espressività che le rende bruttine. Non volevo poi che ci fossero prese di coscienza sul proprio corpo con annesse battutine, perché si parla di loro come persone. Isa è in una fase un po’ confusa e si sente sola, sarebbe stato facile creare il collegamento con il suo aspetto fisico e con il fare qualcosa per se stessa.
A un certo punto si trasforma decidendo di fare un viaggio, ma del suo aspetto non cambia niente.
Come ti sei avvicinata a queste tematiche femminili? Sembra che per te siano molto radicate e parte della tua quotidianità.
Da trentenne ho scoperto che ero femminista. Certe dinamiche che vedevo intorno a me, famigliari e di amicizia, mi hanno sempre molto infastidita e battagliavo parecchio, anche senza sapere i nomi delle cose. A marzo 2017, quando c’è stato il corteo contro il congresso delle famiglie, mi ero già avvicinata al movimento ma non ero in collettivi. Il giorno dopo mi sono fermata per partecipare a un’assemblea di “Non una di meno” ed è stata un’esperienza folgorante. Ho iniziato a leggere moltissimo per mettere i nomi a battaglie ed emozioni già provate e poi ho partecipato alla creazione delle “Case delle donne” di Parma.
Ti sei sempre trovata bene con il termine “femminismo”?
No, affatto, ma ho capito che bisogna accollarselo. Sarebbe un mondo fantastico se riuscissimo a parlare di disparità senza etichette, ma siamo ancora molto distanti da questa cosa e quindi bisogna dare spazio a questo termine e prendere posizione.
Se vuoi che la parola sia depontenziata dalle caratteristiche negative che ha ereditato bisogna usarla perché se no viene banalizzata ed esce dalle conversazioni. Se utilizzare la parola “femmina” è un problema dobbiamo capire perché lo è, e io stessa ho dovuto fare un passaggio perché inizialmente mi dovevo sempre giustificare. Vorrei entrasse più spesso nei nostri discorsi in maniera più comoda: è un tema su cui c’è molto dislivello perché capita poco spesso di poterne parlare con leggerezza, ed è un altro motivo che mi ha spinta a scrivere questo fumetto.
Nel libro parli di fare “manutenzione di se stesse”: quali sono le tue letture per farlo e quali vorresti consigliare a chi legge?
Liv Strömquist, tutta la sua produzione ma in particolare Il frutto della conoscenza; per quanto riguarda i podcast: Acerbe di Will Media realizzato da Valentina Barzago e Agnese Mosconi o Tutte le ragazze avanti, in particolare le puntate con ospiti Marina Pierri e Eugenia Fattori.
Sempre sul tema “maternità non voluta” il documentario dell’associazione Lunàdigas di Nicoletta Nesler e Marilisa Piga, e gli articoli di Maria Cafagna e Simonetta Sciandivasci. E poi Ross di Claudia Nuke Razzoli , che consigliavo prima.
Hai già un’idea per i prossimi progetti?
Al momento (novembre ‘22, ndr) sto lavorando a un articolo per la Revue Dessinée che esce sul quarto numero, e poi mi godrò la promozione e schiarirò un po’ la testa, in modo che subentrino nuove idee.
Grazie mille per la bella intervista Marta, a presto!
Un piacere, grazie a Lo spazio bianco per avermi ospitata!
Intervista svolta per mail a novembre 2022 e rivista via mail a febbraio 2023.
Marta Bandirini
Nata a Parma nel 1985, ha frequentato il corso di Pittura all’Accademia di Belle Arti di Bologna.
Nel 2020 ha caricato sul suo blog un fumetto a puntate, che a poco a poco si è trasformato in Big Splash.