C’è un momento chiave, all’interno del sesto volume di Eternity, che esplicita una condizione che ha permeato quasi tutte le pagine fino a quel momento ma che solo in quel frangente appare così chiara e lampante:
“Sono delle giornate molto noiose… non finiscono mai”.
In effetti non succede granché di concreto, nella prima parte de I giorni non finiscono mai e la vita passa in fretta, ma la scrittura di Alessandro Bilotta è talmente suggestiva – nei dialoghi, certo, ma anche nella particolare atmosfera delle situazioni descritte – che il lettore quasi non se ne accorge, avvolto dalla normalità insapore della quotidianità. In pratica, qualcosa di simile a quello che accade a chiunque nella vita reale.
Alceste Santacroce, il cinico gossipparo al centro della serie, si ritrova improvvisamente celebre al pari dei vip di cui si è sempre occupato, come conseguenza della travolgente pubblicità “di riflesso” che ha ottenuto il suo libro in seguito agli eventi narrati nel volume precedente: essere al centro dell’attenzione in maniera così violenta complica le giornate del protagonista rendendole per l’appunto inconcludenti.
Bilotta compie in questa maniera una tagliente analisi della fama, tanto invasiva quanto effimera, ben lontana dall’essere una benedizione ma più simile, piuttosto, a una pastoia che limita la propria libertà e le normali attività, causando un fanatismo nella gente ai limiti dell’incomprensibile.
Nemmeno il tentativo di cavalcare l’onda per non esserne travolti sortisce esiti: l’assistenza del losco fratello di Alceste, già introdotto nel secondo numero, non è d’aiuto e anzi apre a una sottotrama che promette risvolti futuri.
Ma se la notorietà positiva è una trappola, lo sceneggiatore mostra come quella negativa sia ancora peggiore, specie se chi la subisce anela più che mai le luci della ribalta.
Tito Forte, l’ex conduttore televisivo di successo messo alla berlina proprio dal bestseller di Santalceste, non ha mai brillato nel corso della serie ma è in questo episodio che tocca il punto più basso della sua carriera: partecipa a un reality show che ricorda da vicino L’isola dei famosi, perdendo però le staffe in maniera eccessiva, si reinventa quindi come ronda notturna per cercare di catturare un orso scappato dal bioparco che vaga per le strade di Roma e si abbandona a notti folleggianti nelle quali perde ogni dignità, complici comportamenti inopportuni.
È un ritratto drammatico quello della china discendente intrapresa dall’uomo, sul quale Bilotta compie un lavoro molto complesso: in parte ci si dispiace per quanto accade a Tito Forte, ma al contempo non lo si percepisce del tutto come una vittima a causa delle sue azioni rabbiose e di come reagisce a ciò che gli capita.
Lo stesso Alceste mantiene nei suoi confronti un atteggiamento ambiguo: sembra essergli vicino nel consigliargli maggior giudizio, ma non esita a pubblicare un nuovo servizio in cui spiattella ai lettori la sua caccia all’orso nonostante il presentatore l’avesse ammonito di non farlo.
“Non me ne sono approfittato”,
dice al fratello, e nella sua ottica è probabilmente vero: l’assoluta mancanza di empatia di cui è dotato non gli fa percepire una linea di confine né, soprattutto, le conseguenze che possono scatenare le sue azioni negli altri.
Tutto questo detona nelle ultime pagine, di singolare potenza narrativa e simbolica e anticipate peraltro dall’immagine dell’orso che esce dal locale “Eternity”: come se l’animale che cercava Tito Forte fosse la rappresentazione di quella eternità che il conduttore rincorre da sempre attraverso le telecamere.
Altro elemento cardine del volume è il progressivo allontanamento delle persone vicine ad Alceste: prima il fratello, che per motivi indipendenti dalla sua volontà deve darsi alla macchia, ma anche Claudia, con la quale era in corso una relazione sentimentale che stava ristagnando senza particolari sbocchi.
Considerando il carattere peculiare di cui è dotato il protagonista, la fine della relazione non dovrebbe essere un problema per lui, ma in realtà questa sottrazione va a depotenziare in qualche modo la sua routine e tutto ciò – unito alla fama improvvisa – lo destabilizza e lo annoia.
Il suo unico interlocutore rimane il direttore Quinto Serafini, che però lo coccola soprattutto con la speranza che possa aiutarlo in una faccenda personale.
Insomma, una lenta discesa nell’isolamento che porta allo scioccante finale, ennesima trovata dello sceneggiatore per riflettere sul personaggio e sulla società; nella volontà degli autori, peraltro, questo sesto numero rappresenta la fine di un primo ciclo narrativo di 6 episodi e in effetti il senso di “fine imminente”, a tratti opprimente, pervade l’intera storia fino a esplodere nelle ultime pagine.
Sergio Gerasi torna al timone dei disegni con il consueto tratto frastagliato e nervoso, che trova suo pieno compimento nella rappresentazione dei corpi: come già in passato, si può ammirare la ricercatezza nel character design, capace di rendere alcuni personaggi quasi grotteschi nel loro aspetto. È il caso di Quinto Serafini, che con il suo nasone e il sorriso sardonico si avvicina a certe fisionomie da personaggio dei film di Hayao Miyazaki, ma anche di Tito Forte, con le sue guance cadenti e la corporatura adiposa. Peraltro proprio l’ex conduttore TV viene come trasfigurato nel corso della storia, abbruttendosi fisicamente di pari passo con il proprio decadimento morale.
Il disegnatore è abile anche nel tratteggiare le espressioni di Alceste Santacroce, alternando sapientemente la sua imperturbabilità con quel lieve senso di smarrimento che inizia a provare con lo sviluppo degli eventi e che si nota più che altro dagli occhi.
Le sue pose sono invece sempre inflessibili, anche quando si mette a ballare in determinate situazioni mondane: elemento ricorrente nella serie, quello della danza in discoteca o, in frangente, anche durante la trasmissione a cui è invitato, sorta di espressione catartica nella quale però il personaggio non si scioglie mai sul serio, tant’è vero che la posizione degli arti assume forme nette e spezzate, quasi geometriche.
Anche la colorazione di Adele Matera, al solito volutamente sbordata e accesa, accompagna egregiamente il mood della storia, dato che anche le fonti luminose vengono rappresentate da punti-luce squadrati.
Per quanto riguarda la griglia, si riconferma la struttura a due strisce molto alte per pagina e con una scansione delle vignette piuttosto regolare (solitamente una riga con tre riquadri e l’altra con due, di cui uno più largo dell’altro) e senza mai ricorrere a forme strane per la cornice.
Vale la pena infine indicare le citazioni musicali inserite da Bilotta in questo numero: La banda di Mina e, particolarmente significativa nel finale, Senza fine di Gino Paoli per Ornella Vanoni.
I giorni non finiscono mai e la vita passa in fretta è quindi una ispiratissima nuova tappa nel percorso di Eternity, che arriva a un punto di svolta significativo all’interno della trama rilanciando in maniera inaspettata i temi trattati, lasciando il lettore con la curiosità per vedere le conseguenze narrative di quanto avvenuto.
Abbiamo parlato di:
Eternity vol. 6 – I giorni non finiscono mai e la vita passa in fretta
Alessandro Bilotta, Sergio Gerasi, Adele Matera
Sergio Bonelli Editore, 2024
72 pagine, cartonato, colori – 19,00 €
ISBN: 9788869619472