In alcuni paesi del Sudamerica, cumbe è sinonimo della parola quilombo, ovvero nascondiglio. Nelle lingue di Angola e Congo, significa invece sole, giorno, fuoco e forza. Questo termine ambivalente, che sottintende sia un senso di protezione che una voglia di azione e riscatto, è il titolo scelto dal brasiliano Marcelo D’Salete per raccontare una storia fatta di sofferenza e brutalità, orgoglio e senso di appartenenza: la storia della vergognosa schiavitù africana in Brasile.
A questo tema, il fumettista ha dedicato anni di ricerca e di approfondimento, producendo non solo Cumbe ma anche Angola Jam (pubblicato nel 2017), storia del quilombo (villaggio di schiavi fuggiti) di Palmares.
Attraverso quattro storie ambientate nelle fazendas, D’Salete ripercorre episodi di violenza di schiavisti su schiavi, del tentativo di rivolta di questi ultimi, della volontà di libertà e dignità ispirate da tradizioni millenarie calpestate ma non dimenticate, della perdita progressiva di umanità sia degli oppressori che degli oppressi. Un viaggio duro e straziante, che mescola insieme la dura realtà di una storia infame con leggende e credenze della tradizione africana, una miscela che conferisce a ogni racconto un’atmosfera di drammatica e onirica spiritualità.
In Calunga – un termine che definisce Dio, mare e morte – l’amore tra due schiavi è spezzato dalla disperazione del non avere niente se non se stessi e il proprio cuore, un sentimento che trasforma il desiderio di fuga e di passione in possesso e morte. In Semidouro, parola che significa pozzo profondo, il dramma degli abusi sessuali dei padroni sulle proprie schiave diventa il dramma della vendetta e dell’omicidio, in cui la vita di un neonato e di sua madre non sono altro che oggetti nelle mani di una donna tradita.
In Cumbe, la rivolta di alcuni schiavi mette in evidenza il dramma infinito della schiavitù, che strappa l’umanità a chi ne è vittima e che rivela la completa mancanza di compassione nei carnefici, in un ciclo di violenza destinato a ripetersi all’infinito. In Malungo, “compagno” nella lingua degli schiavi, la ribellione di questi porta alla luce le nefandezze degli schiavisti, che non si fermano nemmeno davanti alle lacrime di una bambina, e che diventano veri e propri quibungo, i “lupi” in lingua kibungu, esseri mostruosi dalla testa enorme e dalla bocca sulla schiena, incarnazione del male sulla terra.
Ogni pagina di Cumbe è un pugno nello stomaco, un ulteriore esempio della ferinità degli esseri umani, una testimonianza senza filtri di una storia lunga e che ha ancora strascichi nella società brasiliana, una ferita nella storia del mondo.
I disegni di D’Salete si ispirano alla tradizione delle maschere africane, fatte di linee spezzate ed aguzze, di labbra grandi e carnose che non riescono a ritrovare il sorriso, di occhi scuri e profondi che hanno visto il male del mondo ma non hanno perso la fierezza. Il bianco e il nero sono netti e precisi, fanno risaltare le espressioni di volti vessati, impauriti, rapiti da un’estasi disperata e frenetica, mettono in evidenza corpi giovani e martoriati abusati da altri pingui e deformi.
L’autore non è solo bravo nel creare scene di grande intensità emotiva o di azione dinamica con la teatralità dei corpi e le espressioni facciali, ma soprattutto con la scelta di inquadrature studiate per enfatizzare il dramma e il dolore dei protagonisti. Gli esempi della maestria di D’Salete sono molti: la rotazione delle vignette a pagina 23 e 24 crea un senso di vertigine e di caduta nella follia, il crescendo drammatico delle pagine 74-77, in cui le vignette si allargano sempre di più e le prospettive passano dal sopra al sotto in maniera rapida, crea un senso di terrore e ineluttabilità scatenati dalla cieca violenza, la scomparsa del Quibungo nel fiore retto dalle mani di una bambina nella sequenza da pagina 157 a 159 simboleggia la speranza di un futuro diverso, dopo tanto dolore, un futuro in cui la cieca violenza venga messa a tacere dalla compassione.
A questa simbologia compositiva si affianca una simbologia tratta dalle tradizioni degli schiavi africani, tradizioni che si sono via via evolute nel nuovo continente e che hanno creato un nuovo senso di appartenenza, di popolo: non solo il Quibungo, ma anche il Chibinda Ilunga, simbolo di nobiltà e forza, o l’ideogramma in lingua Côkwe, un simbolo di libertà e di ricerca di un nido sicuro.
Questo grande lavoro di ricerca (ben sintetizzato nel fondamentale glossario finale) non solo conferisce al racconto un senso di veridicità e storicità, ma rafforza l’autenticità del nucleo emotivo della storia, ne esalta il carattere mistico e spirituale, elevando la sofferenza degli schiavi a materia mitologica, una mitologia fatta di carne e sangue, di infamia e violenza, non lontana nel tempo ma vicina, tangibile, presente come un taglio ancora aperto nel cuore di una nazione ancora oggi dilaniata da differenze sociali enormi e letali.
Il racconto delle sofferenze e della dignità degli schiavi africani in Brasile fatto da Marcelo D’Salete è un’opera di rara e struggente bellezza, cruda e onirica al tempo stesso, un’opera che ha giustamente riscosso successo in molti paesi, culminando con la vittoria dell’Eisner Award 2018 per il miglior materiale internazionale pubblicato negli Stati Uniti. Una storia da non dimenticare.
In un momento in cui il Brasile, con l’elezione di Jair Bolsonaro a presidente del Paese, si avvia a una nuova stagione di diseguaglianza sociale e in cui il mondo intero è scosso dai venti del razzismo e della xenofobia, racconti come questi appaiono come grida di richiamo, di ammonimento. Affinché l’uomo non si dimentichi la propria umanità, e non consegni il mondo ad altri Quibungo.
Abbiamo parlato di:
Cumbe
Marcelo D’Salete
Traduzione di Francesca Pasciolla
Becco Giallo, 2016
176 pagine, brossurato, bianco e nero – 18,00 €
ISBN: 9788899016418