Nato nel 1976 a Berlino Est con il nome di Markus Witzel, Mawil è attivo come fumettista sin dal 1991, quando pubblica i suoi primi lavori su una fanzine berlinese. Il suo stile, all’inizio fortemente influenzato dai graffiti, si affina durante gli studi all’Accademia delle belle arti di Berlino-Weißensee, virando verso forme più chiare e cartoonesche, ispirate al disegno umoristico, che ben si adattano al registro delle sue storie. Dopo l’esperienza in vari collettivi di artisti (il più importante è Monogatari), nel 2003 arriva la consacrazione con la pubblicazione del suo lavoro di laurea, Wir können ja Freund bleiben (Certo, possiamo restare amici, Reprodukt), che viene premiato con l’ICOM Independent Comic Preis nella categoria “Funny” e viene poi tradotto in inglese dalla Blank Slate Books. Da allora diventa uno degli autori di punta della casa editrice berlinese, con cui pubblica Die Band (2004), Das grosse Supa-Hasi-Album (2005), Meister Lumpe (2006), Aktion Sorgenkind (2007), Mendrisio (2010), Kinderland (2014, qui la nostra recensione) – vincitore del Max und Moritz Preis come miglior fumetto in lingua tedesca, pubblicato anche in Francia per Gallimard– e The Singles Collection (2015). Oltre al lavoro di fumettista, lavora come illustratore per alcuni giornali, tra cui il Tagesspiegel, e come insegnante presso alcuni istituti berlinesi.
Incontro Mawil durante la Leipziger Buchmesse un po’ stanco e trafelato dopo due giorni intensi di presentazioni e firme. “Questa fiera è sempre bella grande e intensa, un sacco di cose da fare. Ma almeno ci sono molti lettori entusiasti!”. E entusiasta è anche Mawil, che si concede a Lo Spazio Bianco per parlare della sua carriera, del suo stile, di Kinderland e della sua prospettiva sul presente e futuro del fumetto in Germania.
Ciao Mawil e grazie per la disponibilità. Cominciamo con una domanda per rompere il ghiaccio e farti conoscere al pubblico italiano: quando hai deciso di dedicarti al fumetto e quali sono stati i tuoi primi passi?
Da bambino stavo molto in casa, non andavo spesso fuori a giocare e disegnavo molto. Tanti bambini a quell’età disegnano tanto, ma col tempo abbandonano. Io invece disegnavo anche durante l’adolescenza, era il mio passatempo. A scuola disegnavo fumetti per i miei amici, stampavo piccoli fumetti ed ero diventato famoso come “quello che fa i fumetti”. Così pian piano ho iniziato a pensare che potevo vivere facendo questo e da lì tutto si è svolto in maniera naturale. Ho studiato graphic design e pensavo di fare quello come lavoro regolare, e il fumetto farlo diventare un hobby. Però pian piano sono arrivati i primi lavori, poi i primi fumetti, poi il primo racconto lungo e alla fine ho intrapreso questa carriera.
E dove hai studiato?
Nell’accademia di belle arti Berlin- Weißensee. Allora a Berlino c’erano due accademie, una ad est ed una a ovest. Una cosa buona di queste scuole è che c’è sempre un semestre libero, in cui tu hai un progetto da portare a termine e che puoi scegliere in totale libertà. Di solito hai un professore che ti supervisiona e io ho avuto la fortuna di incontrarne uno che era abbastanza aperto nei confronti dei fumetti. Per questo progetto hai un termine ben preciso e devi decidere cosa vuoi fare nel corso dei sei mesi. Nel mentre però hai incontri regolari con il tuo professore e piccoli gruppetti di studenti, quindi hai sempre delle piccole scadenze, devi sempre portare 7-8 nuove pagine, e questo è un buon esercizio in vista di altri lavori, in particolare di una graphic novel. Prima di allora io avevo fatto solo storie brevi e fanzine, ma è con questo sistema che ho imparato a scrivere un racconto più lungo e corposo.
Quali autori hanno influenzato il tuo stile narrativo e grafico?
Nella DDR c’erano pochi fumetti, però c’era un magazine molto popolare, Mosaik, che ormai è un fumetto storico per la Germania. Esce ancora oggi, e mentre Topolino perde continuamente terreno, i numeri di Mosaik sono più o meno stabili: un fatto davvero divertente, perché i lettori della ex Germania Est volevano sempre leggere cose venute dall’Ovest! A parte questo, sono un fan dei classici d’avventura franco-belga, quindi Spirou e Fantasio, Lucky Luke, Asterix e Obelix e così via. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, ho meno influenze, ma trovo Calvin e Hobbes davvero superlativo. E più tardi si sono aggiunti i manga, che apprezzo per il loro approccio molto cinematografico al racconto: ci sono molto più pagine rispetto a un fumetto francese, e per questo puoi giocare molto di più con il layout di tavola. In una storia classica di Spirou, spesso un episodio è raccontato tutto in una pagina, mentre nei manga hai sempre una pagina doppia per ogni nuova scena.
Nel 1999 sei stato tra i fondatori del gruppo Monogatari (insieme a Tim Dinter, Ulli Lust e Kai Pfeiffer): come è stata
l’esperienza di lavorare in un gruppo di fumettisti e cosa ti ha insegnato?
Anche prima del 1999 ho lavorato in un gruppo di autori di fumetti underground e penso che fondare un gruppo sia una cosa sensata all’inizio della propria carriera o durante gli anni di studio. Avevamo stili e influenze diverse, ma già negli anni dell’accademia abbia prodotto due libri su alcuni temi comuni, per esempio sulla nostra esperienza di vita a Berlino. Allora era importante e positivo far parte di un gruppo, anche per avere un riconoscimento. Inoltre ci si aiutava a vicenda: per esempio, quando c’era una fiera del libro, andavano solo un paio di persone a presentare il lavoro di tutti. Si dividono le spese per la produzione e la pubblicizzazione. Oggi si usano blog e canali online, è più facile, ma allora la presenza alle fiere con le proprie opere era fondamentale. Inoltre ho imparato che mandare in stampa un libro non è difficile, anche a colori: ti servono un po’ di soldi, ma oggi si può stampare anche a basso costo. Ciò che è difficile è pubblicizzare e vendere un’opera. Quello è molto, molto stancante!
Molti dei tuoi fumetti hanno molti elementi autobiografici, celati dietro la maschera di un coniglio dalla testa sovradimensionata: in che modo questo personaggio ti rappresenta? E quali sono i pregi e le difficoltà di scrivere fumetti su sé stesso?
Io sono un tipo timido, schivo, non sono un Rampensau, come si dice qui in Germania, uno di quelli che salta sul palco. Per questo la maggior parte dei personaggi dei miei fumetti sono figure schive, timide, un po’ impaurite e per questo è sempre divertente quando questi incontrano personaggi coraggiosi, si crea un contrasto interessante. A parte questo, la cosa più importante nei fumetti autobiografici è essere completamente onesti. Il mondo del fumetto è popolato da tanti supereroi, da figure molto fighe e “perfette”, ma quando realizzi un fumetto su te stesso, devi rappresentare ciò che è veramente successo, non solo le cose fighe ma anche quelle meno belle, quelle che sono andate male. Il lettore si riesce ad identificare di più se tu disegni ciò che è successo veramente.
In Kinderland rappresenti uno spaccato di vita dell’infanzia e adolescenza a Berlino Est prima della caduta del muro: da dove è nata l’idea di ambientare la storia in un ambiente scolastico di fine anni ’80?
Io ho più o meno la stessa età del protagonista del libro, avevo 13 anni quando il muro è caduto. La casa editrice un giorno mi ha chiesto se volessi fare un libro sulla DDR, penso perché questo genere di opere in genere abbiano sempre un buon risalto, poiché dopo la seconda guerra mondiale, la Repubblica Democratica è il più grande argomento storico di questo paese. Devo ammettere che avevo un po’ di timore per via del tema, poiché è molto serie e molte persone hanno sofferto durante quel periodo. Le idee alla base erano anche condivisibili, il risultato pratico è stato drammaticamente disastroso. In quel periodo avevo voglia di fare un fumetto che fosse come un manga sul ping pong: tre ragazzini a scuola, sfigati ma bravissimi a giocare a questo sport, molto meglio dei ragazzi più grandi, si scontrano con loro, come in una storia epica di eroi. Flix (fumettista tedesco, NdR) ebbe per primo l’idea di combinare le due cose, e così ho deciso di farlo. Però ero io a voler scrivere una storia solo su bambini, perché è questo quello che io conosco di questo periodo: per gli adolescenti il tempo della DDR era frustrante, molto duro, non potevano scegliere il lavoro che volevano, non potevano viaggiare, mentre un bambino viveva nel proprio mondo senza alcun problema. E anche il tempismo della storia secondo me è importante, partiamo con dei bambini che giocano e quando sono sul confine dell’adolescenza, il muro cade. Le due storie si incontrano e si intrecciano.
Pur non essendo propriamente politico, Kinderland mostra molti pregi e difetti mescolandoli a un ricordo dolce, sebbene non nostalgico: quanto di personale c’è in questa storia e quanto è frutto di un attento lavoro di ricerca?
Diciamo che circa il 30% è autobiografico, il resto è finzione e ricerca. Le scene della caduta del muro e del viaggio verso Ovest sono esperienze personali. Per il resto, come ho detto non uscivo spesso, quindi ho dovuto creare molto. Una miscela di piccole avventure, amori, conflitti e storia, che visti oggi possono far sorridere ma che per un bambino sono estremamente serie.
Come molti altri artisti, hai lavorato su alcuni dei più importanti quotidiani e magazine tedeschi: quanto è importante questo tipo di canale per il fumetto e i fumettisti tedeschi?
Per fortuna in questi ultimi anni abbiamo ricevuto molta attenzione. L’ho notato con la pubblicazione di Kinderland, quando abbiamo ricevuto recensioni su tutti i più importanti giornali e riviste. Io disegno ancora per quotidiani e magazine, questo mi permette di essere letto addirittura dai miei genitori! Forse leggono solo perché sono loro figlio, non so. Altrimenti, penso che gente della loro generazione non leggerebbe fumetti, non penso abbiano avuto la giusta esperienza per capirli fino in fondo… o forse semplicemente i miei fumetti non sono abbastanza buoni, chissà?! Però anche quando solo un 10% dei lettori di un giornale legge questi fumetti, siamo di fronte a un pubblico molto più grande di quello che entra in un negozio specializzato. E questa è una grossa pubblicità per il fumetto.
Sei attivo nel mondo dei comics da ormai vent’anni: cosa è cambiato nel mercato tedesco e come vedi il presente e il futuro del fumetto prodotto in Germania?
Prima di tutto, ci sono molte più lettrici e autrici. Inoltre, le accademie di belle arti sono molto più aperte nei confronti del fumetto e molte persone che studiano graphic design o illustrazione realizzano fumetti come lavoro di tesi. Ma soprattutto sono stati i manga che hanno cambiato il mercato negli ultimi venticinque anni. È divertente e interessante: la scena del fumetto era molto piccola in Germania, poi sono arrivati i manga e sono comparsi giovani disegnatori, molto più giovani di noi e che vendevano dieci volte di più. Alcuni della vecchia guardia erano un po’ infastiditi. Adesso però le due scene si sono integrate e si vedono sempre più fumetti che sono una commistione tra arte europea e orientale. E poi un grande cambiamento lo ha portato internet: come detto, prima dovevi stampare la tua fanzine, andare alle fiere e pubblicizzarla (e possibilmente venderla) lì. Adesso apri un blog e migliaia di persone possono leggerti. Puoi anche ricevere soldi, per esempio attraverso Patreon o altri siti web. Ai tempi ero sempre emozionato quando incontravo qualcuno che aveva letto il mio fumetto, o che lo aveva visto nel bagno di casa di qualche amico, ma era una occasione rara. Oggi è tutto più veloce.
Per quanto riguarda il futuro, penso che la concorrenza oggi sia molto più alta. Non solo tra autori di fumetti, ma tra media diversi: ci sono videogiochi, giochi per telefonino, giochi online, canali youtube, Netflix e via dicendo, quindi è difficile far leggere a qualcuno un fumetto. Però almeno le possibilità di stampa e di pubblicazione sono aumentate.
Chiudiamo con una classica domanda sul tuo futuro: a cosa stai lavorando in questo momento?
Ho appena concluso un volume di Lucky Luke. È stato un grosso onore quello di realizzare il primo fumetto di Lucky Luke da parte di un autore tedesco e penso sia stato interessante anche per l’editore Egmont Ehepa pubblicare un volume proprio del personaggio, e non solo su licenza. È una storia da road-movie, Lucky Luke deve attraversare l’America in bici e Jolly Jumper è piuttosto arrabbiato. È stato divertente per un fan delle due ruote come me disegnare il personaggio in sella a una versione antica di bicicletta! Adesso sto realizzando alcune pagine extra per una versione “lusso” della storia. E poi ho molte idee per nuove storie, soprattutto storie per bambini in questo momento.
Grazie Mawil e alla prossima!
Intervista realizzata il 22 marzo 2019 presso la Lipziger Buchmesse, traduzione dal tedesco di Emilio Cirri