Nel più classico degli stilemi del genere supereroistico e della serialità, Jeff Lemire e Dean Ormston avevano chiuso la prima serie di Black Hammer con un cliffhanger: Lucy Weber, figlia dell’originale eponimo della testata, impugnando il martello del padre si era trasformata nella nuova incarnazione dell’eroe e aveva annunciato ai protagonisti della storia di aver risolto il mistero della loro sparizione e del loro esilio decennale da Spiral City.
Il terzo volume della serie che Bao Pulishing pubblica in Italia riparte esattamente dove si era interrotto il precedente e contiene i primi cinque numeri de L’era del terrore (Age of Doom in originale), la seconda serie di Black Hammer ancora in corso in USA. Lemire, usando un altro tipico meccanismo della serialità, procrastina la spiegazione di Lucy ai suoi amici e ne approfitta per ampliare l’affresco narrativo che sta portando avanti nella storia.
Come abbiamo già evidenziato in passato, Black Hammer è sia un omaggio dell’autore canadese al fumetto supereroistico di cui è sempre stato appassionato lettore, sia una reinterpretazione degli stilemi di genere sviluppatisi in circa ottant’anni di pubblicazioni, declinati secondo la particolare poetica lemirania, che filtra la narrazione attraverso l’ottica dei rapporti familiari e di affetto1.
Tuttavia, come si era palesato già a una più attenta lettura di Sherlock Frankenstein e la Legione dei mostri – prima miniserie spin-off pubblicata a cavallo tra la prima stagione della testata principale e l’inizio de L’era del terrore – la riflessione e l’omaggio portati avanti da Lemire in questo suo progetto non si limitano a una reinterpretazione di cliché e di situazioni accumulatesi in anni di produzione supereroica a fumetti, ma si estendono anche a un approfondimento sui costrutti narrativi che nel corso dei decenni hanno caratterizzato le storie.
Il fine di tutto questo è una più ampia riflessione sulla narrazione, sul raccontare storie e sul potere che la narrazione può esercitare su chi scrive, come diventerà più evidente nel proseguio di questa seconda stagione.
Con tale motivazione si spiega l’andamento metanarrativo dei primi numeri de L’era del terrore, un artificio che come Lemire ben sa ha caratterizzato una precisa stagione del fumetto supereroico e che è dunque meritorio di omaggio per il canadese.
C’è stato un periodo nella storia dei comics americani in cui il genere supereroistico, i suoi vincoli e gabbie narrativi hanno cominciato ad andare stretti agli autori che sentivano la necessità di raccontare storie diverse, di ampliare gli orizzonti.
È stato un periodo ben preciso, intorno alla metà degli anni ’80, quando il revisionismo portato nel fumetto supereroico da autori come Alan Moore e Frank Miller ha in un certo senso aperto la strada all’etichetta Vertigo della DC Comics che ha ampliato gli orizzonti della tipica narrazione seriale del fumetto statunitense a nuove strade tra horror, mistero, filosofia e realtà.
Ecco che allora Lemire con i primi numeri de L’era del terrore sembra volerci dire che, sì, il fumetto supereroico è il suo più grande amore ma quello è solo uno dei molteplici universi racchiusi nel multiverso delle storie e delle narrazioni. E quel multiverso Lemire, da autore eclettico, lo conosce molto bene.
Tocca a Lucy Weber esplorare questa molteplicità che prende forma in tipici rimandi alle più famose serie Vertigo, a cominciare da Sandman, in un rinnovarsi del gioco tra omaggio e reinterpretazione marchio di fabbrica di Black Hammer. Uno dei risultati più alti di questo divertissement lemiriano è il suo ritratto proprio della famiglia di Sandman e degli Eterni. Se tutti i personaggi che abitano i racconti creati dagli autori condividono tra loro un multiverso di storie, allora il custode delle terre del Sogno nell’interpretazione di Lemire non può che trasformarsi nel custode delle storie Storyman e la sua famiglia è composta da Leggio, Relazione (la Death lemirania) ed Editor.
Come ci ha abituato Lemire, siamo però lontani da un uso di maniera del meccanismo metanarrativo che invece viene posto a servizio della storia e, ancora di più, a servizio di quello che lo sceneggiatore vuole raccontare.
La stessa trovata di rappresentare la Parazona come un reticolo che richiama alla mente quello neuronale accentua l’allusione metanarrativa.
Parallelamente all’odissea di Lucy nel multiverso delle storie, viene portata avanti anche la vicenda dei protagonisti della serie e, quando le due linee narrative si uniscono, si arriva alla risoluzione del mistero fondante dell’intera serie fin dal suo esordio. Uno scioglimento che non sorprende tanto per la spiegazione data all’esilio degli eroi, perché non può che essere una tipica trovata già sperimentata più volte nel racconto di genere supereroico. Ciò che nuovamente colpisce è la freschezza con cui l’ammanta Lemire e come leghi questo snodo fondamentale della trama a un ulteriore approfondimento dei suoi personaggi. Abe, Gail, Barbalien e gli altri si rivelano ancora una volta eroi, sì, ma fallaci. Le relazioni, i legami familiari si rivelano fondamentali, importanti, definiscono i protagonisti che nella loro umanità non riescono a rinunciarvi per un ideale supereroico superiore o indefinito.
Quello che appare essere un punto di arrivo della storia si rivela invece un trampolino per i successivi sviluppi. Quando sembra di aver capito dove la trama intessuta voglia andare a parare, Lemire spariglia di nuovo le carte e lascia i lettori stupiti e in fremente attesa degli sviluppi futuri.
Dean Ormston dal canto suo si dimostra ormai demiurgo grafico dell’intero universo di Black Hammer.
Da un lato la padronanza grafica che ha acquisito nel disegno dei personaggi gli permette di farli recitare perfettamente, donando loro una gamma di espressioni tanto vasta quanta la profondità e la varietà dei sentimenti che provano. Dall’altro stupisce la capacità di dettaglio in ogni vignetta: uno stile che all’apparenza sembra scarno racchiude invece un’inventiva e una ricchezza impressionanti.
Anche le tavole più oniriche, nelle quali l’aspetto metanarrativo diventa centrale, non perdono di leggibilità né nell’impostazione strutturale, né nella capacità di racconto che deve far leva soltanto su elementi grafici totalmente fantasiosi e lontani da una qualsiasi forma di realismo.
I colori di Dave Stewart si mettono completamente al servizio del disegno di Ormston. Non ne coprono l’espressività dei segni ma anzi ne intensificano la potenza con una colorazione leggera, giocata su poche efficaci sfumature e su una tavolozza che spazia sull’intero spettro cromatico, donando concretezza alle pagine.
Ormai è un dato di fatto che Black Hammer sia tra i migliori prodotti supereroistici venuti fuori negli ultimi tre anni e i premi vinti lo testimoniano chiaramente. Ciò che continua a stupire è la continua crescita dell’affresco creato da Lemire e la continua ricerca di originalità con cui dare forma a una materia già passata da decine di mani e di storie.
Abbiamo parlato di:
Black Hammer Vol #3 – L’era del terrore parte 1
Jeff Lemire, Dean Ormston, Dave Stewart
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Pub., 2019
136 pagine, cartonato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788832732184
Per approfondire ulteriormente tale aspetto del lavoro del fumettista canadese all’interno della serie, si rimanda alle recensioni dei volumi #1 e #2 di Black Hammer e della miniserie Sherlock Frankenstein ↩