Sherlock Frankenstein e la legione del male, oltre a essere la prima miniserie spin-off legata alla pluripremiata serie Black Hammer creata da Jeff Lemire e Dean Ormston, è anche il primo importante tassello che lo sceneggiatore canadese pone per la costruzione del suo ampio, tragico e intenso universo supereroistico di stampo indie.
Qui affiancato dal disegnatore spagnolo David Rubín, il cui apporto come vedremo in seguito si rivela fondamentale per la riuscita della storia, Lemire approfondisce e dà corpo a quelli che nella testata principale erano stati finora semplici accenni o nomi, andando a creare di fatto una base di eventi e personaggi su cui si poggiano le vicende raccontate in Black Hammer.
La costruzione di un’epica supereroica
Il volume, edito in originale da Dark Horse Comics e presentato in Italia da Bao Publishing, contiene i quattro numeri della miniserie e il dodicesimo numero della serie madre. Anch’esso è disegnato da Rubín e funziona da vero e proprio prologo ai fatti narrati in Sherlock Frankenstein che, cronologicamente, si svolgono durante l’arco di tempo che intercorre tra i primi sei numeri di Black Hammer, ma che per essere ancora più apprezzato può essere letto alla fine della prima serie della testata ammiraglia, dopo il #13 (ovvero dopo il secondo volume edito da Bao).
Nell’antefatto – che si svolge prima degli eventi narrati in Black Hammer #6 – la figlia di Black Hammer, la giornalista Lucy Weber, viene avvicinata dal dottor James Robinson, una volta l’eroe conosciuto come Doctor Star1, che le consegna le chiavi di accesso al rifugio segreto del padre. Lucy, da sempre convinta che Black Hammer e gli altri eroi non siano morti durante la battaglia con l’Anti Dio avvenuta dieci anni prima, ha finalmente in mano una traccia da seguire per potere scoprire cosa sia stato veramente del padre e dei suoi compagni: risalire alla verità attraverso le persone che erano più vicine agli eroi, i criminali loro antagonisti.
Su questo canovaccio che potremmo definire classico – la grandezza di un eroe si riconosce anche dallo spessore dei suoi nemici – Lemire imbastisce una narrazione che racchiude in sé tutti gli elementi che hanno decretato il successo di Black Hammer e che inquadrano l’opera nella corrente del Nuovo Umanesimo Supereroistico: tragicità e drammaticità degli eventi e profonda caratterizzazione dei personaggi attraverso la riflessione su identità e ruoli familiari. Il tutto declinato secondo un omaggio al genere supereroistico non derivativo né manierista, ma anzi capace di arricchirlo con sfumature inedite.
Lemire struttura i quattro racconti in modo pressoché identico: in ognuno ci presenta uno dei villain di spicco che nel passato (finora inedito) hanno dato del filo da torcere agli eroi, attraverso l’incontro e le domande di Lucy Weber che, puntualmente in ogni numero, portano il lettore e la protagonista a una percezione diversa del personaggio tra l’inizio e la fine della storia.
Si comincia con Mectoplasm, gigantesco corpo robotico che racchiude forse il fantasma di un bambino; è poi la volta di Chtu-Lou, impressionante uomo con la faccia da calamaro, una volta placido idraulico, così trasformato dagli antichi Dei; fino a Metal Minotaur la cui corazza robotica rivela un sorprendente personaggio.
La narrazione procede in un crescendo progressivo fino ad arrivare, nel quarto e conclusivo numero, al confronto tra la giornalista e il villain che dà il nome alla miniserie: Sherlock Frankenstein. Comparso la prima volta in una singola vignetta di Black Hammer #2, il personaggio ha subito un’evoluzione di ruolo e nella testa del suo creatore tanto da diventare il protagonista di una miniserie.
Come detto, dalle pagine della storia viene fuori la tragicità dei singoli criminali che, al pari degli eroi nella serie principale, vengono psicologicamente “smontati” da Lemire per privarli della corazza esterna rappresentata dalla loro “identità percepita” – come cioè sono visti da Lucy e dai lettori – per arrivare al loro vero io, quell’”identità reale” che è la loro cifra di essere umani.
È così che l’aspetto spaventoso di Mectoplasm nasconde la rabbia e la paura infantile di un’anima strappata all’esistenza; le fattezze ridicole di Chtu-Lou racchiudono il cuore di un uomo buono, del padre di una bimba segnata dal suo stesso destino a cui dona un amore immenso; dentro Metal Minotaur, infine, è racchiusa una persona vera, vittima di se stessa ma per questo ancora più capace di provare a rimediare ai suoi errori.
Su tutti loro si erge Sherlock Frankenstein, figura tragicamente immensa, la cui immortalità è in fondo la sua dannazione contro la quale combatte una battaglia interiore da secoli, a volte perdendo, a volte vincendo.
Proprio la vicenda di Sherlock Frankenstein permette a Lemire, con un abile gioco di sceneggiatura, di dare consistenza all’universo di Black Hammer. Da immortale, lo scienziato ha attraversato la storia del mondo e nel raccontare a Lucy le fasi della sua esistenza le elenca secondo le età del fumetto supereroico americano dalla Golden Age, passando per la Silver Age, fino alla Bronze Age preludio dell’età contemporanea, priva, rispetto alle altre, di fascino e di eroi, poiché letteralmente scomparsi.
«Uno dei grandi piaceri di Black Hammer è il mondo che ho costruito attorno. Ho ottant’anni di storia del fumetto dalle quali attingere, quindi c’è molto materiale a cui ispirarmi. Volevo arricchire il mondo di Black Hammer e cominciare a delinearne la storia.»
Sono le stesse parole di Lemire, poste nella gallery che chiude il volume, a far capire quanto imponente sia l’affresco che lo sceneggiatore canadese sta mettendo in piedi. Un atto di amore per il racconto supereroico che è al contempo la sua interpretazione filtrata attraverso la poetica lemiriana (la ricerca dell’identità e del ruolo di ognuno durante l’esistenza) e una delle più originali ed efficaci incarnazioni del genere prodotte dal fumetto statunitense da dieci anni a questa parte.
Ancora di più, senza addentrarci in spoiler non necessari all’argomentazione, questo spin off racchiude un elemento chiave per svelare il mistero alla base della serie principale. Un elemento che si apprezza rileggendo la miniserie alla luce degli avvenimenti che stanno avvenendo in Black Hammer – Age of Doom, seconda stagione della serie principale ancora inedita in Italia. Questo a rafforzare ancora di più l’idea della compattezza del concept narrativo di Lemire che pare avere bene in testa l’estensione finale del suo affresco.
La costruzione delle pagine
Parlare di Sherlock Frankenstein senza soffermarsi sul lavoro svolto da David Rubín tanto sul character design dei personaggi quanto sulla potenza del suo storytelling grafico sarebbe un limite.
Come dimostra anche la gallery di studi e sketch in coda al volume, l’artista spagnolo dà vita sia a una rogue gallery sia a un roster di eroi delle Golden, Silver e Bronze age blackhammeriane visivamente potenti e originali, capaci però al tempo stesso di richiamare gli esempi “classici” a cui i personaggi sono ispirati, come Dean Ormoston fa nella serie madre. È chiaro che qui le linee guida dettate da Lemire sono fondamentali (e forse anche qualche schizzo del canadese), ma la potenza e l’esuberanza grafiche di personaggi come Mectoplasm o Chtu-Lou e la loro resa nelle pagine sono tutte farina del sacco dello spagnolo.
Tenuto poi conto che Rubín si è occupato oltre che dei disegni, anche del colore e del lettering (nella versione originale) possiamo farci un’idea della tecnica di storytelling sviluppata dal disegnatore.
Dimensione, forma e posizionamento non solo di vignette e spazi bianchi (o neri) che le separano, ma anche di balloon e lettering fanno capire come essi siano tutti elementi paritetici nella sua idea di narrazione.
Su una struttura di pagina che segue uno schema abbastanza predefinito – una splash page doppia che appoggia su una striscia di vignette alla base – Rubín mette in atto tutta una serie di variazioni di griglia, dalle più regolari fino alle più ardite, senza mai perdere in chiarezza narrativa.
Assistiamo, con il procedere degli albi, anche a una progressiva complessificazione del layout di pagina fino ad arrivare al numero conclusivo dove la maggior parte della narrazione avviene con splash page a doppia pagina da leggersi in senso orizzontale.
Anche nella composizione di queste che in gergo tecnico vengono definite spread page, si nota da parte del disegnatore una precisa attenzione al senso compositivo, come nell’immagine riportata in fig. 1 dove la struttura porta il lettore a muovere gli occhi secondo una spirale man mano che si addentra sempre di più nel manicomio criminale; oppure nell’immagine riportata in figura2 nella quale c’è una messa in scena quasi teatrale con Sherlock Frankenstein e Lucy Weber che si moltiplicano nella tavola, a ricordare soluzioni compositive che rimandano a Gianni De Luca e, per rimanere nell’ambito del fumetto statunitense, a Frank Miller.
Anche la colorazione (delle immagini come dei balloon) è fondamentale nella riuscita grafica dell’opera. Rubín affianca a una colorazione vivace, spesso a tinte acide, per personaggi e oggetti a una palette dai toni più spenti per ambienti e elementi naturali, come il cielo sempre rappresentato con colori autunnali o in tempesta o di notte. Questo corto circuito cromatico accentua efficacemente la sensazione malinconica che permea l’intera storia: quel senso di mancanza, di assenza mischiato però a un senso di speranza mai sopita che spinge la protagonista nella sua ricerca.
Sherlock Frankenstein si rivela un’altra opera riuscita di Jeff Lemire, un autore che con Black Hammer sta portando il fumetto supereroico statunitense a nuovi livelli qualitativi, affiancandosi a un manipolo di altri autori come Tom King e Jason Aaron.
Con la differenza che, mentre questi ultimi due applicano la loro visione autoriale in un campo più “commerciale” come sono gli universi DC Comics e Marvel, l’autore canadese prova a coniugare la sua forte impronta indie a una narrazione che non disdegna il mainstream, ma anzi prova a reinterpretarlo e a rinnovarlo.
Abbiamo parlato di:
Sherlock Frankenstein e la Legione del male
Jeff Lemire, David Rubín
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2018
152 pagine, cartonato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788832730906
a sua volta protagonista di Doctor Star and the world of Tomorrow, seconda miniserie legata al mondo di Black Hammer conclusasi a maggio 2018 in USA ↩