A qualsiasi latitudine, mito e leggenda, con le immagini che sanno creare, sono come due scrigni dai quali si possono estrarre tesori preziosi, qualunque sia il fine: dal loro utilizzo come intrattenimento per i più piccoli fino a quello di grimaldello euristico per spalancare le porte di civiltà vicine e lontane.
Con il passare dei secoli miti e leggende, nelle infinite riletture a cui si prestano, sono diventati fonte d’ispirazione per una produzione sterminata all’interno dei media più diversi. Se ne è giovato anche il fumetto. Tra i tanti racconti disegnati debitori di queste narrazioni ancestrali c’è anche Da non aprire mai, volume edito in Italia da Bao Publishing che raccoglie tre storie, tra cui quella eponima, realizzate da Ken Niimura.
Una pubblicazione con più di quattrocento pagine ben ponderata dall’autore ispanico-giapponese che, per completarla, si è avvalso di alcune fonti, elencate nella postfazione. Grazie alle opere che ha consultato, ha approfondito le leggende giapponesi di Urashima Taro, di Busu e della donna gru, “re-immaginandole e dando loro nuovi finali”1.
Pur non possedendo le competenze necessarie per addentrarsi nella cultura popolare nipponica, è possibile tentare di analizzare il manga, evidenziandone anche alcuni punti di contatto con tasselli importanti del sapere occidentale.
Come anticipato, Da non aprire mai è il titolo, oltreché del volume, anche del primo fumetto ed è una perifrastica passiva che ben riassume il contenuto dell’intero tomo. Infatti, che si tratti di una scatola (prima storia), di un vaso (seconda) o di una porta (terza), c’è sempre qualcosa che deve restare chiuso. Le conseguenze della trasgressione si prospettano nefaste, tuttavia – si sa – non c’è niente di più affascinante e magnetico di ciò che è proibito.
Per farla breve, nel primo racconto, un ragazzino di nome Taro salva una tartaruga che lo ricompensa portandolo in un regno sottomarino – due tavole con disegnate delle mante sono il biglietto da visita di un luogo di festa e cuccagna perenne. Una vera utopia in cui il giovane si diverte, osserva e sperimenta una vita beata fino a quando il desiderio di tornare a casa dalla madre supera lo stupore e il godimento. Come Odisseo fu disposto a rinunciare ai doni divini della ninfa Calipso, lasciando l’isola di Ogigia per tornare a Itaca e riabbracciare la moglie Penelope, trovando al ritorno in patria una situazione ben diversa da quella lasciata vent’anni prima, al momento della partenza per Troia; così Taro sa privarsi dell’ospitalità della principessa Otohime con l’obiettivo di tornare alla mite esistenza sulla terraferma, salvo poi non ritrovare il suo piccolo universo come l’aveva salutato in precedenza.
Repentinamente il registro diegetico cambia: si passa dalla quiete alla tempesta, dai sorrisi entusiastici del fanciullo efficacemente allargati sul suo volto agli schizzi di sangue; la bicromia del bianco e nero accoglie il rosso, come accade poi anche nel terzo episodio, in cui la terza tinta è distribuita in più occasioni. Con un segno rapido ma armonioso, a volte sottile e altre marcato, Niimura punta sulla sintesi, nel suo caso talvolta sinonimo di stilizzazione, per ricreare e trasmettere le atmosfere della leggenda: qualcosa che deve arrivare a tutti senza necessità di filtri.
Un’estetica simile si ritrova in Vuoto, di cui sono protagonisti due allievi alle prese con un vaso che, per ordine del maestro, deve restare chiuso a tutti i costi. Rimanendo nell’ambito della letteratura greca, pensando a un vaso non può non venire in mente il famigerato vaso di Pandora, contenitore di tutti i mali del mondo. Per fortuna di Jiro e Ikkyu nella leggenda giapponese la tragedia non ha le stesse proporzioni, tuttavia il pericolo non va sottovalutato. Il punto di forza di questa narrazione, la più breve e spiritosa delle tre, risiede nello stratagemma con cui il mangaka fa credere in uno sviluppo che a posteriori non è veritiero: un gioco di prestigio che porta a riconsiderare il racconto su un nuovo piano di lettura.
Di segno opposto la lunga storia che chiude la raccolta, in cui i toni scanzonati cedono presto il passo a un dramma familiare e universale allo stesso tempo, dal momento che la sofferenza di una coppia è causata da uno dei grandi mali del mondo, l’avidità.
Come nel primo capitolo, il salvataggio di un animale in difficoltà viene ricompensato; in seguito, al topos del divieto si aggiunge quello della metamorfosi, perché l’uccello aiutato si trasforma in una donna gentile dalla straordinaria abilità al telaio. La seconda novità consiste nell’introduzione di un vero e proprio antagonista, un individuo disonesto, spregiudicato e violento, motore dell’azione e del climax che culmina in una spannung color sangue. Il rosso del dolore gocciola e macchia le vignette, in netto contrasto con il candido inverno nevoso alla base della bella ambientazione rurale tratteggiata dal minimalismo dell’autore.
La tragedia rischia di consumarsi, come accennato, sui due piani paralleli e contemporaneamente perpendicolari del microcosmo e del macrocosmo, così come accade nella poesia X agosto di Giovanni Pascoli. Nel componimento la morte di una rondine adombra il sacrificio di Cristo e l’assassinio del padre del poeta; nel fumetto la sofferenza della gru, di nuovo un volatile, è la perfetta sintesi dei soprusi subiti dai più deboli a causa dei più forti. “E restò negli aperti occhi un grido” scrive con una sinestesia l’autore italiano, assimilando il genitore all’uccello; Niimura, dal canto suo, si sofferma più volte sull’occhio della gru, stringendo sempre di più l’inquadratura, prima dello scioglimento in cui, eliminato il rosso, passa dal contrasto tra bianco e nero al loro incontro nel grigio.
Un’altra convergenza tra Oriente e Occidente, sicuramente casuale ma ancor più significativa.
Abbiamo parlato di:
Da non aprire mai
Ken Niimura
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Publishing, 2022
408 pagine, brossurato, bianco e nero e rosso – 22,00 €
ISBN: 9788832736847
Ken Niimura, Da non aprire mai, postfazione, Bao Publishing ↩