Black Hammer: l’amore di Jeff Lemire per i supereroi

Black Hammer: l’amore di Jeff Lemire per i supereroi

Può un autore "indie" amare i supereroi tanto da omaggiarli? Sì, se quell'autore è Jeff Lemire e il fumetto è Black Hammer, disegnato da Dean Ormston.

Un omaggio ai tempi che furono

Sono passati trent’anni, e forse qualcosa di più, dall’arrivo di quella storica stagione nel mondo dei comics statunitensi che è passata sotto il nome di revisionismo supereroico.
Autori quali Alan Moore e Frank Miller nelle loro opere seminali decostruirono la figura del supereroe, di fatto rivitalizzando e portando nuova linfa a un mercato fumettistico che, ormai obsoleto nei contenuti, pareva avviato verso un declino narrativo privo di nuove storie e punti di vista da raccontare.

Tre decenni sono un lasso temporale abbastanza ampio per consentire di guardare a quel periodo in una prospettiva storica e per considerare opere contemporanee, che si rifanno ad alcuni di quei temi, come un omaggio a quelle storie e non come un vuoto esercizio di manierismo come lo furono alcuni fumetti nel decennio successivo a quella stagione, svuotati di fatto della potenza narrativa degli albori.

Di omaggio possiamo certamente parlare in riferimento a Black Hammer, la serie a fumetti di Jeff Lemire e Dean Ormston in corso di pubblicazione in USA per Dark Horse Comics e di cui Bao Publishing raccoglie i primi sei numeri in volume.

Lemire è un autore peculiare che in questi suoi primi dieci anni di attività professionale ha avuto il merito di lavorare su alcuni dei principali personaggi di case editrici quali Marvel Comics, DC e Valiant senza (quasi) mai perdere il contatto con le proprie radici indie che lo fecero conoscere al grande pubblico con Essex County nel 2007.
Ma il fumettista canadese, come rivela nella postfazione della raccolta in oggetto, è anche un autore che ha sempre portato in sé un “peccato originale”, almeno agli occhi dei suoi altri colleghi della scena indipendente: quello di amare profondamente le storie supereroistiche mainstream.

Per tale motivo è appropriato definire Black Hammer un omaggio: alle storie e ai personaggi della Golden Age del fumetto statunitense – evidentemente tra i protagonisti delle letture preferite di Lemire – e omaggio a quella stagione di revisione e decostruzione della figura supereroica, molto vicina per certi aspetti intimistici e psicologici alla cifra del panorama indie americano.

Supereroi rurali

Nella serie vengono narrate le vicende di un gruppo di sei supereroi intrappolati da dieci anni in quello che all’apparenza sembra un normale e tipico mondo rurale nord americano. Confinati lì a seguito delle, al momento, misteriose conseguenze di una grande battaglia che li vide coinvolti nella salvezza della città dove risiedevano, i protagonisti sono costretti a reinventarsi un’esistenza come membri di una semplice famiglia contadina.

Lemire iniziò a concepire questa storia già dal 2007, quando ancora stava lavorando a Essex County, e in Black Hammer sono infatti evidenti vari legami narrativi con la graphic novel dell’autore canadese, in primis l’ambientazione e i legami familiari.
I sei eroi protagonisti devono convivere in una quotidianità familiare che li relega in ruoli non voluti e inadeguati. Attraverso la difficoltà del dialogo tra loro, del rifiuto di fingere di appartenere a una stessa famiglia, delle idiosincrasie che ognuno di loro racchiude nel proprio passato supereroico, Lemire ci parla e analizza le comuni dinamiche familiari che tutti possiamo conoscere e aver vissuto. Perché, in fin dei conti, l’autore sembra volerci dire che nessuna famiglia è normale, che il ruolo di ciascuno dentro di essa spesso è imposto e non scelto, soprattutto per i figli più che per i genitori.

Fa tutto ciò Lemire senza dimenticare il lato supereroico della vicenda.  A tal fine, l’autore struttura questi primi sei numeri della serie in modo da portare avanti contemporaneamente la vicenda principale del “confinamento” degli eroi e aprire, in ogni numero, una finestra narrativa su ciascuno dei protagonisti, narrandone brevi segmenti della vita passata, capaci di fornire al lettore le coordinate per conoscere più a fondo tanto gli aspetti psicologici che la genesi e i superpoteri di ognuno.

Lemire non fa assolutamente niente per nascondere l’ispirazione di ogni personaggio che richiama in modo evidente – talvolta in maniera più che dichiarata – un eroe protagonista della Golden Age fumettistica statunitense. Abbiamo così Abraham Slam che racchiude in sé elementi di un personaggio come Wild Cat della DC Comics e di Steve Rogers della Marvel; Barbalien, ispirato alla figura del Martian Manhunter John J’onzz finanche nel nome “terrestre” Mark Markz; il Colonnello Weird che richiama da vicino Adam Strange e Madame Dragonfly ispirata alle figure delle streghe dei fumetti EC Comics e a Madame Xanadu della DC Comics. E infine Gail, forse il personaggio più complesso e riuscito di tutti: chiaro omaggio a Mary Marvel, l’eroina di Lemire si ritrova bloccata a 55 anni di età nel corpo del suo alter ego supereroico, la ragazzina di 11 anni Golden Gail.

L’importanza di un segno diverso

In Black Hammer Lemire sceglie di tenersi il più lontano possibile da una conclamata estetica supereroica che avrebbe finito per trasformare la serie più in una parodia poco credibile che in un omaggio intelligente e sentito.

La decisione, in questo senso, di affidare i disegni al britannico Dean Ormston è pienamente azzeccata e condivisibile. Lo stile del disegnatore, già visto al lavoro su serie come Book of Magic e Lucifer della Vertigo, è quanto di più lontano ci possa essere dalla comune rappresentazione supereroica, tanto attuale quanto classica. Per certi aspetti vicino allo stile adottato da Guy Davis su BRPD, Ormston si rivela capace di un ottimo studio sui personaggi e gli ambienti, resi con un dettaglio e un’accuratezza documentale degni di menzione.

Seppur Lemire scelga di ridurre al minimo le sequenze in costume dei suoi protagonisti, colpisce l’attenzione del disegnatore proprio sull’aspetto dei personaggi in tenuta “da battaglia”: la fonte di ispirazione di ognuno resta estremamente evidente, ma al contempo il lavoro fatto da Ormston per caratterizzare e personalizzare graficamente ognuno degli eroi è indice di una cura e di una capacità artistica elevate.

Contribuiscono a tenere le pagine lontane da un’estetica mainstream la colorazione di Dave Stewart che sceglie un registro di colori mai brillanti o acidi, bensì opachi e a tratti opprimenti, ma comunque perfettamente atti a rendere tanto gli ambienti rurali che le sequenze supereroiche e i costumi dei protagonisti.

Di Ormston, oltre alle splendide copertine della serie, merita analizzare con attenzione lo studio e l’impostazione delle tavole delle storie. In ognuno di questi primi sei numeri, le pagine sono caratterizzate da una griglia abbastanza regolare – con esclusione del numero 5, dedicato al personaggio del Colonello  Weird e con trovate grafiche “lisergiche” molto vicine a serie degli anni ’70 come quella del Dottor Strange – che rimanda anche essa alla grafica delle storie della Golden Age.
La costante che si ritrova però in ognuna delle storie e la griglia a nove vignette uguali (3×3) che Lemire e Ormston adottano nei momenti di dialogo e introspezione psicologica dei personaggi, una sorta di infittimento della gabbia grafica paragonabile quasi a un’osservazione con una lente d’ingrandimento dell’animo e della psicologia dei protagonisti.

L’ultimo numero contenuto nel volume Bao si chiude con un piccolo colpo di scena, preludio a uno ancora più grande raccontato nel settimo albo da poco uscito in USA e che comincia a fare luce sul protagonista assente in queste primi sei numeri salvo in alcune sequenze in flashback: Black Hammer, l’eroe che da il nome alla serie.

Abbiamo parlato di:
Black Hammer Vol #1 – Origini segrete
Jeff Lemire, Dean Ormston, Dave Stewart
Traduzione di Leonardo Favia
Bao Pub., 2017
144 pagine, cartonato, colori – 19,00 €
ISBN: 9788865438244

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