Gli anni dello Sputnik: il quarto stato di Baru

Gli anni dello Sputnik: il quarto stato di Baru

La ristampa del primo importante successo di Baru ci ricorda come la Storia ciclicamente si ripeta e l'innocenza in qualche modo possa ancora salvarci.

1957.
La Russia lancia in orbita il satellite Sputnik: una sfera di alluminio che misura poco meno di sessanta centimetri di diametro, ma con un peso specifico enorme per gli equilibri internazionali negli anni della Guerra Fredda.
Il generale Jacques Massu respinge il Fronte di Liberazione in lotta per l’indipendenza dell’Algeria, scrivendo una delle pagine più nere della storia francese; nel frattempo a Parigi, il Partito Comunista appoggia apertamente l’intervento russo in Ungheria, ritrovandosi politicamente isolato a livello nazionale, ma sempre più radicato nelle realtà proletarie locali.

Hervé Barulea (Baru) ha dieci anni, è figlio di operai immigrati e sta vivendo quello che racconterà cinquant’anni dopo nelle pagine de Gli anni dello Sputnik.

Quattro capitoli, quattro storie, tutte ambientate a Sainte Claire, per raccontare il passaggio dall’infanzia all’adolescenza di Igor, il protagonista, e compagni: le guerre fra bande, gli scontri per la leadership, i primi turbamenti amorosi, le monellerie d’altri tempi.
La cornice è il proletariato industriale francese di fine anni Cinquanta, le cui vicende si sovrappongono più o meno prepotentemente alla quotidianità di un nutrito gruppo di ragazzi delle scuole elementari.

Baru è un autore apertamente politico, che altrettanto dichiaratamente utilizza il medium fumetto come lente d’ingrandimento sul mondo, per svelarne le contraddizioni, arrivando al consapevole rifiuto del determinismo sociale: “l’equilibrio è terribile, l’essenza della vita è lo squilibrio”. I suoi personaggi sono in continuo movimento rispetto agli schemi ideologici proposti dalla tradizione culturale e dal contesto sociale, perché sono ancora bambini, dunque impermeabili a qualsivoglia vincolo di dottrina.

Igor è comunista nella misura in cui lo chiede il padre, la scuola o il collettivo, ma i capitalisti, nel suo mondo, sono i figli dei minatori che grazie a qualche soldo in più nella busta paga dei genitori possono combattere con carabine giocattolo anziché archi in corniolo. Igor deve odiare gli algerini perché sono tutti dei fellagha (miliziani anti-francesi), ma non può resistere ai riccioli di Leila. Partecipa attivamente alle dinamiche della guerra fredda, ma costruendo un missile-giocattolo uguale a quello di Tintin.

I drammi della Storia attraversano lievi le vicende narrate senza eccessi emotivi, una composta partecipazione che non cede mai alle lusinghe della malinconia. Quello che si ambisce a raccontare è pura quotidianità filtrata dagli occhi di un bambino, sacrificando talvolta l’empatia in favore di un misurato realismo: la parabola formativa del protagonista c’è e si compie, ma è sfumata, indubbiamente passiva, poco più che sott’intesa e, soltanto nel finale, da una manciata di vignette.

L’approccio grafico è in linea con queste intenzioni: cartoonistico e caricaturale. Baru guarda a Jean-Marc Reiser nel tratteggiare la gestualità dei personaggi e l’organizzazione degli scontri verbali; lo stile è vitale, potente dal punto di vista espressivo, quasi teatrale: non sono casuali, in tal senso, né la frequente assenza di sfondi per valorizzare la recitazione, né l’abbattimento della quarta parete per contestualizzare gli avvenimenti.

L’acquerello, scelto per la colorazione, mitiga gli eccessi di grottesco con tinte lievi, sempre protese al ruggine e seppia. La griglia, come da tradizione d’oltralpe, è solida ma dinamica, dosato e funzionale l’uso della splash-page, come pure la scelta di affidare a lunghe sequenze mute i momenti più frenetici e corali.
I riferimenti a una certa letteratura di formazione, sono evidenti: Mark Twain, Louis Pergaud, Ferenc Molnàr. Più scontato, ma inevitabile, l’omaggio a Giuseppe Pellizza da Volpedo.


Ci sono voluti quattro anni per illustrare le avventure di Igor: in Italia sono state pubblicate quasi in contemporanea da Kappa Edizioni nei primi anni Duemila, ristampate poi da Fandango/Coconino nel 2011, vengono oggi riproposte da Oblomov Edizioni in una nuova veste, semplice ma raffinata per lettering e rimandi cromatici, le cui grafiche richiamano le forme dello Sputnik. Ogni capitolo è introdotto da un elegante frontespizio che ne riassume i contenuti, mentre il volume propone una copertina inedita e iconica.

A tre lustri di distanza, l’opera di Baru riesce ancora a essere sorprendentemente attuale e necessaria, raccontando l’integrazione come unica risposta possibile all’immigrazione: Italiani, Francesi, Algerini, Polacchi e Tedeschi faticano ad accettare le reciproche specificità culturali (riscoprendo soltanto nella fabbrica e nella lotta di classe quell’appartenenza che a Giorgio Gaber piaceva cantare), mentre i loro figli non sembrano più di tanto accorgersene.

Anche Igor e i suoi amici giocano alla guerra e talvolta il loro mondo sembra riproporre le stesse dinamiche di quello degli adulti: litigano per questioni territoriali, covano rancori per diatribe di principio e tramano vendette per ottenere il comando.
Ma per loro, alla fine, arriva la neve e tutto si dissolve.

Abbiamo parlato di:
Gli anni dello Sputnik
Baru
Traduzione di Ines Ibba
Oblomov Edizioni – La Nave di Teseo, settembre 2017
208 pagine, cartonato, colori – 24,00€
ISBN: 978-88-942427-44

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