Bruno Bozzetto nasce a Milano il 3 marzo del 1938. Con i suoi 60 anni di carriera è ritenuto uno dei cartoonists più eclettici e influenti di ieri e di oggi. Dagli anni Sessanta a oggi conta più di 300 pellicole, omaggiate con 130 prestigiosi riconoscimenti tra cui il celebre Winsor McCay Award, 5 Nastri d’ Argento, una Laurea ad Honorem, 15 Premi alla Carriera, la Nomination all’ Oscar per Cavallette e l’ Orso d’ Oro di Berlino per Mr Tao. Tra i titoli più noti di propria produzione e co-produzione West&Soda (1965), Vip mio fratello Superuomo (1968), Allegro non troppo (1976), Il Signor Rossi cerca la felicità (1975), Sotto il ristorante cinese (1987), Europa & Italia (1999), Quark e Superquark (rubrica divulgativa del giornalista scientifico Piero Angela). Oggi Bozzetto continua a operare nel settore creando soggetti, animando e illustrando, ma anche collaborando a progetti più ampi tramite lo Studio di produzione Bozzetto&Co. Continua inoltre a presenziare a Festival, eventi, convegni, lezioni universitarie in Italia e nel mondo.
Alla venticinquesima edizione della fiera del fumetto milanese Cartoomics Bruno Bozzetto verrà premiato con il Cartoomics Directors Award, e abbiamo quindi deciso di fargli qualche domanda.
Buongiorno signor Bozzetto, e grazie per averci concesso questa intervista.
In Italia l’animazione è sempre stata un settore pionieristico, che difficilmente riusciva a farsi notare nei grandi circuiti: cosa ricorda dei suoi primi passi in questo contesto, e come si sentiva a confrontarsi con un gigante come la Disney, che all’epoca era l’unico riferimento?
Sicuramente la forza per portare avanti un progetto del genere veniva dalla forte passione che io e i miei collaboratori avevamo per l’animazione e per il raccontare storie. E c’era anche la volontà di farsi conoscere presso un pubblico che non fosse solo quello dei più piccoli, ma anche adulto.
Eravamo un gruppo di 6-7 persone, quindi una situazione molto ristretta: se si pensa al numero di persone che compaiono solitamente nei titoli di coda di un qualunque lungometraggio animato, è chiaro che non c’è confronto, ma credevamo molto in quello che facevamo. Ricordo che lavoravamo senza una sceneggiatura vera e propria: ce n’era una di base, ma ci rimettevamo mano ogni giorno, a seconda dell’umore e delle idee di turno.
In effetti eravamo un po’ inconsapevoli e incoscienti, ma proprio per quello ci abbiamo provato
Oggi esiste un’importante produzione animata prodotta in Italia: dalle serie televisive a diverse pellicole cinematografiche. Come giudica questa nuova fase dell’animazione italiana?
Sono naturalmente molto contento nell’osservare questa fase positiva che riscontro soprattutto nelle serie televisive, e che ritengo sia aiutata dallo sviluppo delle nuove tecnologie che permettono risultati sempre migliori, e impensabili per i miei tempi.
Per quanto riguarda i lungometraggi cinematografici, la questione secondo me rimane sempre più complicata da gestire, anche se ci sono studi che stanno realizzando prodotti interessanti. L’esempio più recente che posso citare in tal senso è certamente Gatta Cenerentola.
Un pensiero sull’animazione in generale: il bisogno di produrre in quantità supera quello della qualità?
No, anzi. Dal punto di vista tecnico, la qualità si è assestata su alti livelli e continua a migliorare. Vengono realizzate opere visivamente molto buone, e non solo pensando ai giganti come Pixar, Disney e Dreamworks, ma anche realtà più piccole e studi europei.
Semmai il problema si trova nella ripetitività del contenuto narrativo. Molti anni fa il film d’animazione era un evento, arrivava una volta all’anno e la gente lo iniziava ad aspettare mesi prima del suo esordio: si trattava ovviamente delle pellicole Disney, gli unici lungometraggi animati che venivano realizzati una volta. E addirittura Walt Disney stesso rimandava al cinema i suoi film dopo 7-8 anni dal debutto per fare in modo che una nuova generazione di ragazzini potesse vederli.
Oggi la situazione è completamente diversa: non esce più un film all’anno, ma uno alla settimana! Esagerazioni a parte, il mercato dell’animazione si è ampliato e la produzione è fortemente aumentata, ma questo va spesso a discapito dell’originalità di quanto si racconta.
Per molti Allegro non troppo è superiore per certi versi a Fantasia della Disney. Un film enorme, segnato da regia, idee, musiche ed episodi indimenticabili. Oggi sarebbe ancora possibile proporre un prodotto di quel genere e di quella portata?
No, soprattutto per i motivi di cui parlavo nella risposta precedente.
Con la quantità di offerta presente oggi è pressoché impossibile riuscire a creare un’opera che possa essere incisiva e rimanere nella Storia in maniera significativa. E questo non solo in animazione.
Certo, gli studi cinematografici sono sempre alla ricerca dell’idea giusta, innovativa, che possa portare il discorso a un nuovo step, ma non è per nulla semplice. Anzi, il problema è che spesso, per cercare una via nuova, il cinema ha puntato sull’aumento della violenza e della volgarità, elementi che prima erano meno presenti. In questo modo un umorismo di stampo più garbato e simpatico ha pian piano perso terreno all’interno dei film.
Il Signor Rossi è forse il suo personaggio-simbolo: qual è, secondo lei, il segreto del suo successo, e come le venne l’intuizione di raccontare tramite disegni animati una figura così realistica e ancora attuale?
Nessun segreto. Potremmo dire che Il Signor Rossi è nato per caso, in realtà. Avevo creato questo personaggio come conseguenza di una delusione personale.
Un mio cortometraggio, co-prodotto col famoso autore inglese John Halas (colui che realizzò La fattoria degli animali di George Orwell), era stato rifiutato dalla giuria di un premio internazionale dedicato al cinema, mentre erano state accettate opere che ritenevo inferiori rispetto alla mia. Decisi allora di far confluire questa mia esperienza in un cortometraggio, Un Oscar per il Signor Rossi. Quindi il personaggio, inizialmente, era in qualche maniera una trasposizione di me stesso.
In seguito, quando volli realizzare altri cortometraggi per raccontare varie situazioni di vita quotidiana, mi trovai più comodo nel riutilizzare un personaggio già esistente, che si prestava a questo tipo di trame, invece che crearne ogni volta uno nuovo: da qui Il Signor Rossi va a sciare, Il Signor Rossi va al mare, Il Signor Rossi compra una macchina… pian piano il personaggio si affrancava da me, pur attingendo spesso a situazioni personali come spunto di partenza, diventando noto presso il pubblico proprio perché iniziò a comparire in diversi episodi.
In altre parole la serie sul Signor Rossi è nata spontaneamente, non era programmata.
Che funzione ha avuto Carosello, secondo lei, nel costruire una cultura dell’animazione negli italiani della seconda metà del Novecento?
Ha avuto un’importanza enorme. Carosello è stata una bellissima realtà che ha permesso a diversi studi d’animazione e artisti di lavorare su storie e personaggi con grande libertà creativa.
L’idea è nata quando la Rai si rese conto di aver bisogno di introdurre la pubblicità all’interno dei suoi palinsesti, per via dei costi crescenti che non poteva più sostenere con il solo canone.
Per cercare però di inserire questa novità in maniera soft, si decise di costruire un format televisivo apposito, nel quale gli sketch avrebbero avuto un ruolo di primo piano e solo il codino finale sarebbe stato dedicato alla reclame dei singoli prodotti, quasi staccata dalla narrazione che la precedeva.
Era anche una maniera per farsi pagare un minuto e mezzo di pubblicità dal cliente facendone però percepire solo trenta secondi di durata allo spettatore.
Un modo di fare completamente estraneo al di fuori dell’Italia: in America e in Inghilterra, per esempio, non capivano perché ci dovesse essere una storiella prima della citazione dell’oggetto pubblicizzato.
Molti di questi sketch erano realizzati in animazione, e questo ha fatto sì che gli italiani familiarizzassero con questo linguaggio.
Quando Carosello chiuse fu infatti un brutto colpo anche per la scuola d’animazione italiana.
Ringraziamo ancora Bruno Bozzetto per averci concesso quest’intervista.
Intervista realizzata telefonicamente il 6 marzo 2018