Topolino #3392: Sulle orme di Ernest Shackleton
Il numero di Topolino attualmente in edicola ha come fiore all’occhiello la conclusione della saga in tre puntate Sir Topleton e la sfida al grande bianco, storia ideata e scritta da Sergio Cabella, che torna così a collaborare con regolarità con il settimanale disneyano, e disegnata da un sempre ottimo ed evocativo Paolo Mottura. Come, però, ho anticipato su DropSea, questa settimana non sarà l’unico articolo qui sul Cappellaio Matto dedicato a Topolino #3392: l’appuntamento, infatti, raddoppia con un secondo articolo, domani (si spera) dedicato alla nuova serie Newton&Pico in viaggio nel sapere. Iniziamo, però, con l’avventura tra i ghiacci di sir Topleton.
Alla conquista del Polo Sud
All’inizio avevo accarezzato l’idea di riproporre, opportunamente modificato, quanto avevo già scritto in occasione delle due puntate precedenti, ma alla fine, non tanto per sottrarre il giusto articolo all’amico Andrea Bramini (sempre che non decida alla fine di associarmi, of course), quanto per evitare di scrivere un articolone, ho pensato bene di concentrarmi solo sul terzo episodio, che peraltro presenta spunti interessanti anche dal punto di vista scientifico. Per gli interessati, anche se un breve ricapitolo cercherò di metterlo nelle righe successive, potete trovare su DropSea l’articolo con approfondimenti sul primo e sul secondo episodio.
La storia di Cabella segue in maniera abbastanza fedele (ma non troppo, come in ogni racconto romanzato che si rispetti) le vicende della spedizione Endurance, organizzata e comandata da Ernest Shackleton che aveva lo scopo di attraversare l’Antartide a piedi. L’idea dell’impresa era essenzialmente dovuta al fatto che il Polo Sud era stato già raggiunto il 14 dicembre del 1911 da Roald Amundsen, per cui un esploratore comunque esperto come Shackleton puntò su un obiettivo altrettanto ambizioso e sfidante.
La spedizione, partita il 9 agosto del 1914, non ebbe granché fortuna a causa della perdita dell’Endurance che costrinse Shackleton e il suo equipaggio a riparare, dopo una lunga permanenza tra i ghiacci, sull’Isola dell’Elefante, su cui approdarono il 14 aprile del 1916. Ed è lì che ritroviamo anche l’equipaggio di Topleton all’inizio del terzo episodio della storia di Cabella e Mottura, Marinai e alpinisti.
Esploratori: uomini pronti a tutto
La situazione, ovviamente, era complessa: mentre i marinai di Shackleton sistemavano l’isola per la loro possibilmente temporanea permanenza, il comandante della spedizione cercò una soluzione alla loro situazione di dispersi. E alla fine decise di partire egli stesso verso la Georgia del Sud con un gruppo di altri quattro uomini, i marinai Tim McCarthy e John Vincent, l’ufficiale Tom Crean, il carpentiere Harry McNish, e il capitano Frank Worsley. I cinque partirono il 24 aprile del 1916 a bordo dell’unica scialuppa rimasta, la James Caird.
Il viaggio in mare dei cinque durò circa due settimane, alla fine delle quali, dopo aver combattuto con gli elementi, approdarono presso la King Haakon Bay. Questa parte del viaggio, che nella storia di Cabella viene affrontata solo da Topleton, Pippsley e McOrace, con la compagnia di Pluto, è concentrata in poche ma intense pagine, in cui Mottura riesce perfettamente a catturare le difficoltà dell’impresa. D’altra parte la navigazione non è mai stata semplice: tracciare la rotta è sempre stata un arte che ha combinato la precisione dei calcoli con un pizzico di istinto costruito con l’esperienza. La vera rivoluzione arrivò con l’uso dei cronografi di John Harrison, che permettevano di determinare la posizione con grandissima precisione anche con il cielo coperto e privo di stelle. E infatti il cronografo (o cronometro) era uno degli strumenti in dotazione di Worsley, insieme con l’immancabile sestante, che Mottura mette anche in mano al suo equivalente disneyano Pippsley. La vignetta, tra l’altro, ha il pregio di mostrare quanto sia complicato l’uso di questo strumento sul mare, in particolare in condizioni tempestose.
L’impresa di Topleton e soci, così come quella di Shackleton e dei suoi marinai, non si concluse con l’arrivo sulla terra ferma: l’approdo, infatti, avvenne sulla costa disabitata della Georgia del Sud. Purtroppo la condizione della barca non era delle migliori, escludendo così la circumnavigazione dell’isola, che dunque doveva essere attraversata. La Georgia del Sud, però, presenta al centro una vera e propria montagna, che Shackleton decise di scalare insieme con Worsley e Crean, gli unici tre che avevano superato senza grossi problemi la traversata dall’Isola dell’Elefante.
La scalata non fu per niente banale, come anche ben rappresentato da Mottura (in questo caso ad accompagnare Topleton e Pippsley c’era Pluto), ma fu coronata da successo: i tre arrivarono in vista di Husvik Harbour il 20 maggio.
Non fu semplice, però, riuscire a raggiungere l’Isola dell’Elefante: solo la quarta missione di soccorso riuscì a raggiungere le coste dell’isola. Era il 30 agosto del 1916 quando la Yelcho, nave della flotta cilena, trasse in salvo i naufraghi: il primo a vedere la nave fu l’artista George Marston, che aveva seguito Shackleton nella sua missione precedente, la Nimrod, sempre diretta al Polo Sud.
Luce verde
Uno degli elementi romanzati della storia di Cabella e Mottura è la luce verde, promessa di scoperte incredibili, come i tunnel sotterranei citati da un avo esploratore di Pippsley. La luce verde, però, trova una spiegazione scientifica molto semplice: l’aurora australe, ma non solo. In alcune condizioni particolari, soprattutto con il Sole basso all’orizzonte, la sua luce presenta dei riflessi verdi, dovuti al fatto che l’energia emessa dal Sole è piccata proprio sulla frequenza corrispondente a quel colore. Come, però, spiegato in questo articolo di Agatino Rifatto, la luce del nostro Sole risulta alla fine bianca perché i contributi degli altri due colori primari, per quanto inferiori, sono sostanzialmente paragonabili, ottenendo come somma proprio una luce bianca.
Ad ogni buon conto la storia di Cabella e Mottura risulta alla fine un’epopea fantastica e senza respiro, un racconto al tempo stesso sui singoli e sul gruppo: Topleton, infatti, è l’eroe principale della storia, colui che si prende carico della responsabilità della situzione in cui l’equipaggio si è ritrovato, ma l’impresa, come lo stesso personaggio ha tenuto a sottolineare in particolare nel terzo episodio, è anche un lavoro di tutto l’equipaggio nel suo complesso.
L’epopea de La sfida al grande bianco ripropone, infine, la grande avventura sulle pagine di Topolino, questa volta con elementi storici ben approfonditi sia dallo sceneggiatore, sia dal disegnatore, che si è evidentemente ispirato a molte delle foto di Frank Hurley o delle illustrazioni di Marston, e forse l’unico difetto è l’assenza di didascalie temporali che avrebbero permesso di inquadrare meglio la grandezza dell’impresa di Topleton e quindi di Shackleton.
Ultima nota di merito alla redazione, che ha presentato la storia con due begli articoli, prima con un’intervista agli autori, pubblicata la settimana prima dell’uscita del primo episodio, quindi con un ottimo articolo di Barbara Garufi che riesce a sintetizzare nel modo migliore possibile tutti gli elementi fondamentali della missione Endurance.