Vincenzo Filosa: ritratto di un mangaka italiano

Vincenzo Filosa: ritratto di un mangaka italiano

Abbiamo fatto alcune domande a Vincenzo Filosa sul suo lavoro, le sue influenze artistiche, la sua intensa esperienza in Giappone.

vincenzo filosaVincenzo Filosa (Crotone, 1980) è un fumettista e traduttore dal giapponese. Il suo esordio nel fumetto è stato con Pere Uva Compilation, rivista autoprodotta fondata con Nicola Zurlo. Dopo le pubblicazioni underground su antologie come Futuro Anteriore, Zero Tolleranza, Spaghetti, Crack Antologia, Deriva, Epoc, Lamette, Gilette, con un gruppo eterogeneo di fumettisti ha dato vita al progetto di autoproduzione Ernest. Nel 2007 è partito per Tokyo, rimanendovi quasi un anno, esperienza che ha modificato la sua visione del disegno e del ritmo narrativo. Tornato in Italia ha iniziato a collaborare con la rivista Canicola e con Delebile. Nel 2011 ha realizzato per la rivista Domus un servizio a fumetti sull’architetto giapponese Shigeru Ban. Nel 2012 ha illustrato la ZeroGuida di Roma, e inoltre è stato tra gli invitati alla mostra Nuvole di Confine, Graphic Journalism L’arte del reportage a fumetti, con un catalogo edito da Rizzoli Lizard. Nel 2015 ha pubblicato per Canicola Viaggio a Tokyo.

Abbiamo incontrato Vincenzo Filosa in occasione della presentazione di Viaggio a Tokyo tenuta a Bari lo scorso 30 gennaio, presso lo Spine Spine Temporary Small Press Bookstore. Gli abbiamo fatto alcune domande sul suo lavoro, le sue influenze artistiche, la sua esperienza in Giappone che così profondamente lo ha segnato.

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In Viaggio a Tokyo Francesco parte per il Giappone alla ricerca di un’iniziazione. Porta con sé un carico di paure e un senso di inadeguatezza coltivato negli anni in Italia. Quanto influisce il contesto in cui si vive sulla creatività?
Secondo me influisce a seconda delle età e dei periodi in cui si vive. Per esempio io riesco a separare l’influenza di un ambiente sulla mia opera soltanto ora, all’età di 35 anni. Quando ero più giovane e avevo meno esperienza, l’ambiente per me era tutto e addirittura facevo fatica a disegnare durante brevi trasferte o in ambienti che non fossero casa. Credo che per un autore, per un professionista, l’ambiente non possa influire più di tanto sul lavoro. In fase di creazione forse sì, ma non può essere fondamentale quando si lavora, quando si disegna, quando si racconta la storia che si ha in testa.

Senza scendere nel dettaglio, non tutto nel viaggio del protagonista di Viaggio a Tokyo procede secondo le aspettative. Quanto degli input che ci spingono a crescere dipende dagli altri e quanto da un nostro atteggiamento interiore?
Per quanto mi riguarda gli input ricevuti dagli altri hanno avuto una grande importanza e mi riferisco alle aspettative dei miei genitori e al contesto in cui vivevo, che sminuivano il valore della cultura o di una professione come quella del fumettista Quindi direi che l’influenza dell’ambiente esterno, nel mio caso, si è rivelata fondamentale. Anche se c’è da dire che, una volta trovata la mia strada, sono riuscito a percorrerla senza che venissi fermato da fattori esterni, che si trattasse di persone a me vicine o lontane o di particolari contesti in cui ho lavorato.

Filosa ViaggioTokyoQuanto sono vicini e quanto sono distanti la tua visione del Giappone e quella di Igort, che ha recentemente pubblicato i suoi Quaderni giapponesi?
Leggendo i Quaderni ho ritrovato in parte il mio Giappone, l’ho trovato nelle piccole cose del libro e anche nei richiami ai grandi autori della letteratura. Ma preferisco pensare a quanto siano diversi i titoli, così da evitare ogni confronto, perché ne rimarrei schiacciato. Mettere a confronto il mio Giappone con il suo è come descrivere una strada vista da un palazzo a piano terra e poi farlo osservandola dalla terrazza dello stesso palazzo. Io non sono abituato alle altezze vertiginose, non ho mai abitato in appartamenti che si trovassero più in alto del terzo piano. È stato bellissimo leggere le esperienze da vero mangaka di Igort. E allo stesso tempo trovo magnifico e incoraggiante che siano usciti due libri che trattano lo stesso argomento in maniera così differente.

La fascinazione che hai provato verso la cultura Giapponese – molto simile a quella di Francesco – è derivata anche da quell’humus fatto di anime sopratutto e di manga in cui siamo cresciuti noi figli degli anni Ottanta, oppure ha radici diverse e più profonde?
Quello che mi ha sempre attratto della cultura giapponese, anche quando non riuscivo a elaborare con chiarezza questo concetto, è l’intensità con cui vivono ogni tipo di situazione. Ho deciso di studiare giapponese anzitutto perché la mia famiglia non era d’accordo che studiassi Letteratura italiana, cosa che era invece nei miei desideri (quanto dicevamo a proposito delle influenze esterne sulle nostre decisioni), e poi perché, una volta individuato nello studio delle lingue il mio corso di studi, in quel periodo andavo matto per le band garage giapponesi che mi piacevano proprio perché estremizzavano il concetto di bassa fedeltà. Questa estremizzazione è un fattore comune a tanti aspetti della vita dei giapponesi, ed è una cosa che mi ha sempre affascinato.

L’influenza che i gekiga hanno avuto sul tuo stile dimostra che l’arte ha forme ed espressioni che sanno toccare corde universali, anche quando appartengono a precise tradizioni culturali. Che cosa del fumetto giapponese, e in particolare nel manga “alternativo”, ti ha conquistato al punto da identificare con questa forma stilistica la tua espressione ideale? In che cosa ti riconosci?
Quello che mi ha davvero avvicinato al manga è stata la riproduzione della vita umana attraverso una sequenza di immagini dettagliata, non dico fredda ma quasi cinematografica, come se il nostro occhio coincidesse con quello di una telecamera che segue con precisione e con cura il movimento di una persona. Questo genere di riproduzione mi permette di mettere da parte ogni tipo di sentimentalismo, ma allo stesso tempo, attraverso l’interazione con il lettore che interpreta il segno semplice e diretto, mi permette di esprimere quello che ognuno sente di trovare nella sequenza che sta leggendo e rendere così anche il mio interlocutore partecipe alla “scrittura” della storia.

viaggio a tokyo_2Il tuo tratto ha una particolarità: parte da un’apparente emulazione dei codici del manga underground per poi rielaborarli in una interpretazione unica e personale. Com’è nato il tuo stile e quando ti sei accorto di aver sviluppato una “voce” solo tua?
L’aver trovato una “voce” solo mia è successo solo di recente, e non poteva essere altrimenti, poiché  ho iniziato a fare sul serio da poco e Viaggio a Tokyo è il mio primo libro. Però, anche se il mio stile può essere definito di emulazione – ogni capitolo del libro è influenzato stilisticamente da autori a cui faccio riferimento per alcune particolari situazioni –, è unico nel suo genere, e questo perché non ho una tecnica propriamente accademica. Ho sempre studiato da autodidatta perché sono sempre stato troppo pigro per andarmi a cercare dei tutorial da cui imparare a disegnare… Semplicemente mi siedo al tavolo da disegno e miglioro con il tempo. O, meglio, più che migliorare sviluppo degli automatismi, e anche se questo da un certo punto di vista rallenta la mia produzione e può portare a isterie e frustrazioni, dall’altro credo dia al mio lavoro quella singolarità e quell’unicità che cerco. Perché per me è importante anche che un mio libro non sia simile a un altro, sia nella tecnica che, soprattutto, nella forma del racconto e nella sequenza.

Come giudichi il livello delle traduzioni di manga in Italia?
Credo che siano ben tradotti, di certo so che ci sono tantissimi traduttori in gamba. Sono felice di constatare che non mi capita più molto spesso di trovare nei colophon dei vari titoli dei crediti all’adattamento del testo, in pratica una seconda traduzione che serve a rendere più comprensibile il testo e i riferimenti troppo “giapponesi”. Un traduttore per me ha il dovere di rendere il testo nella maniera più fedele possibile. Spetta al lettore attento poi approfondire e “studiare” per cogliere le sfumature. Per me è uno delle cose più emozionanti quando si affronta la lettura di un libro.

Hai collaborato e pubblicato per Futuro Anteriore, Zero Tolleranza, Spaghetti, Crack Antologia, Deriva, Epoc, Lamette, Gilette, Ernest, e sei stato autore per Canicola e Delebile. Il panorama indipendente italiano è certamente ricco e vitale: è questa la dimensione che senti più affine?
Assolutamente sì, perché è quella che mi permette di raccontare le storie come voglio io, senza preoccuparmi di piacere e avere successo a livello commerciale. Per me è fondamentale raccontare una storia che sia unica e che sia mia e che questa storia arrivi anche solo a una persona. La mia voglia di raccontare non è dettata dall’esigenza di vendere copie, ma quella di arrivare a raggiungere qualcuno con il mio messaggio. Per me arrivare a mille, 10mila o una sola persona non cambia nulla… Cambierebbe il volume del mio portafogli, ma non è quello che mi interessa! Per questo lavoro sempre con realtà indipendenti e pubblico le mie opere attraverso quei particolari canali: la mia ambizione personale non è riempirmi il portafogli, ma raccontare storie e raggiungere qualcuno con quelle storie. E questo obiettivo non è raggiungibile se non con l’autoproduzione, senza alcun compromesso. La produzione “industriale” nel campo dell’editoria è legata a tanti altri fattori, e non solo alla necessità di raccontare delle storie, mentre io ho bisogno di realizzare un libro senza pensare a tutte queste sovrastrutture. Non sono in grado di pensare a come vendere il libro, a come trasmettere al meglio  il suo messaggio e farlo arrivare ai canali giusti. Posso dire per esperienza personale che certe fasi del processo editoriale le trovo snervanti, mi provocano molta ansia e preferisco evitarle.

viaggio a tokyo_3La tua collaborazione con Canicola è destinata a proseguire? Cosa ha in serbo per i tuoi lettori?
In questo momento mi sto dedicando a due storie brevi, una di quaranta e una di venti pagine, Una è destinata a un’antologia che sarà edita da una casa editrice italiana molto importante di cui non posso ancora fare il nome; l’altra è per la rivista Kus. Dopo queste due storie voglio dedicarmi a un manga che parli della Calabria, il mio paese. Il progetto parte sempre da spunti autobiografici e in questo senso può essere considerato come un seguito di Viaggio a Tokyo. Il mio intento è quello di raccontare la storia di una famiglia attraverso le vicende di tre generazioni di padri. Il titolo dovrebbe essere Papà,  mi auguro di riuscire a pubblicare il primo libro entro la fine dell’anno, naturalmente sempre con Canicola.

Se dovessi consigliare a un giovane fumettista delle letture utili per la sua formazione artistica, quali sceglieresti?
Per restare in tema Giappone consiglierei a biografia di Osamu Tezuka edita da Coconino Press (anche se di difficile reperibilità); e, per chi fosse interessato ad approfondire il genere gekiga, ci sono Lampi di Tatsumi, sempre pubblicato da Coconino, e NonNonBa e Verso una nobile morte di Shigeru Mizuki, editi da Rizzoli Lizard. A un giovane autore che desidera farsi un’idea sul fumetto indipendente e vuole sapere come lavori un collettivo di autori, consiglio tutti i numeri dell’antologia Canicola, Cinema Zenit di Andrea Bruno, e Dormire nel fango di Edo Chieregato e Michelangelo Setola.

Intervista realizzata parzialmente dal vivo, il 30 gennaio 2016, e completata via mail tra il mese di febbraio e il 19 aprile 2016.

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