Il terzo albo del John Doe targato Aurea Editoriale dal titolo “L’uomo con la macchina da presa” rappresenta un nuovo capitolo nella nuova vita del protagonista, un dio in calo di credenti che deve rafforzare la fede dell’umanità nella sua esistenza. Quale miglior metodo che attraverso il grande schermo, l’industria cinematografica, il fascino sempre vivo dei grandi colossal americani? Un albo che, oltre a offrire un campionario di citazioni a tema e di comprimari d’eccezione, approfondisce anche l’aspetto umano del protagonista, in particolare il rapporto con il padre.
INTERVISTA A MAURO UZZEO (sceneggiatore)
Nonostante la febbre a 39,6° che lo ha assillato per Natale, abbiamo approfondito questo e altri aspetti dell’episodio con lo scrittore e soggettista di questo albo.
Sceneggiatore per cortometraggi animati, spot, videoclip, dal fumetto indipendente a Dylan Dog fino alla serie a cartoni e ai film delle Winx. Come nasce questa ecletticità?
Solo per la necessità di raccontare, cercando il modo migliore per farlo.
Ogni storia ha la sua voce, per cui alcune nascono per essere fumetti, altre per finire su uno schermo. Allo stesso modo, ogni storia ha un suo pubblico di riferimento, ed è interessante decidere cosa raccontare anche in base a chi si è seduto intorno al fuoco per ascoltarci.
Non dev’essere semplice entrare nello staff di serie come Dylan Dog o John Doe, nati sullo stampo dei propri autori e con una componente fortemente personale. Come ci sei riuscito?
Sono due fumetti che ho iniziato a leggere dal primo numero e che leggo tuttora quindi posso dire di conoscerli bene. Ma questo non basta.
Per arrivare a scriverne le storie devi anche riconoscerne quel certo tipo di sensibilità e comprendere se quello che vuoi raccontare reggerebbe anche senza quel determinato personaggio o se, al contrario, gli appartiene al 100%.
Per Dylan (di cui al momento ho sceneggiato un solo episodio in coppia con Roberto Recchioni) lo spunto è arrivato da sé e mi sembrava in linea col personaggio in quanto partiva da un elemento quotidianamente sotto gli occhi di tutti, estremizzato con una punta di orrore non così tanto lontana dalla realtà. A Roberto l’idea piacque e propose a Marcheselli e Gualdoni di scriverlo in coppia con me. Entrambi conoscevano i miei precedenti lavori e accettarono. Tutto qua!
Per quanto riguarda John invece, le cose andarono diversamente. Sia Roberto che Lorenzo mi avevano più volte proposto di cimentarmi con il loro personaggio ma avevo sempre rifiutato. Da lettore sarei stato io il primo a non voler leggere una mia storia, ritenendola quasi un fill-in, una distrazione dal grande affresco composto dai due creatori della serie.
Fin quando non mi proposero di partecipare fin dall’inizio allo sviluppo narrativo della nuova serie. Non più quindi l’autore di una storiellina una tantum ma ufficialmente il terzo sceneggiatore della serie. Una proposta troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Sgombrata la mente dall’ansia da prestazione, davanti a un piatto di penne all’arrabbiata, ho accettato volentieri.
La nuova serie presenta ai lettori, vecchi come nuovi, un John Doe nelle vesti di dio. Come si contrasta quella che potremmo definire “sindrome di Superman“, ovvero come si gestiscono le storie di un personaggio potenzialmente invincibile, senza limiti e, in questo caso letteralmente, onnipotente?
John è un dio atipico perché non nasce come essere supremo ma come uomo. Per cui la sua onnipotenza si scontra quotidianamente con i suoi dubbi e le sue caratteristiche di essere umano. Per cui i limiti di John sono… John stesso!
Se domani tu diventassi un dio cosa faresti? Probabilmente ti sbizzarriresti dando corpo ad ogni fantasia, ma finito questo periodo di iniziale euforia torneresti schiavo dei tuoi desideri quotidiani. Dell’abbraccio di un amico, delle labbra di una donna, dell’approvazione delle figure chiave della tua vita. Delle vittorie personali. Di quei pregi e di quelle meschinità che ti rendono quello che sei.
Il citazionismo, la decostruzione della cultura popolare sono elementi che hanno caratterizzato il personaggio di JD e le sue storie. Come ti sei rapportato a questo?
Filtrando questi elementi in base al mio percorso e alla mia esperienza. Roberto è un’enciclopedia vivente della cultura pop per cui è naturale che le sue storie frullino insieme i diversi elementi nell’amalgama revisionista e post moderna che conosciamo bene. Allo stesso tempo invece, il John di Lorenzo è più legato ad una forma narrativa poetica e “rotolante” in cui gli eventi si susseguono come in una romanza d’altri tempi.
Io provo a coniugare questi elementi a quello che è il mio modo di raccontare, e la curiosità per i lettori riguardo il “mio” John Doe è la stessa curiosità che ho io mentre lo scrivo. Sono il primo a chiedersi cosa succederà prima di sedermi e iniziare a digitare sulla tastiera.
Come imposti le tue sceneggiature, e in particolare questa per John Doe? Hai fatto richieste “particolari” a Luca su quello che volevi per questa storia?
Avendo iniziato a sceneggiare proprio grazie a Lorenzo Bartoli, che mi insegnò i suoi segreti durante un corso tenuto ormai 15 anni fa, penso di avere uno stile molto derivativo dal suo. Inizio impostando la grandezza delle vignette, segnalo la regia di ogni singola inquadratura e concludo con dialoghi e didascalie. Questo non vuol dire che il disegnatore non possa metterci del suo. Luca ad esempio ha un’ottima regia per cui gli ricordavo spesso che, davanti ad una scena che lui immaginava diversamente, ero ben disposto ad accettare la sua proposta.
Questa storia intreccia due aspetti dell’industria cinematografica, quello di grande imbonitrice di cui “non si butta via nulla” e quello di creatrice di miti e leggende. Clint Eastwood in questo senso è la perfetta reincarnazione dell’uomo diventato mito, capace di diventare tutt’uno con i propri personaggi come fossero un’unica entità che si sposta di film in film. Che rapporto hai con il cinema, e quali sono i tuoi film-feticcio? Quanto si avvicinano i tuoi gusti a quelli di John Doe?
Il cinema è sicuramente una delle componenti fondamentali della mia vita ed è complesso parlare di film feticcio, considerato che domani potrei aver cambiato idea!
Ho un vero e proprio culto per “Il gabinetto del dr Caligari”, per la totalità della produzione di Welles, per “L’inquilino del terzo piano” di Polanski, per tutti e quattro gli Alien (si, amo anche il quarto), per la commedia di Monicelli, per il Kim-ki-duk di “Bad Guy” e “Indirizzo sconosciuto” per il Kitano de “L’estate di Kikujiro” e per le sporcature mainstream di Danny Boyle. Credo quindi di avere gusti non proprio simili a quelli di John ma che sicuramente trovano un bel punto d’incontro proprio nell’Eastwood che compare nel terzo episodio.
La storia rappresenta un chiaro esempio delle affermazioni di Bartoli e Recchioni, quando parlavano di questa nuova serie come di una commedia: tempi e situazioni contribuiscono a rendere la lettura ritmata, leggera e divertente, pur affrontando temi non banali come quello del rapporto padre-figlio. Quanto è difficile scrivere mediando e alternando il tono del racconto?
Per me non lo è stato affatto perché è un modo di raccontare che mi appartiene e anzi, avrei faticato a fare l’opposto! Non riesco a portare avanti un discorso serio senza poi sdrammatizzarlo così come mi diverte sterzare improvvisamente dal comico al cupo. Non so come verrà interpretata dal lettore questa nuova linea editoriale di John Doe, io la vedo perfettamente coerente col percorso fatto dal personaggio nelle sue varie incarnazioni, così come ritengo la commedia la sfida più complessa che un autore possa intraprendere. Il suo scopo è passare concetti alti con un tono leggero, a braccetto tra l’epica e il cazzeggio. Stare attenti a non cadere né da un lato, né da un altro è uno stimolo costante.
Il rapporto tra padre e figlio e l’importanza dell’uomo sono i nodi centrali dell’albo, che affronti con un apprezzabile equilibrio e sfuggendo alla trappola della retorica. In un racconto che ha per protagonista un dio, parlare in questo modo di affetti e di umanità comune pare quasi strano, ma è indice dello sguardo dell’autore e dello spirito della serie.
Lorenzo dice sempre che ognuno dovrebbe scrivere solo di ciò che conosce bene. Allo stesso modo, mentre iniziavo a pensare al soggetto del mio primo episodio di John, Roberto mi spronò a non cercare di somigliargli ma di trovare una via personale. “Parla di quello che sai.” Mi disse.
E ho iniziato ragionando su quali sono le cose che mi colpiscono, che fanno parte di me. Sicuramente il cinema, come dicevo più sopra, il rapporto tra padre e figlio ma soprattutto, quel desiderio di approvazione, il proprio paradiso personale, di cui ognuno di noi ha bisogno. Questi, gli elementi su cui ho iniziato a lavorare. Poi, come per ogni storia, la differenza la fa il punto di vista. Cosa succederebbe se questo desiderio di accettazione fosse proprio di un Dio?
La situazione “divina” di John Doe porta con sé tutta una serie di riflessioni sulla religione e su come viene veicolata. Ti poni problemi nel “come” scrivere di un argomento che va a toccare la sensibilità di tante persone (e magari di tanti lettori), ma anche una certa ipocrisia della nostra società? Credi che se JD non fosse un fumetto certe scelte narrative passerebbero sotto l’occhio del “benpensante” di turno?
Io sono molto affascinato dalle religioni e da come si riflettono nel genere umano. Come nascono e come si evolvono. Gli esami che ho dato con più interesse durante il mio periodo universitario erano proprio quelli legati alla storia delle religioni. Sono affascinato dalle domande che si pone l’uomo e dalle risposte che, a seconda del periodo storico o del luogo geografico, si da.
John è un dio che non crede in se stesso. E’ un concetto che può essere ritenuto offensivo? Probabilmente si, ma Dio o non dio, ogni storia corre il rischio di urtare la sensibilità del lettore, ma credo che abbia più a che fare con la sincerità con cui l’autore affronta l’argomento narrato piuttosto che con l’argomento in sé.
INTERVISTA A LUCA MARESCA (disegnatore)
Non è un esordio sulla serie quello di Luca Maresca. Alle prese con una storia non semplice da rendere graficamente, ricca di comprimari e citazioni, piani temporali e fantastici, il disegnatore di questo numero è riuscito a mantenere un livello qualitativo soddisfacente e omogeneo.
I tempi per lavorare su fumetti bonellidi-non-bonelli sono più stretti di quelli dedicati mediamente agli albi della Sergio Bonelli, e questo a volte compromette la qualità finale dei disegni. Un esempio, a mio modo di vedere, è proprio il primo albo della nuova serie di JD, dove i disegni del pur bravo Riccardo Torti appaiono affrettati e non al 100%. La tua prova pare molto più convincente e sicura: che tempi hai avuto per lavorare all’episodio? Come gestisci i tempi di disegno, quali trucchi usi, quanto spazio rimane alla sperimentazione e alla ricerca del proprio stile?
Un errore che facevo sempre quando ancora non disegnavo fumetti ma li leggevo soltanto era quello di giudicare il più delle volte “mediocri” alcuni disegnatori.
Questa mia (ignara) supponenza mi ha portato a pensare: “se questi disegnano così posso farlo anche io“, ma solo quando mi son trovato a dover realizzare 94 tavole in tempi brevissimi ho capito che la maggior parte delle volte la qualità di un albo è strettamente legata ai suoi tempi di consegna, e così il lavoro di un disegnatore può apparire più o meno valido.
Molte volte il disegnatore è costretto a estenuanti corse per poter consegnare in tempo, quindi ci si incatena al tavolo dalla mattina alla sera per poter stare nei limiti e realizzare 2, 3 e quando ho potuto anche 4 tavole al giorno. Questi ritmi tendono ovviamente a penalizzare la qualità del disegno, e in qualche modo bisogna riuscire a trovare un compromesso per portare a termine il lavoro. Per quel che mi riguarda, ho lavorato davvero fino allo sfinimento, cercando di mantenere una qualità abbastanza buona, ma c’è da dire che a conti fatti il grosso delle tavole sono state realizzate in poco più di un mese e mezzo, quando di regola ce ne vorrebbero almeno 5.
Riuscire a fare tutto il numero in così pochi giorni sarebbe stato impossibile se non avessi avuto un piccolo (ma per me enorme) supporto da qualche collega che mi ha agevolato nella realizzazione di layout e impostazioni della tavola.
Se devo parlare di tempi di gestione mi vien da fare un amaro sorriso perché in effetti ho lavorato a questo numero staccando solo per pranzare e dormire. E’ ovvio che lavorare così velocemente richieda degli stratagemmi, dei trucchi per guadagnare tempo.
Ad esempio le mie tavole originali sono quasi tutte senza neri pieni, come le ombre ad esempio; lì dove occorreva ho lasciato una “X” e quasi tutti i neri li ho messi in digitale, perché anche una semplice campitura a pennarello mi avrebbe occupato del tempo e, parlando per assurdo, quando il pennarello si sarebbe scaricato sarei dovuto andare a comprarlo, e avrei perso altro tempo!
Già… ma fidatevi non sono matto!
La sperimentazione poi in questo caso è nulla, perché tutto deve andare bene al primo ciak (wow t’ho fatto anche una citazione a questo John Doe – ndlm), non hai tempo di provare, cambiare, no, puoi solo permetterti di correggere qualcosa che proprio non va.
Ho semplicemente usato un tratto più pulito, più “istintivo” senza pensarci troppo su e devo dire che il risultato mi è sembrato buono.
Questo terzo episodio della nuova serie di JD è molto parlato e dialogato, e certe scene di botta e risposta non sono affatto facili da rendere sia a livello di sceneggiatura che di impostazione grafica: come hai gestito queste sequenze?
E’ stato tutto molto istintivo, il disegnatore quando legge la sceneggiatura diventa un regista, e quindi è importante creare un giusto susseguirsi di inquadrature che creino fluidità nella lettura e diano il giusto peso a quello che il personaggio dice, e per farlo ho semplicemente immaginato degli attori su un set che recitano. (come prima: citazione citazione citazione!!! – ndlm)
Al contempo, ci sono scene a tutta pagina, molto spettacolari: cosa significa per te passare dalla scansione in vignette a una splash page? C’è un diverso modo di affrontare le tavole e un gusto particolare nel farlo?
Beh una splash page ti dà l’occasione di divertirti un po’, perché sai che in quel punto c’è bisogno di un colpo di scena, di pathos, di respiro, e come ho detto prima è anche un modo per creare il giusto ritmo nella lettura.
Dinosauri, elefanti, Clint Eastwood, alien, flashback, vignette come fotogrammi, in questo numero non si può certo dire che ti sia annoiato. È difficile tenere uno stile omogeneo e saldo quando le sceneggiature sono tanto ricche e impongono situazioni tanto diverse?
Si è difficile. È difficile sempre per lo stesso motivo: il poco tempo.
Soprattutto dover realizzare chiavi di lettura differenti come il flashback, la pellicola, il presente alternativo col padre di JD, una citazione a delle sequenze con Clint Eastwood, tutte cose che ho voluto inchiostrare in maniera diversa (con acquerelli, pantoni, matite, ecc) proprio per creare l’idea di avere sotto mano una storia molto particolare, ed è proprio grazie alla pazzia di Mauro che mi sono divertito un mondo a dover disegnare tutto questo condito poi da dinosauri, elefanti, Clint Eastwood, alien e non ci dimentichiamo di Gesù, onde energetiche e 12 apostoli!
Come è stato il dialogo con Mauro e quanto spazio decisionale hai avuto o ti sei preso, e come?
Con Mauro c’è stata una grande intesa da subito.
Dopo aver visto le prime tavole mi ha dato carta bianca, così ho proseguito senza nessun problema! Lì dove c’era da aggiustare qualcosa l’ho fatto, lì dove potevo prendermi libertà l’ho fatto, abbiamo parlato tanto su skype, e (oltre a sparare una quantità industriale di minch##te) abbiamo sempre trovato il punto di incontro ed entrambi siamo molto soddisfatti del lavoro!
E ovviamente spero che piaccia a tutti i lettori di JD!
INTERVISTA A DAVIDE DE CUBELLIS (copertinista)
Da ultimo ma non per ultimo, visto che è l’autore del “biglietto da visita” di John Doe in edicola, il copertinista Davide De Cubellis. Chiamato a rimpiazzare un mostro sacro come Massimo Carnevale, pur con poche copertine all’attivo ha già dimostrato di avere personalità ed inventiva, e di poter mantenere la serie una delle migliori sotto questo punto di vista.
Raccogliere l’eredità “morale” di Carnevale non è certo facile, ma già dalle prime copertine stai esprimendo la tua voglia di osare e, con il tuo stile e la tua personalità, mantenere con questo uno degli aspetti caratteristici di John Doe. Quando ti è stata offerta questa possibilità, ti è stato chiesto qualcosa in particolare?
Metti insieme una scrupolosa autocritica, una sana dose di umiltà e un tipo per niente self-confident, come direbbero gli americani. Capirai che ci ho messo un po’ a convincermi del fatto che Roberto e Lorenzo volessero davvero me. Un’eredità così importante, tradotta in quest’offerta quanto mai lusinghiera che è una specie di cassaforte… dentro c’è un bellissimo premio, ma devi dare il massimo per trovare la combinazione.
Credo che mi abbiano scelto più per il mio modo di raccontare che per le mie capacità tecniche, perché di illustratori bravissimi in questo paese ne abbiamo da vendere. Pertanto la doppia formula con cui Roberto mi ha catturato semplicemente e sensatamente non poteva che essere una: puoi farle come vuoi, sii te stesso.
È ovvio ed implicito che alcune regole vengano rispettate: per quanto desideri esprimermi, devo pur sempre farlo nei limiti o sconfinare di poco rispetto a un linguaggio che il pubblico di un fumetto popolare sia disposto a recepire.
Come nasce una copertina e come è nata in particolare questa? Mi ha “stupito”, diciamo meglio incuriosito, che nella copertina non compaia Clint Eastwood, visto non tanto il suo ruolo nell’albo quanto la sua “forza” evocativa. Hai discusso con lo sceneggiatore o il disegnatore per trovare il soggetto? Chi ha il giudizio finale sulla validità del soggetto?
Diverse sono le condizioni: avanzamento della sceneggiatura, dialogo con chi la sta scrivendo… qualche volta si hanno molti elementi su cui lavorare, qualche volta solo una suggestione. In questo caso ho voluto e potuto puntare su un’immagine allegorica, perché con Mauro Uzzeo ho avuto un confronto ricco e stimolante.
Clint Eastwood non compare perché è uno special guest a sorpresa.
Lorenzo e Roberto (che mi fa un po’ più da editor) hanno approvato il bozzetto.
John nonostante le intenzioni, può ottenere redenzione e gloria solo se, come il Cristo, attraversa la sua passione. La passione è res humana e in questo caso gli uomini sono quelli del Cinema. Questa la mia interpretazione alla storia scritta da Mauro, e per un tema così importante ho strizzato l’occhio a quel tipo di iconografia sacra con cui gli italiani si rapportano più degli altri popoli.
Credi che sia più importante che una copertina “racconti” o “evochi“? Mi sembra finora che la tua scelta sia di enfatizzare certe sfumature e certe immagini delle storie per creare qualcosa di, in un certo senso, autonomo, capace di vivere quasi senza la storia stessa.
Allacciandomi a quanto detto prima, sono per il partito del “raccontare” e possibilmente mai in maniera didascalica. Penso anzi che un’interpretazione parallela aiuti a stimolare maggiori chiavi di lettura. Quando non è possibile raccontare, si prova ad evocare.
Abbiamo parlato di:
John Doe #3 – L’uomo con la macchina da presa
Mauro Uzzeo, Luca Maresca
copertina di Davide De Cubellis
Editoriale Aurea, dicembre 2010
98 pagine, brossurato, bianco & nero – 2,70€
Riferimenti:
Editoriale Aurea: www.editorialeaurea.it
Mauro Uzzeo, il blog: www.nontistavocercando.it
Luca Maresca, il blog: lucamaresca.blogspot.com
Davide De Cubellis, il blog: decubellis.blogspot.com