Una Somnia di piccole cose (imperfette)

Una Somnia di piccole cose (imperfette)

Torna la saga euromanga creata dalle autrici italiane Liza E. Anzem e Federica Di Meo con un prequel a colori in grande formato. Una storia che punta sulla positività del messaggio ma è resa meno efficace da soluzioni narrative e artistiche non convicenti.

Quella creato da Liza E. Anzem e Federica Di Meo è una saga fantasy che non nasconde una chiara ispirazione al fumetto e all’animazione giapponese di genere, tanto da essere stata pubblicata anche nella divisione Planet Manga di Panini Comics, e di cui avevamo già parlato per la mini saga de Il gioco del serpente. Un progetto portato avanti negli anni con evidente passione, che si arricchisce di un nuovo volume che si pone come prequel di quanto narrato finora.

Alec è un ragazzo che vive per un sogno, un sogno impossibile ereditato da suo padre: andare sulla Luna. Un genio capace di costruire un camper trasformabile e un androide senziente con mezzi di fortuna, che sembra vivere alla giornata procurandosi ciò di cui ha bisogno attraverso furtarelli ed espedienti, ma sempre col sorriso stampato in fronte. L’incontro apparentemente fortuito con uno stregone lo conduce in un’avventura rocambolesca alla ricerca dell’ultimo somnia, un artefatto in grado di esaudire ogni desiderio, residuo finale della magia in un mondo in cui essa sembra scomparsa per sempre. Il percorso ovviamente è disseminato di pericoli, avversari, tranelli e inganni.

La storia è in gran parte un lungo preambolo alla risoluzione finale disseminato di interrogativi ma con pochissimi indizi rivelatori, tanto da costringere nella conclusione a degli “spiegoni” piuttosto complessi che, pur se travestiti da dialogo, sembrano estratti da un manuale di ambientazione di un gioco di ruolo.

Una storia che di base nasce con buone intenzioni, un fantasy per ragazzi che unisce azione, epica, magia ed elementi comici per sviluppare un messaggio sicuramente positivo e che gioca con elementi non originali anche per offrire al lettore abituato al mondo di Somnia o al manga avventuroso una comfort zone entro la quale poter apprezzare un racconto e dei personaggi nuovi.

Purtroppo quello che sulla carta poteva rivelarsi una lettura leggera con elementi stimolanti e una morale apprezzabile viene affossato da una realizzazione non all’altezza, che rende l’esperienza di lettura al limite del faticoso e che chiede veramente troppo al lettore per colmare le proprie mancanze.

Una delle prime cose che colpisce è che la storia si dipana mantenendo uno strano ritmo dissociato: da una parte l’azione e i cambi di scena si susseguono in gran parte in maniera frenetica, dall’altra le vignette sono infarcite di dialoghi (o didascalie nei momenti più lirici), con i personaggi che parlano, e tanto, commentando ogni azione, ogni decisione, ogni propria intenzione, spesso ribadendo concetti già espressi pagine prima e reiterando il proprio ruolo e la propria caratterizzazione in maniera ridondante. Questa verbosità da una parte sembra rivelare una voglia di narrativatizzazione dell’opera, soverchiando il disegno con il testo.
Dall’altra, arriva in certi punti quasi come una rinuncia alle potenzialità del fumetto, un continuo “dire” invece di “mostrare”, fino all’eccesso in cui alcune scene risultano comprensibili più perché “spiegate” dai personaggi che per quello che si riesce a capire dalle vignette. Pur se con tavole più grandi di quelle dei primi albi formato manga e pur se con le potenzialità date dal colore, alcune scene anche topiche si riducono in vignette piccole, poco chiare e soverchiate dalle nuvolette che ne spiegano il contenuto. Ma anche dove questo è più chiaro, il contrappunto dei commenti dei personaggi è continuo, quasi asfissiante.

A questo si unisce una certa approssimazione nella gestione della sequenzialità dell’azione, una mancanza di coerenza spaziale tra una vignetta e l’altra, complice anche un uso della prospettiva non sempre corretto, a tratti quasi inspiegabile. Per fare un esempio, durante un inseguimento, si vede chiaramente un’auto affiancare dal lato sinistro un camper, quasi all’altezza della cabina di guida; nella vignetta successiva l’auto stessa viene colpita da un colpo di pistola esploso dal passeggero del camion che ha sparato dal finestrino anteriore destro, senza che esista una linea di tiro tale da permettere un colpo del genere e senza che questo sia in qualche modo giustificato.

Anche la scelta di far accadere più azioni non contemporanee all’interno della stessa vignetta priva di respiro certi passaggi e rischia più volte di rendere vano l’effetto drammatico o epico: se nella stessa vignetta assistiamo a un’antagonista che pugnala alle spalle uno dei protagonisti, il quale si accascia a terra, mentre la spada/pugnale (che nella vignetta sembra abbastanza grande da staccargli un braccio e parte del busto, mentre in quella dopo viene afferrata praticamente con una sola mano) si spezza in due e contemporaneamente un altro personaggio afferra una colonna di marmo (!) e la rompe addosso all’antagonista stessa, ci troviamo di fronte a troppa roba messa tutta insieme senza la possibilità di apprezzare lo sviluppo dell’azione stessa, tanto che nelle vignette successive deve essere spiegata con dialoghi che sottolineano “Ti… ha… pu… gnalato…” e “Questa non l’ho tirata giù neanche colpendola con una colonna”.

Ovviamente questa rappresentazione di un tempo esteso all’interno di una sola vignetta come fosse contemporaneo è un espediente che il fumetto permette, anzi è una delle grandi ricchezze del fumetto come sistema e come linguaggio, quando sfruttata per aumentare incisività di una scena o per comunicare il passaggio del tempo in rapporto allo spazio, ma non è questo il caso.

Quello che perplime è che in certi casi sarebbe bastata un poco di attenzione in più per poter rendere la stessa scena senza imprecisioni, come quella del camion analizzata sopra, o per gestire in maniera più scorrevole il dipanarsi delle azioni.

I disegni rientrano nello stile euromanga, con cura particolare nel look dei personaggi, dal taglio di capelli ai vestiti, espressività accentuata da occhi grandi e bocche spalancate, con salti dal realistico al caricaturale/deformed per sottolineare i passaggi comici e pose iconiche; risultano meno convincenti nell’azione, che appare a volte confusionaria anche per i problemi di compressione di spazi e prospettiva già accennati, con disparità tra scene più statiche e d’impatto sviluppate in vignette grandi o a piena tavola e altre invece in vignette piccole e confuse, costrette a farsi spazio tra i baloon. Il colore, di evidente natura digitale, risulta a volte troppo piatto nel definire i diversi livelli spaziali senza aggiungere chiarezza alle scene, ma di contro riesce a essere incisivo e fascinoso grazie a un uso ben calibrato delle sfumature e delle mezzetinte, mentre appaiono meno curati luci ed effetti scenici come le linee cinetiche, che sovrastano il disegno aggiungendo in alcuni casi altra confusione.

In conclusione, se Somnia resta uno progetto longevo e portato avanti con evidente passione, la cura di questo volume appare in più punti insoddisfacente, costringendo il lettore a passare sopra a diverse carenze per apprezzare la storia, che risulta così a esclusivo appannaggio dei fan della saga per i quali resta comunque la curiosità e il fascino di scoprire gli antefatti della storia che conoscono.

Abbiamo parlato di:
Somnia – Caccia al tesoro
Liza E. Anzem, Federica Di Meo
Panini Comics, 2018
128 pagine, cartonato, colori – 16,00 €
ISBN: 9788891285102

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