“[…] Se a tutti i bugiardi dovesse crescere il naso, non si potrebbe più circolare”
Rizzoli pubblica, in una nuova veste editoriale, il Pinocchio di Luciano Bottaro, scritto e disegnato originariamente per il Giornalino del 1981, proponendo una “nuova” e originaria colorazione delle tavole attraverso il recupero e il confronto con le indicazioni dello stesso autore, grazie alle quali è oggi possibile vedere il fumetto con i colori voluti proprio da Bottaro e non resi nell’edizione degli anni Ottanta.
Luciano Bottaro è stato uno dei più prolifici e noti autori del fumetto umoristico italiano e internazionale. Nasce a Rapallo il 16 novembre del 1931 e s’interessa al fumetto fin da bambino. Inizia a disegnare e a scrivere fumetti sin dal 1949, dopo aver abbandonato gli studi di ragioneria, quando debutta sul periodico genovese Lo scolaro. La sua fama è legata sia alla creazione di personaggi che di serie, impressi nell’immaginario collettivo. Tra questi ricordiamo Aroldo, Baldo, Redipicche, Oscar Nasolungo, I Postorici, Whisky & Cogo, Il Paese dell’Alfabeto, Il castello dei sogni, Lola e Otello, Pon Pon e Pepito.
A questi lavori si aggiunge il contributo al mondo Disney, in particolare alla famiglia dei paperi, del quale è stato riconosciuto quale uno dei principali interpreti a livello mondiale fin dal 1952, anno in cui esordisce con la storia Paperino e le onorificenze. Per la Disney, infatti, Bottaro crea sia storie che nuovi personaggi papereschi, oltre a rivisitarne altri già esistenti.
Verso gli anni Cinquanta, riunisce un gruppo di artisti, al quale aderiscono dapprima anche Guido Scala e Franco Aloisi, poi Carlo Chendi e Giorgio Rebuffi. Si tratta della Scuola di Rapallo, la quale troverà un assetto più strutturato nello Studio Bierreci, realtà che “ha rappresentato un momento irripetibile (e irripetuto) di autogestione nell’ambito del fumetto italiano”1.
Collezionista di tavole originali, soprattutto del fumetto americano; appassionato anche di storia e di archeologia, di lunghe passeggiate nella natura e di lettura, nonché cultore dell’amicizia, si spegne il 25 novembre 2006 a Rapallo, all’età di settantacinque anni.
Fra i numerosi successi, si ricordano: lo Yellow Kid, assegnatogli nel novembre del 1996 al “XX Salone Internazionale dei Comics, del Film d’Animazione e dell’Illustrazione” di Roma, da parte di una giuria internazionale. A questo riconoscimento si aggiungono due importanti esposizioni in Francia incentrate sul suo lavoro: una, del 2008, al Museé de la bande dessinée, durante il Festival International de la bande dessinée di Angoulême; un’altra a Saint-Malo, per la manifestazione Quai del Bulles.
La presente edizione recepisce non solo il Pinocchio di Bottaro, ma anche l’eredità di cui l’opera è carica. Il volume, infatti, è composto da varie parti e corredi storici e filologici: un’introduzione a firma di Beatrice Masini, Il legno e la ciccia; il Pinocchio di Bottaro; un capitolo dedicato alla ricostruzione della colorazione voluta dall’autore, con tanto di tavole comparative fra il bianconero originario e preparatorio, le indicazioni lasciate sulla carta velina da Bottaro stesso (la “velina d’autore” appunto) e la colorazione de Il Giornalino; un altro capitolo, L’altro Pinocchio. Un burattino, due vite, dedicato ad altri lavori del maestro ligure sullo stesso personaggio e, in particolare, al soggetto per la stesura di un’altra avventura per il famoso burattino, con tanto di tavole; conclude il volume una breve, ma esaustiva biografia dell’autore, Bottaro. Vita e opere di un maestro, di Marco della Croce.
Sul piano della narrazione, Bottaro decide di aderire alla storia di Collodi. Segno di quest’aderenza al libro è l’incipit, che inizia riportando le parole del famoso classico. Dopo un breve inserto didascalico, nella stessa pagina, la prima tavola mostra Mastro Geppetto al lavoro sul pezzo di legno, futuro Pinocchio.
Tuttavia, la volontà di seguire il modello narrativo non subordina il lavoro del fumettista a un atteggiamento di passiva emulazione di un classico: è intenzione di Bottaro, infatti, concentrare il suo lavoro sulle scene più movimentate, per dare concretezza figurativa all’elemento più caratteristico di Pinocchio, oltre all’evidenza natura lignea del corpo: la velocità.
Pinocchio non fa altro che correre, passare da un’avventura all’altra, per fermarsi (lo nota Beatrice Masini nell’introduzione) solo quando viene impiccato dal Gatto e dalla Volpe.
Il movimento inoltre permette al fumettista di esprimere il potenziale umoristico dei corpi: il problema della corporalità è fondamentale in Pinocchio, storia – ricordiamolo – in cui il protagonista desidera liberarsi dalla forma lignea per accedere a quella del bambino vero, questione puramente corporale. A Pinocchio non mancano i sentimenti (e le marachelle) di un vero bambino, ma il corpo, quello sì.
Del resto, il protagonista è caratterizzato continuamente dal problema della metamorfosi, problema che riguarda sempre l’integrità del corpo: prima che bambino, Pinocchio diventa asino. È inoltre sottoposto anche a metamorfosi immaginate: così, quando gli viene imposto di fare da cane, non gli si chiede in fondo di diventarlo? O, per lo meno, di immaginarsi tale? O quando, pronto per essere fritto e mangiato, viene scambiato per uno strano pesce, promessa di un pasto prelibato?
Bottaro, nella concentrazione dell’aspetto cinetico e fisico del personaggio e delle sue avventure, non fa che affidare all’evidenza del disegno la sottotrama suggerita dalle pagine scritte. Il suo Pinocchio, infatti, non può abbandonare la natura di burattino, tanto congeniale ad un movimento che, per quanto spericolato e pericoloso, non può essere arrestato dalla morte: Pinocchio non diviene bambino nemmeno alla fine della storia. O, meglio, del bambino che ci aspettiamo debba diventare, prende quello che serve: l’umano amore verso il padre, l’umana coscienza che bisogna faticare in casa, per contribuire al lavoro di tutta la famiglia (qui rappresentata dal solo padre Geppetto).
Che dell’aspetto di Pinocchio, in quanto protagonista – quindi dotato di un ruolo distintivo rispetto al coro dei vari personaggi coinvolti nella storia, a cui dovrebbe (meglio, potrebbe) corrispondere una particolare fisionomia, altrettanto distintiva -, all’autore non interessi granché è prova la pagina nella quale, mentre il personaggio si trova nel Paese dei Balocchi, vede in una stanza un ammasso di marionette: queste sono molto simili a Pinocchio e non si distinguono se non per il vestiario e per il fatto di essere ferme, di contro al movimentato protagonista. I corpi contano nella misura della loro potenziale azione.
Sul piano figurativo, procedendo dallo sfondo fino alle scene in primo piano, osservando le tavole e cercandovi traccia di una visione prospettica, ci s’imbatte invece in fondi bidimensionali, la cui profondità e i cui scenari suggeriscono idealmente lo sfondo, grazie al gioco dell’accumulo: case, oggetti, paesaggi, personaggi posti in fondo alla scena creano l’effetto di un ambiente, la cui caratteristica è il gioco delle somme. Questo aspetto è evidente soprattutto nel Paese dei Balocchi, pieno di giochi, di bambini che giocano e di giocattoli sparsi ovunque.
Fissando, invece, lo sguardo sul primo piano, colpisce il girotondo di figure attorno alle scene centrali che, continuando fino a lambire la serie di oggetti sullo sfondo, contribuisce al movimento che anima tutta la vita di Pinocchio.
A questo punto bisogna fermarsi e riconoscere l’impronta di un’altra possibile fonte dell’opera di Bottaro: così come non è possibile prescindere da un confronto con il Pinocchio di carta di Collodi, potrebbe essere un’occasione sprecata, scriverne senza considerare il Pinocchio di Comencini (1972), che pure doveva essere noto al fumettista.
Se ci attendiamo al disegno del protagonista, quella forma essenziale, quasi impersonale, di burattino, richiama quello del regista, di cui, tra l’altro, pare replicarne i legnosi e spigolosi movimenti.
Ancora sul versante estetico, merita un discorso a parte il colore: questi spicca per luminosità e per contrasti cromatici forti. Ed è di ancor più grande interesse apprendere che la colorazione di questo volume è di fatto frutto del ripristino dell’originaria volontà dell’autore. L’edizione degli anni Ottanta, infatti, per ragioni legate alle stampe, presenta una colorazione non sempre in linea con le veline dell’autore, fogli trasparenti nei quali Bottaro aveva applicato i colori che andavano sovrapposti ai disegni e alle scene, i quali, in una fase iniziale del lavoro, erano in bianco e nero. Pertanto, l’uso del colore presente in questo fumetto corrisponde a una ricostruzione volta alla riscoperta dell’opera così come la voleva l’autore: un’operazione di restauro o filologica che rivela l’amore e la cura dietro al presente volume.
In conclusione, il Pinocchio di Bottaro è una bella occasione di lettura sia per chi lo aveva incontrato negli anni Ottanta, fra le pagine de Il Giornalino, sia per chi desidera riscoprire un classico (anche) dei fumetti, con un’estetica d’altri tempi. Dunque, anche per chi ha già frequentato la storia del fumettista ligure, si tratta di una curiosa novità, grazie alla nuova e originaria colorazione. Notevoli anche le tavole finali, che si accompagnano al progetto di un secondo Pinocchio, le quali mostrano la volontà di Bottaro di non concludere il personaggio ma di proseguirne le burattinesche avventure, stavolta alla ricerca di Geppetto.
Abbiamo parlato di:
Pinocchio
Luciano Bottaro
Rizzoli, 2024
144 pagine, cartonato, colori – 20,00 €
ISBN: 9788817190695
M. DELLA CROCE, Bottaro. Vita e opere di un maestro, in L. BOTTARO, Pinocchio, Rizzoli, Milano, 2024, pag. 138 ↩