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Tra gusti rari e ragazze immortali: intervista a Filipe Andrade

28 Ottobre 2025
A Berlino abbiamo parlato con Filipe Andrade della sua carriera e dei suoi fumetti con Ram V.
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Nel mercato mainstream statunitense pochissimi hanno uno stile particolare e riconoscibile come il portoghese Filipe Andrade. Dopo gli studi di scultura, Andrade si dedica al fumetto con le prime autoproduzioni; dal 2010 entra nel roster della Marvel Comics, ma è con i fumetti creator-owned realizzati in coppia con Ram V, Le molte morti di Laila Starr e Rare Flavours (entrambi pubblicati in Italia da Edizioni BD) che dimostra tutto il suo eclettismo e il suo dinamismo: figure esili ed eleganti, fluide e sprizzanti energia, altre corpulente, enormi, statuarie, esseri umani e divini si confrontano sulla vita e il suo senso, il tutto immerso in ambienti dettagliati dai colori cangianti, talora acidi, talora tenui.
Giramondo, quando lo incontro al Walt’s Comic Shop di Berlino in occasione del quinto compleanno della fumetteria sfoggia un italiano fluente e ipnotizzante.

Con lui ho parlato della sua carriera, ma soprattutto di queste due opere e del suo lavoro con Ram V, con cui sarà ospite di Edizioni BD a Lucca Comics and Games 2025.

Grazie Filipe e benvenuto su Lo Spazio Bianco. Vorrei partire dall’inizio della tua carriera: quando hai deciso di intraprendere questo percorso? So che hai studiato scultura all’Accademia di Belle Arti. Quali sono stati i tuoi primi passi, cosa ti ha portato prima verso la scultura e poi al fumetto?È stato un po’ perché i miei genitori avevano detto, sia a me che a mio fratello, che ci avrebbero pagato un corso universitario e la patente di guida: quello era tutto il “pacchetto genitoriale”, diciamo.
Ho sempre portato avanti due percorsi separati: quello accademico e quello che mi piaceva di più, cioè fare fumetti.
Ho deciso di dedicarmi seriamente al fumetto quando avevo circa dodici anni. Ho seguito un corso e in quel momento mi sono “svegliato” artisticamente: fino ad allora avevo disegnato piccole cose, senza rendermi conto che potessero essere importanti.
Allo stesso tempo continuavo ad ascoltare i miei genitori, che mi dicevano che era importante avere una formazione superiore, magari per insegnare, per avere una carriera più stabile, più “accademica”. Quella era l’idea iniziale.
Poi, intorno ai vent’anni, ho iniziato a lavorare professionalmente: facevo fumetti in Portogallo — il primo è uscito quando avevo diciannove anni — e da lì ho cominciato a capire davvero cosa significasse “fare fumetti”.
Mi sono sentito pronto e ho iniziato a presentare il mio lavoro all’estero: prima ad Angoulême, poi a Barcellona e infine negli Stati Uniti. Quando ho imparato un po’ meglio l’inglese ho potuto anche spiegare e mostrare meglio il mio lavoro. È stato un inizio non troppo complicato, ma fatto di equilibri: studiavo ancora e allo stesso tempo cominciavo a lavorare. Non era una carriera strutturata, ma era un inizio.

Hai parlato dei tuoi esordi in Portogallo, ma poi hai lavorato anche in Polonia, come parte di un gruppo di autori portoghesi. Cosa ricordi di quegli anni, di quel lavoro collettivo?In Portogallo allora non c’erano molte persone che facessero fumetti per vivere. Molti lavoravano come illustratori o vignettisti per giornali o riviste e disegnavano fumetti solo nel tempo libero — magari un albo ogni due anni. Erano bravissimi, ma mancava la prospettiva di lavorare con grandi case editrici come la Marvel.
Io facevo parte di uno studio a Lisbona, The Lisbon Studio, che esiste ancora oggi. Eravamo un gruppo di autori che si sostenevano a vicenda e viaggiavano insieme per presentare i propri lavori, anche ad Angoulême. Tra Portogallo e Polonia c’era (e c’è ancora) un legame culturale: molte case editrici stampano in Polonia perché è più economico, e questo ha creato un ponte artistico tra i due paesi.
Abbiamo ricevuto un invito per collaborare con alcuni artisti polacchi su un progetto dedicato alla città di Łódź.
È stata un’esperienza molto bella — il progetto era ben organizzato, ben pagato e, soprattutto, le persone erano splendide. Quell’esperienza mi ha fatto capire che i fumetti possono essere un luogo d’incontro umano, non solo un lavoro. Non era la classica situazione da festival francese dove presenti il portfolio e ti giudicano; era qualcosa di più umano, più genuino, più “di base”.

Dopo quell’esperienza hai iniziato a collaborare molto con la Marvel. Com’è stato per te l’impatto con quel mondo, immagino molto diverso da quello europeo o polacco? E come ti sei inserito con il tuo stile, che è piuttosto particolare e non tipicamente “mainstream”?È stata una sfida, ma non l’ho vissuta con ansia. Non ho mai preso le cose in modo pesante: niente stress, niente “devo farcela a tutti i costi”.
La difficoltà principale era il ritmo di lavoro: in America è velocissimo, mentre in Europa siamo più lenti, più rilassati — direi più “umani”, nel senso sano del termine.

Un pochino più di work-life balance, diciamo…
Sì, in Europa puoi lavorare per anni senza impazzire, ma negli Stati Uniti devi stare al passo con scadenze serratissime.
Un’altra sfida era la comunicazione: gli americani rispondono spesso con un semplice “Awesome!”, ma non sai mai se significa davvero “va bene” o “va male” (ride).
Sapevo che il mio stile non era quello “tipicamente Marvel”, ma tutti quegli anni sono stati fondamentali per imparare una disciplina di lavoro. Ora, se mi chiedono un progetto con tempi stretti, so di potercela fare senza distruggermi, con sicurezza e senza dubbi sul mio valore.

Laylastarr

Hai lavorato su molte cose per la Marvel, ma recentemente ti sei concentrato sul tuo lavoro creator-owned, in particolare con Ram V. Insieme avete dato vita a due opere molto apprezzate: The Many Deaths of Laila Starr e Rare Flavours. Come si è sviluppata questa collaborazione e com’è stato lavorare con tanti riferimenti alla cultura indiana, sia nel primo che — ancor più — nel secondo libro, dove ha un ruolo determinante la cucina?È stato come un allineamento perfetto di pianeti. Da tempo volevo fare qualcosa di più sostanziale, ma aspettavo il progetto giusto. Rifiutavo lavori anche ben pagati, con personaggi famosi, perché non sentivo che mi rappresentassero. Poi, durante la pandemia, ho ricevuto una proposta da Eric Albert, l’editor di Laila Starr, che cercava un disegnatore. Avevano visto un mio personaggio che ricordava Laila e mi hanno contattato. Tutto è nato in modo naturale.
Disegnare qualcosa legato all’India — uno dei miei paesi preferiti — è stato incredibile. Ci ero stato nel 2010 per sei settimane, e durante la pandemia ho ripreso le mie foto e gli appunti di quel viaggio.
Quelle esperienze sono state essenziali per dare autenticità: i gesti, i vestiti, la luce, i suoni… cose che non puoi trovare su internet.
Vivere in Asia mi ha aiutato molto a cogliere le sfumature culturali: i modi di comportarsi, l’organizzazione sociale, l’architettura, persino come la luce colpisce gli edifici. Tutto questo mi ha aiutato a rendere Laila Starr e Rare Flavours più autentici e vivi.

Entrambi i libri hanno protagonisti forti, ma anche molti personaggi secondari con le proprie storie. In Rare Flavours in particolare ci sono i ricordi legati alla cucina. Vivere in Asia ti ha aiutato a connetterti con questi personaggi e con la scrittura di Ram V?Sì, tutto aiuta. Ma Rare Flavours è stato più difficile di Laila Starr, perché in quest’ultimo c’era ancora un elemento “divino”, sovrumano.
In Rare Flavours invece tutto è più terreno: è una storia sulla cultura del cibo e del convivio, che per noi latini è fondamentale — come per gli indiani.
La sfida più grande era rappresentare la quotidianità indiana senza ricorrere a stereotipi. Dovevo disegnare persone, strade, palazzi, oggetti… tutto in modo naturale.
Se ogni volta devi cercare su Google “com’è fatto un taxi indiano”, perdi fluidità. Volevo che tutto fosse già nella mia testa, pronto da disegnare senza blocchi.

Il tuo stile è molto originale, anche per l’uso del colore. In entrambe le opere si percepiscono influenze europee, persino moebiusiane. Quali sono state le tue influenze e come lavori sulla relazione tra linea e colore?Il colore è stato il punto di partenza, soprattutto perché l’India è colore. Ho pensato al colore prima ancora del disegno, che serve più come controllo e direzione.
La fluidità del segno cambia da un libro all’altro: Rare Flavours è più “vivo”, perché disegnare il cibo è complicato — se lo disegni troppo bene, non sembra più appetitoso! (ride)
Volevo che al lettore venisse quasi fame guardando le pagine, che sentisse quella voglia di assaporare ciò che vedeva. Quando mi capita di pensare “ora ho fame”, so di aver raggiunto l’effetto giusto.

In effetti viene voglia di cucinare i piatti del libro! Qual è il tuo preferito tra quelli che appaiono nel fumetto?Il daal! È il mio piatto preferito in assoluto.

Come hai lavorato sulla rappresentazione dei protagonisti, sia in Laila Starr che, forse ancor di più, in Rare Flavours? In quest’ultimo c’è anche una certa “esagerazione grafica”, con Rubin grande e imponente e Mo invece più piccolo e fragile. Laila invece è elegante e dinamica. Come hai costruito queste caratterizzazioni?Mi sento molto vicino al realismo magico della letteratura sudamericana.
Il mio disegno nasce da una base reale, ma la porta verso qualcosa di più onirico, quasi cosmico.
Rubin, ad esempio, è un “kingpin”, un personaggio enorme, ma resta credibile perché rappresenta un linguaggio dei sogni, qualcosa che potrebbe esistere.
Laila invece era descritta da Ram V come “a girl with raven hair” — una ragazza dai capelli corvini — e da lì ho costruito la sua eleganza e la sua forza, il suo sguardo penetrante.
Per Rubin, invece, la descrizione originale era diversa, più “signorile”. Ma io lo immaginavo come un edonista: uno che ama il cibo e vive di piaceri, non un uomo perfetto e controllato.
Mi sono ispirato a un artista portoghese, Cabrita Reis, che ha quella presenza imponente e gestualità teatrale. Ho unito quel modello a un tocco da Porco Rosso. Così è nato Rubin.

In effetti Laila e Rubin sembrano due facce della stessa medaglia: entrambi non sono umani, ma cercano un senso alla propria esistenza. Laila parte dalla rabbia per arrivare all’equilibrio, Rubin parte dall’equilibrio ma finisce nel dubbio. Come è stato per te lavorare su questo aspetto?È stato un processo di scoperta. Come gli scrittori che dicono “a un certo punto i personaggi iniziano a parlare da soli”, anch’io ho vissuto lo stesso con i miei disegni.
Con Laila Starr avevo un’idea chiara, ma con Rare Flavours no: sapevo che ci sarebbero stati sei capitoli, ma non dove mi avrebbero portato.
È stato come guidare nella nebbia. Scoprivo i personaggi mentre li disegnavo. Rubin, per esempio, si è rivelato più vulnerabile di quanto immaginassi. È stato sorprendente anche per me, come vivere la storia in tempo reale.

Grazie mille, Felipe.

Intervista realizzata il 20 settembre presso il Walt’s Comic Shop.Un ringraziamento a tutto il team della fumetteria, soprattutto Simone.

Filipe Andrade

È un artista visivo portoghese multidisciplinare. Si è laureato in Scultura presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università di Lisbona e ha conseguito un Post-Diploma in Pre-Produzione per cinema e animazione presso la Gnomon School di Los Angeles, California. Ha vissuto tra Stati Uniti, Hong Kong e Italia, e attualmente ha il suo studio a Lisbona.
L’esperienza in Marvel, dal 2009 al 2019, è stata un vero viaggio, lavorando su titoli come Captain Marvel, John Carter, Fantastic Four, Jessica Jones e Immortal Hulk.
Ha collaborato con Boom! Studios, Passion Studios e Riot Games oltre che con realtà come la compagnia teatrale lisbonese AUÉÉEÚ e artisti come Diogo Potes senza mai tralasciare progetti personali, sia individuali che collettivi — commissionati o in collaborazione.
Ha realizzato tre brevi fumetti creator-owned intitolati Walled City, Junction e Solitude, pubblicati dal collettivo di Lisbona TLS.
Vincitore del Premio Hugo con Cyberpunk 2077: Big City Dreams, scritto da Bartosz Sztybor e pubblicato da Dark Horse.
Più volte candidato agli Eisner Awards, ha inoltre vinto un Ringo Award e il Prix Littéraire du Sud France con The Many Deaths of Laila Starr, scritto da Ram V e pubblicato in 12 paesi.
Ha recentemente concluso il progetto Rare Flavours e sta attualmente lavorando a nuovi fumetti e collaborazioni in uscita nel 2025.

Emilio Cirri

Emilio Cirri

Nato a Firenze una mattina di Gennaio del 1990, cresce dividendosi tra due mondi: quello della scienza e quello dell'arte. Si laurea in Chimica e sogna di fare il ricercatore. E nel frattempo si nutre di fumetti e spera di poterne sceneggiare uno, un giorno. Il primo amore della sua vita è Batman, amico fedele dei lunghi pomeriggi passati a giocare in camera sua. Dai supereroi ha piano piano esteso il suo campo di interesse fumetto, sia esso italiano, americano, francese, spagnolo o giapponese. Nel tempo che non dedica ai fumetti, guarda film e serie tv, scrive recensioni e piccole storielle, e forse un giorno le pubblicherà su un blog o in qualche altro modo.

David Padovani

David Padovani

Fiorentino, classe 1972, svolge la professione di architetto. Grazie a un nonno amante della fantascienza e dei fumetti, scopre la letteratura fantastica e il mondo degli albi Corno della seconda metà degli anni '70.
Tex e Topolino sono sempre stati presenti nella sua casa da che si ricordi, e nella seconda metà degli anni '80 arrivano Dylan Dog e Martin Mystere e la riscoperta del mondo dei supereroi USA.
Negli anni dell’università frequenta assiduamente le fumetterie, punti d’incontro di appassionati, che lo portano a creare assieme ad altri l’X-Men Fan Club e la sua fanzine ciclostilata, in un tempo in cui di web poco si parlava ancora.
Con l’avvento del digitale, continua a collezionare i suoi amati fumetti diminuendo la mole di volumi cartacei acquistati, con somma gioia della compagna, della figlia e della libreria di casa!

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