Anni ’70. New York City, al tempo capitale mondiale della creatività e delle opportunità, è in preda a un fermento artistico senza precedenti. Camminando per strada, un ignaro passate potrebbe incontrare perfetti sconosciuti come Woody Allen, Andy Warhol, Lou Reed.
Oppure potrebbe imbattersi, nel 1975, in una giovanissima Patti Smith, che in quegli anni vive in città assieme all’amico, amante, partner artistico Robert Mappelthorpe.
Sono anni di prime esperienze, siano esse musicali, fotografiche o poetiche, alla continua ricerca di un modo per esprimere il proprio modo di essere, il proprio mondo interiore. Ed è proprio in quegli anni che vede la luce Horses, il primo album della Smith, un disco complesso e rivoluzionario, sfaccettato e difficilmente inquadrabile in qualsiasi canone, proprio come l’artista statunitense.
Nell’occasione dei quaranta anni dall’uscita del disco, il comune di Bologna ha voluto sfruttare l’occasione di un concerto-evento della cantante per festeggiare l’anniversario con varie opere, tra cui un fumetto commissionato a Canicola. La scelta per realizzare un’opera del genere è ricaduta su Nicolò Pellizzon, con il ben preciso intento di realizzare una storia completamente sua, dove l’elemento biografico e celebrativo non prendessero mai il sopravvento sulla trama e le intenzioni dell’autore.
Nasce così Horses, storia di Johnny, ballerino molto dotato e caparbio che si è messo nei guai per una storia di soldi e droga, e Patricia, anche lei ballerina, ma perennemente indecisa e inseguita da “assistenti sociali” dalle forme mutevoli.
I due personaggi,inspirati proprio alla Smith e a Mapplethorpe (come già si intuisce dalla copertina che omaggia alcune foto che ritraggono i due), si muovono in una New York mistica e sfuggente, animati da velleità di successo, scossi da dubbi e incertezze, preda di un contesto di precarietà esistenziale ed emozionale.
Pellizzon costruisce un mondo in bilico tra realtà e sogno, in linea con quel gusto che fa entrare la magia esoterica nel quotidiano per stravolgerlo, come già visto ne Lezioni di Anatomia e Gli amari consigli. L’atmosfera esoterica del racconto fa da cornice all’incertezza dell’essere umano moderno, alla noia e alla frustrazione di una perenne ricerca di qualcos’altro, di un qualcosa di più che non arriva mai.
Il risultato indiscutibile di Pellizzon è quella di trasmettere queste sensazioni grazie ad un tratto denso, fatto di linee spesse e pesanti che usa per rappresentare situazioni per niente realistiche, aumentando così il senso di straniamento e scollamento tra una tecnica “materica” applicata e un contenuto etereo ed onirico.
I personaggi stessi, nella loro androginia, rafforzano il senso di incertezza, l’incapacità di affrontare la realtà e trovare una via da seguire. A completare queste sensazioni ci pensano i colori, questa volta ridotti ad una palette minima nella quale il porpora e il rosa prevalgono e si fondono con i giochi di luci ed ombre che creano un’atmosfera aliena e innaturale grazie al contrasto con la cura nella rappresentazione di edifici e interni.
Nonostante queste pregi, l’opera di Pellizzon appare molto meno focalizzata rispetto ad altri lavori precedenti: il messaggio, stavolta meno criptico rispetto al passato, arriva al lettore in maniera molto canonica, con una trama che segue un canovaccio classico e dei personaggi che non vanno oltre il loro carattere puramente evocativo, rimanendo di fondo legati a una serie di stereotipi che ne impediscono lo sviluppo e che limitano l’empatia del lettore.
Il racconto non riesce cosi a coinvolgere mai completamente, e anche gli elementi più peculiari, come quelli esoterici, non aggiungono potenza alla narrazione, apparendo più giustapposti che non integrati con la storia, non riuscendo mai a sottolinearne i momenti chiave.
Ad esempio, la rivelazione dell’identità dei due assistenti sociali passa quasi in secondo piano, nel flusso monotono della storia.
Se la tecnica e lo stile risultano consolidati ma anche in crescita e in fase di raffinamento, la narrazione appare in alcuni punti troppo frettolosa e confusa, i personaggi troppo legati a cliché e mai veramente tridimensionali: ogni loro scelta sembra seguire un copione, e con il procedere della narrazione non si raggiunge alcun climax emotivo, arrivando alla conclusione in maniera fin troppo prevedibile.
Anche la raffinatezza compositiva di alcune tavole, pur ottenendo un effetto di grande impatto e dimostrando le grandi dote tecniche di Pellizzon, penalizza la fluidità dello storytelling, diventando mero esercizio di stile. Restano infine molto labili e forzati alcuni collegamenti con l’opera della Smith, a partire da una New York priva di carattere e riconoscibilità, che non entra mai attivamente in gioco nella storia ma resta un mero sfondo delle vicende.
Horses è quindi un’opera interlocutoria, che tratta un tema interessante e più che mai attuale senza però riuscire a trasportare il lettore nella vicenda e che riduce gli elementi stilistici più peculiari e caratteristici a esercizio di maniera, un lavoro con luci e ombre, frutto di un autore indiscutibilmente dotato che però non è riuscito a trovare motivazioni giuste per sfruttare a pieno il proprio potenziale.
Abbiamo parlato di:
Horses
Nicolò Pellizzon
Canicola edizioni, ottobre 2016
80 pagine, brossurato, bicromia – 16,00€
ISBN:9788899524074