La Quarta Necessità: genesi e formazione del “mostro italiano”

La Quarta Necessità: genesi e formazione del “mostro italiano”

Può il contesto sociale trasformare un tenero bimbo in un adulto amorale e corrotto? Quale peso gioca in tutto questo "La Quarta Necessità" del titolo? Massimo Giacon e Daniele Luttazzi ci portano nella vita dell'odioso Walter Farolfi per cercare di dare risposta a queste e altre domande.

Può una persona diventare un “mostro sociale” a causa della sua educazione e dell’ambiente in cui avviene la sua crescita? A parte le idee personali (io sono per il sì), dopo aver letto “La Quarta Necessità”, frutto della collaborazione tra il comico/scrittore Daniele Luttazzi e del disegnatore, illustratore e musicista Massimo Giacon, non si vede altra possibilità. Questo fumetto racconta la vita di Walter Farolfi, dalla nascita alla morte, dall’epoca fascista fino ai nostri giorni. Frutto di una relazione adulterina, Walter si trasforma lentamente, a causa di un susseguirsi di eventi traumatici che ne corrodono il tessuto morale, da tenero e innocente bimbo, prima in un adolescente viziato e ipocrita e infine in un feroce e corrotto imprenditore privo di ogni scrupolo.
Costante di tutta la sua vita rimane la famosa “quarta necessità”, che secondo gli etologi è, dopo il cibo, i vestiti e un rifugio, il sesso, del quale il protagonista sente un bisogno imprescindibile che lo porta a scelte quantomeno discutibili.

 La sceneggiatura ideata da Luttazzi descrive una figura che appartiene ormai all’immaginario comune e tristemente nota anche nella vita reale: l’arricchito per destino senza reali meriti, che per i propri bisogni non esista a calpestare qualsiasi cosa e persona.
Il libro,
pur presentando un’istantanea veritiera dell’Italia odierna e introducendo un protagonista decisamente ben caratterizzato, funziona a singhiozzo. La trama il più delle volte sembra un lungo susseguirsi di sketch slegati tra di loro e senza un reale filo conduttore.
Pur essendo un fan del mondo del fumetto (è stato il primo traduttore di Daniel Clowes), Luttazzi tradisce tutta la sua inesperienza con questo mezzo, non dando mai una reale coesione alla narrazione. Oltretutto, anche scendendo a patti con la comicità senza sconti dell’autore, condita da bestemmie, riferimenti e ipotesi su scandali politici reali e di un gran numero di scene di sesso esplicito (il volume è venduto sigillato, ma stranamente non è per soli adulti), raramente si riesce a ridere di gusto.
Da sottolineare la scelta dello scrittore di mostrare innumerevoli scene di penetrazioni anali, quasi a voler dimostrare che “il sistema” senta il bisogno (la necessità?) di mettercelo “in quel posto” come simbolo di prevaricazione.

 

Ottima, invece, la prova grafica di Massimo Giacon che, dopo due anni di duro lavoro, è riuscito a realizzare a un grande affresco corale animato da figure grottesche ma dolorosamente vere. Il suo tratto sembra diventato più pulito, più leggibile e sintetico rispetto alle precedenti prove, con una riuscita interpretazione dell’odioso protagonista. Bella anche la colorazione che vira dai toni seppiati delle prime pagine a quelli accesi e vivi della seconda parte.
Giacon e Luttazzi sembrano voler rendere omaggio alla commedia italiana degli anni ’60/’70, quella caustica e aggressiva di Alberto Sordi, Tognazzi e Gassman. Le figure de “La Quarta Necessità” ricordano quelle di film come “Il Medico Della Mutua”, “I Mostri” e tutto quel filone che raccontava, facendo sorridere amaramente, i difetti del popolo italiano. Non a caso una delle illustrazioni più belle è una doppia pagina che ritrae Walter Farolfi a una festa, dove tra gli invitati possiamo riconoscere i sopracitati attori e altri vip dell’epoca.

clicca per ingrandire

In definitiva, “La Quarta Necessità” risulta una prova non completamente riuscita.
Se dal lato artistico siamo su ottimi livelli, non possiamo dire altrettanto del lato narrativo che, pur dando una visione sagace di parte della società italiana, non riesce a essere totalmente incisivo come vorrebbe.

Abbiamo parlato di:
La Quarta Necessità
Daniele Luttazzi, Massimo Giacon
Rizzoli  Lizard, 2011
128pagine, brossurato, colori – € 17,00
ISBN: 9788817053471

 

 

Intervista a Massimo Giacon

 

Massimo Giacon nasce a Padova nel 1961. Dal 1980 si divide tra le attività di fumettista, illustratore, designer, artista e musicista. Ha collaborato con le principali riviste di fumetto degli anni ’80, da Frigidaire ad Alter, da Il Mago a Nova Express. Tra i suoi ultimi lavoro ricordiamo Boy Rocket, scritto da Mimì Colucci (Black Velvet). Oltre al fumetto si è dedicato all’architettura, al design, alla grafica; ha disegnato arazzi, tappeti, ceramiche, oggetti per la cucina, giocattoli. A tutto questo accompagna la sua attività musicale, prima da solita e attualmente nella band Massimo Giacon & the Blass (Fabio Bozzetto e Diego Zucchi).

 Lo spirito satirico di Luttazzi e il tuo stile grottesco ed esuberante sembravano destinati a ritrovarsi: ma come il destino vi ha messo sullo stesso binario?
A dire la verità io e Daniele ci conoscevamo da molto tempo, complice l’amico in comune Igort, e anche Daniele Brolli. Ci conoscevamo da molto prima di tutti gli scandali. Daniele è un grande appassionato di fumetti, e non dimenticare che è stato il primo traduttore di Clowes. Dovevamo anche iniziare una collaborazione costante per la sua ultima trasmissione, Decameron, ma la trasmissione è stata bloccata da La7 prima che il mio intervento andasse in onda; si trattava di una “Cow Crucis” commentata da Daniele, con una mucca che andava al macello rispettando passo per passo le “stazioni” della Via Crucis. Inoltre, insieme allo studio di animazione Alienatio (Fabio Bozzetto e Diego Zucchi), avevamo realizzato una demo per un intervento animato per il secondo ciclo di trasmissioni (mai andato in onda), che si chiamava SfigaToons, e che potete vedere qui:

e tutte queste cose si perderanno come lacrime nella pioggia e bla bla bla….

L’apporto di Luttazzi si è sentito anche a livello di sceneggiatura e impostazione della tavola, o la parte prettamente “fumettistica” è tutta farina del tuo sacco?
Daniele ha scritto una sceneggiatura molto dettagliata, in cui ho infilato un po’ di idee grafiche che sono state discusse pagina per pagina insieme; in questo è stato un vero lavoro a 4 mani, lui non si è limitato a scrivere e poi a lasciarmela sbrigare da solo, e per questo è stato un lavoro graficamente stimolante per me, dove sono stato forzato a fare cose che altrimenti non avrei disegnato .

Il personaggio principale, Walter Farolfi, è antipatico, ipocrita e patetico. Risulta irritante già dalle prime pagine. Su cosa e chi vi siete basati per riuscire a dare un impronta così decisa al tuo personaggio?
All’inizio Daniele si era basato su una persona che conosceva la sua famiglia, per cui lui l’aveva conosciuto in età già adulta, ma poi ha lavorato di fantasia e ha costruito una storia in cui si è immaginato tutta la parte dell’infanzia e dell’adolescenza.

Una parte del fumetto, quella ambientata negli anni 60′, non ha potuto fare a meno di ricordarmi la commedia italiana che caratterizzava quel periodo: I Mostri, Il Medico della Mutua, una filmografia che sapeva cogliere il lato triste e grottesco dell’italiano medio. Un vostro omaggio a quei tempi?
Sicuramente. Siamo dei grandi estimatori di quel periodo inarrivabile. In Italia non siamo stati più capaci di descrivere la contemporaneità con quella freschezza e con quello spirito, che era davvero in grado di cogliere appieno la realtà di quell’Italia lì, e allo stesso tempo di essere commerciale e comprensibile da tutti.

Ho notato un notevole pulizia del tratto e della tavola rispetto ad alcuni tuoi precedenti lavori. E’ un cambiamento definitivo del tuo stile o un passaggio transitorio?
Questo non lo so. Mi rendo conto che questo lavoro, dal punto di vista grafico, è un punto di arrivo; questo non vuol dire che si tratti di un punto di non ritorno. Posso sempre migliorare nel futuro (o peggiorare). A ogni modo sono stato molto attento nel cercare di mantenere un flusso costante, senza cambiare troppo tra inizio e fine, cosa non facile considerando che questo lavoro ha richiesto quasi 2 anni di fatica (facendo nel frattempo moltissime cose contemporaneamente, ma con una dedizione costante, cercando di portare avanti questo progetto un pezzettino al giorno).

Sei d’accordo con il messaggio che il volume passa e sulla rappresentazione del “mostro” italiano? Il volume si conclude con la frase “Al suo funerale andarono tutti“. Siamo ridotti veramente così male?
Sicuramente fino al momento in cui è uscito il libro la situazione era questa, forse anche peggiore. Adesso non è migliorata, è semplicemente mutata, se poi sia mutata in un ceppo malarico ancora più pericoloso lo possono dire solo i prossimi mesi.

Riferimenti:
www.massimogiacon.com
fuzzibugsi.blogspot.it

 

17 Commenti

17 Comments

  1. Massimo Giacon

    23 Maggio 2012 a 08:34

    beh, non so cosa ne potrebbe pensare Daniele, c’è da dire che una volta tanto si entra nel merito dei contenuti della sceneggiatura invece di sottolineare la “curiosità” della collaborazione, ma devo dire che forse non avrei fatto un lavoro così se non ci fosse stata questa sceneggiatura. Il discorso è quello del serpente che si morde la coda. Secondo me la sceneggiatura è schizofrenica, e forse rende bene sia il “Luttazzi style”che il tema toccato. A me piace l’idea che in qualche modo, pur con tutti i difetti che qualsiasi opera creativa contiene, ci sia sta o un tentativo di raccontare alcune problematiche legate alla nostra disgraziata “italianità”.

    • Lo Spazio Bianco

      23 Maggio 2012 a 13:20

      Grazie Massimo per l’intervento, il tuo punto di vista come autore è molto interessante e certo offre uno spunto per (ri)leggere l’opera in maniera diversa.

    • Yellow kid

      25 Giugno 2012 a 09:26

      Frequento la scuola del fumetto di Roma. Mi interessa il rapporto di lavoro fra sceneggiatore e disegnatore e avrei alcune domande per il signor Giacon. 1) mostrava a Luttazzi le tavole a matita prima di inchiostrarle oppure Luttazzi ha visto il fumetto a lavoro finito? 2) su XL lei ha scritto di un dissidio con Luttazzi in merito alle ultime tavole. A proposito di cosa? 3) bellissima l’idea di Luttazzi della parodia di Crepax. Essendo Luttazzi un precisino le ha anche indicato quale tavola di Crepax parodiare? Grazie per le risposte.

  2. MeanMrMustard

    28 Maggio 2012 a 20:31

    D’accordo, ahimé, col recensore. Grande prova di Giacon, sceneggiatura malriuscita e redenta appunto da disegni e grafica. Massimo (complimenti, anzitutto!), dissento: non è che qualsiasi narrazione discontinua possa fregiarsi del titolo di “schizofrenica”; a volte è semplicemente abborracciata, raccogliticcia, ed è il caso di questa.
    Ci aggiungo che le singole battute (trademark luttazziano per antonomasia, avremmo detto), decontestualizzate, sono nella maggior parte dei casi inspiegabilmente deboli.
    E poi, scusate, davvero la storia ci dice qualcosa del Bel Paese? Mi pare l’intenzione dichiarata fosse questa. A me sembra, come ha già detto qualcuno, ci dica semplicemente quacosa di un furbo, e manchi quindi anche d’una messa a fuoco, di un carattere paradigmatico che la renda interessante, *rilevante*. Opinione mia, obviously.

  3. Mariano

    31 Maggio 2012 a 18:01

    Ok l’intervista a Giacon, mentre l’intervista iniziale non sta in piedi ed e’ l’ennesima accusa del “sei volgare e non fai ridere.”

    A me ha fatto scompisciare, e la scena dell’orgasmo femminile con bestemmia e’ da antologia!

  4. MeanMrMustard

    31 Maggio 2012 a 20:55

    No, Mariano, la critica è un’altra, e non semplicistica come vuoi far credere. Leggi meglio, su.

  5. MeanMrMustard

    14 Giugno 2012 a 19:24

    C’era il principio di una discussione, qui. Cinque commenti. Che fine hanno fatto?

    • La redazione

      15 Giugno 2012 a 08:08

      Non preoccuparti, stiamo passando i commenti a un nuovo sistema (Disqus), molto usato e con cui utilizzare lo stesso utente per molto siti e blog. Il passaggio dei vecchi commenti impiega un po’ di tempo, per lunedi al massimo dovrebbero essere tutti di nuovo visibili :)

      • MeanMrMustard

        15 Giugno 2012 a 17:08

        Grazie della risposta. :-)

  6. John the Walrus

    23 Giugno 2012 a 01:05

    Ah, le trappole di Luttazzi funzionano sempre… Alla quarta rilettura non ho certo esaurito le sorprese divertenti che Luttazzi ha riservato al lettore attento, ma alcune cose vanno dette. Ad esempio, il narratore Walter Farolfi è un classico narratore inattendibile. Lo si capisce alla fine quando la parola passa ai vicini. Quindi la quarta necessità non è il sesso, come sostiene all’inizio. Qual è, allora? E perché racconta questa storia? Il critico incompetente non sa rispondere, ha letto di fretta, prende per buona la frase di Walter, anzi si affretta a scriverla, come se avesse risolto l’enigma posto dal titolo – e fregandosene di rovinare la sorpresa al pubblico, se le cose stessero davvero così. Il critico incompetente non sa neppure distinguere la comicità di Walter (primo livello, il furbo che posa a cazzaro) da quella di Luttazzi (secondo livello, satirico e ironico) Confondere Walter con Luttazzi è un errore da dilettanti. Quindi il critico incompetente non trova il filo e allora che fa? Attribuisce l’inesperienza a Luttazzi – lui è superiore a Luttazzi – e scrive di “un lungo susseguirsi di sketch slegati tra di loro e senza un reale filo conduttore”. Purtroppo per lui, il filo c’è eccome. La sceneggiatura è eloquente e solida, solo che non procede come in un fumetto Bonelli – un conflitto, tre atti – ma per motivi tematici ricorrenti, come si conviene a una biografia satirica post-moderna. Un critico non può scriverne una recensione se non sa rispondere alla domanda “Qual è la quarta necessità?” E’ il tema satirico principale. Risolvere l’enigma fa passare il lettore dal livello Walter al livello Luttazzi. E allora si ride tanto. Di un gusto feroce e sublime.

    • davide

      23 Giugno 2012 a 09:52

      se la storia di moretti è vera questo fumetto contiene anche una chicca giornalistica di cui non s’è ancora accorto nessun “recensore”. siamo tutti italiani medi. i “mostri” non sono “gli altri” e i recensori improvvisati o furbastri ne sono la prova, come luttazzi voleva dimostrare. una graphic novel di grande respiro. complimenti a luttazzi e a giacon.

    • MeanMrMustard

      23 Giugno 2012 a 22:52

      Un pizzico di spocchia in meno non guasterebbe. Che la risoluzione dell’indovinello (“Qual è la Quarta Necessità?” Suspence!) possa far riapprezzare l’opera IN TOTO, battute e struttura drammaturgica incluse, è una tua piccola fantasticheria.

      “Biografia post-moderna”: come dicevo a Massimo (lui sì bravissimo, a scanso d’equivoci) non è che un discorso frammentario possa sempre fregiarsi del titolo di post-moderno, schizofrenico, caleidoscopico: a volte, banalmente, è frammentario e stop. C’è Barthelme e c’è la discografia di Syria. “Luttazzi è un autore di battute, non gli riesce di diluirle in narrazione, torni a quelle”, avrei chiosato fino a due anni fa. Ma è il 2012 e mi manca una chiusa.

      • John the Walrus

        30 Giugno 2012 a 08:04

        Allora ti do un altro aiutino, caro Mostarda, visto che
        da solo proprio non ce la fai. Il tema principale de La Quarta Necessità è
        quello della metamorfosi, un tema antico quanto i miti greci. Non era così
        difficile da individuare, dato che ne accenna persino l’aletta (“Come può un
        bambino buono trasformarsi in un mostro sociale?”) e se tu avessi letto questo
        graphic-novel con l’attenzione che merita ti saresti accorto che questo tema,
        intrecciandosi con quelli secondari (il tema Dalì, il tema Austen, il tema omerico
        eccetera) struttura tutto il libro da cima a fondo. Dal neonato che diventa
        fantoccio di scena, alla villa dell’800 che cambia destinazione d’uso nel corso
        degli anni, agli anelli delle turiste (hai notato che libro leggono? dove
        ritorna lo stesso libro? perché Luttazzi segnala questo parallelismo?), alla
        confessione col monsignore, alle parodie fumettistiche, ai rimandi letterari (ti
        sei accorto che Silvana è una parodia di Nausicaa?) e cinematografici (hai
        colto l’allusione a Bunuel?), ogni scena, ogni minimo particolare del libro è
        un’eco del tema metamorfosi (la lucertola in mano a Wilmer è qualcosa di
        memorabile nella sua delizia, per non parlare del throwaway della Morte Bambina
        nel corridoio di pediatria), finchè, dopo la discussione fra i vicini (il
        climax spettacolare della storia è la metamorfosi del punto di vista a pagina
        98), discussione cui partecipa con divertente tocco metanarrativo lo stesso
        Walter, il discorso non diventa quello del narratore Luttazzi e la favola di
        Walter Farolfi assume la forma definitiva dell’allegoria satirica di un Paese.

        Il fatto è, Mostarda, che non puoi leggere La Quarta
        Necessità come fosse Topolino. E’ letteratura e pone problemi speciali (non a
        caso Luttazzi ci ha lavorato per due anni). Se non c’è nulla di male
        nell’essere ignoranti, l’ignorante che pretende di salire in cattedra per dare
        giudizi arroganti su ciò che non capisce è come minimo patetico.

        Un altro punto. Sostenere solo la bravura di Giacon,
        mentre Luttazzi sarebbe l’inesperto incapace, è un giochetto puerile che
        evidentemente Luttazzi aveva previsto. La risposta ingenua di Giacon sulla
        “sceneggiatura schizofrenica” dimostra infatti che Luttazzi gli ha affidato la
        realizzazione grafica senza spiegargli la struttura del testo, ovvero il tema
        principale e il gioco fra i temi. Se qualcuno avesse tentato il giochetto
        Giacon contro Luttazzi, come infatti è accaduto, la pretestuosità dell’attacco sarebbe
        diventata evidente. E’ Luttazzi ad essere in pieno controllo dall’inizio alla
        fine. Il suo virtuosismo stilistico, tradotto graficamente da Giacon nella
        scelta di connotare le epoche attraverso le differenti tecniche di stampa,
        arriva al punto di attribuire ai vari personaggi lo stile umoristico del
        periodo storico in cui vivono (ad esempio il gioco di parole Cile/Calcutta
        negli anni ‘30, lo scambio fra Fellini e Flaiano negli anni ’60) mentre il
        narratore Walter mantiene il proprio carattere comico lungo tutta la storia
        (vedi il tema “urina”). Quanto alla vecchia polemica sui plagi, cui ricorri in mancanza
        di argomenti per chiudere la tua replica banale e offendere Luttazzi, devi informarti
        meglio. Come spiega in modo esauriente questo blog aggiornato, si trattò di
        diffamazione bella e buona: http://anti-diffamazione.blogspot.it/

        L’ultima considerazione è sulla recensione, che secondo
        me raggiunge il suo momento più ridicolo nell’interpretazione simbolica delle
        scene di sesso anale (ma per piacere!). Leggo che in questo graphic novel si
        ride a stento. L’affermazione
        è così peregrina, sbagliata e ingiusta che viene da interrogarsi non solo sul
        senso umoristico del recensore o sul suo acume critico, ma soprattutto sulla
        sua onestà intellettuale. Una critica, anche ostile, è valida solo se illustrata
        da esempi. A parte il divertimento ironico, profondo, continuo, che deriva dal
        gioco letterario fra i temi del racconto, e che sfugge al lettore dilettante
        (come può accorgersi che Walter è una parodia di Darcy?), la superficie di
        questo libro è comunque incandescente. Ci sono, in gran quantità, battute e
        scene in cui si ride a crepapelle. La battuta dell’alba, da sola, per me vale
        il costo del libro. O quella su Wilmer che uccide i cagnolini delle vedove per
        conto della mafia. O la sequenza della turista che ha studiato da sommelier. O quella
        dei parenti al funerale. O la scena dell’incubo. Che Luttazzi non sappia far
        ridere, signori, è semplicemente un’idiozia.

      • MeanMrMustard

        2 Luglio 2012 a 18:59

        Caro Tricheco, confesso che mi stai simpatico. Scommetto che se mordo la crosta bigusto, Alterigia (quella sì caleidoscopica. Sarai mica a tua volta la parodia di qualcuno?) & Ira (perché ti incazzi così, sant’Iddio!? Io mica ti ho offeso! Manco fossi tu, Luttazzi! O_o”); scommetto che se mordo, trovo un ripieno tutto sommato morbido, gentile. Vediamo se stavolta riesco a spiegarti il mio punto di vista – banale senz’altro, nel senso di lapalissiano -, ci terrei.

        Ti do un aiutino, uso un esempio: Quentin Tarantino. Ogni film di Tarantino è un gomitolo di citazioni rutilante; alle spalle, una cultura cinematografica immensa. I livelli di lettura si moltiplicano, indagarli è senz’altro un piacere aggiunto per il cinefilo appassionato. E tuttavia, diresti che ogni film di Tarantino è un capolavoro? Io no. KILL BILL è geniale, DEATHPROOF non altrettanto. E questo perché è da quella che tu, quasi con sufficienza, chiami “la superficie” di un’opera che è logico parta una critica; e non è inconcepibile lì si fermi, quando l’impatto è negativo: se a un critico gastronomico porgo una lasagna che sa di cenere, a questi non interesserà sentirmi elencare gli ingredienti scelti.
        A un’opera debole (qual è, a mio avviso, “La quarta necessità”) non posso alzare il voto di sei punti, come vorresti tu, in virtù di quanto l’artista è
        sapiente, e di quanti riferimenti a quel che ha letto ci ha disseminato,
        e del modo pur stimolante in cui può averli concatenati: se è questa la sua bravura, faccia il saggista.

        A maggior ragione se è un’opera umoristica, scusa, eh. Nessuna delle battute che citi mi ha divertito. E preciso che con Luttazzi, da “Sesso con…” a “Guerra civile fredda”, ho quasi sempre riso. Un “a parte”: qui nasce una brutta ipotesi, che ti renderà chiaro a che pro cito il caso plagi (a proposito: il blog che riporti è una patetica, Ferraresca arrampicata sugli specchi. Se è una storia vecchia, perché non torna a teatro?) e il perché della veemenza da amante tradito dei miei interventi: l’ipotesi, cioè, che questo sia il meglio che Luttazzi sa fare senza “citare”.
        Aspettavo impaziente un nuovo libro che smentisse gli ultrà per cui “Luttazzi è artisticamente nullo” (Saverio Raimondo, ansiosissimo di uccidere il padre): è arrivata “La quarta necessità”. Ergh.

        “In arte, l’unica censura ammessa è lo sbadiglio.” (D.L.)

        P.S.: se dico che la prova di Giacon, al contrario, mi è piaciuta, intendo questo e nient’altro. Niente cospirazioni, rilassati. E non delirare: Luttazzi avrebbe avuto “sotto controllo” Massimo, prevedendone “l’ingenuità”!? I due sono amici, e Luttazzi, con tutti i difetti che io per primo riconosco, non è certo il verme calcolatore che dipingi. A calunniare, in un eccesso controproducente di zelo da fanboy, a questo punto sei tu.

      • MeanMrMustard

        21 Luglio 2012 a 19:24

    • La redazione

      25 Giugno 2012 a 08:54

      Non abbiamo l’ambizione di definirci critici competenti, ma cerchiamo di essere lettori attenti. Al pari di chi commenta, senza voler apparire superiori o imporre le nostre opinioni come inappuntabili.
      I commenti possono arricchire molto e offrire a tutti diversi elementi di giudizio dell’opera, anche e forse soprattutto se in disaccordo con l’opera.
      E’ bello quindi confrontarsi, speriamo di poterlo fare però senza fare a gara a chi l’ha più lungo, a chi ne sa di più, o a voler legger tutto con il piglio dell’attaccabrighe.

    • MeanMrMustard

      25 Giugno 2012 a 13:19

      @ La Redazione: traduco i due argomenti cardine di John the Walrus in lingua comprensibile, scremati dalla boria:

      1) “Le battute non vanno valutate in quanto tali – ‘raramente si riesce a ridere di gusto’ – ma come battute che Luttazzi ha messo in bocca a un protagonista di cui si fa beffa; battute la cui debolezza è quindi fortemente voluta.”
      Eh, già: ogni autore umoristico assegna battute e gag fiacche ai propri personaggi negativi, non sapevate? Ne consegue che se l’opera è interamente dedicata, a un personaggio negativo, è del tutto normale questa non generi che un lungo, feroce, sublime sbadiglio. Prendete “Il grande dittatore” di Chaplin, o “Prendi i soldi e scappa” di Allen: film terribili per personaggi terribili. No?

      2) Bisogna risolvere l’indovinello (“Qual è la quarta necessità?” La domanda, lo dico al critico disattento, è addirittura scritta in quarta di copertina, se no chissà in quanti si sarebbero posti il problema), dopodiché tutto, TUTTO, da noioso e sconclusionato assurgerà a divertente e alquanto solido! E’ più che un indovinello: è una chiave alchemica! Chiarissima a tutti tranne che a noi! John l’ha chiara e non ne parla! Chissà perché! Non vorrà rovinar la sorpresa! Si ride tanto!

      Con questo intendo dire: non scomodatevi.

      Con stima, M.

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