In questa puntata analizzeremo il biennio ’45-’46, nel quale Carl Barks migliora a vista d’occhio, sviluppando sempre di più il carattere e la psicologia dei Paperi; inoltre, comincia a produrre anche qualche storia breve (le celeberrime ten-pagers)che non punti solo a far ridere, ma anche a veicolare messaggi più o meno importanti. Ma iniziamo subito con quello che è un vero gioiello: Paperino e il terrore di Golasecca.
PAPERINO E IL TERRORE DI GOLASECCA
La trama di questa storia può apparire banale, ma è il modo in cui Barks tratta e sviluppa il soggetto che la trasforma in una vera perla. Paperino compra per trenta dollari una casa galleggiante nell’Ohio e decide di andarci con i nipotini per una vacanza, ma, ben presto, s’ imbatteranno in un mostruoso serpente di mare.
Davvero incredibile come, da questo spunto, Barks sia riuscito a costruire una storia a dir poco imperdibile.
Nella prima parte, il Maestro darà il meglio di sé creando situazioni davvero esilaranti: quelle che si susseguono sono pagine e pagine di puro divertimento, per le quali il lettore non mancherà di sganasciarsi! Memorabili in tal senso le “lezioni fluviali” che Paperino impara a sue spese navigando per la prima volta. Poi, però, vi è una battuta d’arresto: dopo tante pagine tscanzonate, ecco l’ingresso in scena del serpente. Non è una bestia di cui ridere, come altre che Barks porterà in scena negli anni successivi, ma anzi, tutt’altro: da qui in poi ci sarà un crescendo di tensione che non si placherà nemmeno dopo aver scoperto che la creatura è artificiale (tra l’altro, è davvero encomiabile come i nipotini, dopo aver trafitto il mostro con delle fiocine, rimangano basiti dall’assenza di fiotti di sangue: è qualcosa che indubbiamente più realistici i personaggi e ciò che fanno).
Il climax viene dunque raggiunto quando Paperino è inghiottito dal mostro ed è succube delle concretissime minacce di morte del misterioso manovratore. Ho spoilerato così brutalmente proprio per analizzare la personalità di questo villain, uno dei più interessanti del parco personaggi barksiano: costui spaventa perché gli piace. Perché si diverte. Il perfetto nichilista, come Alex De Large di Arancia Meccanica, tanto per capirci. Per dirlo con le sue parole: “Perché la gente balla? Perché le piace! Perché si diverte! A me piace spaventare a morte la gente!”. Insomma, un vero e proprio psicopatico. Davvero straordinario, soprattutto per quegli anni e per i canoni Disney.
Per quanto riguarda i disegni, il serpente è tratteggiato benissimo, e così le ambientazioni e i protagonisti, sempre decisamente espressivi – come Barks, d’altronde, ci ha abituato.
La particolarità di questa storia è senza dubbio che, quando è pubblicata in Italia per la prima volta, su Topolino, venga completamente stravolta: alcune vignette sono sostituite da altre, vengono eseguiti rimontaggi assurdi e, soprattutto, la vicenda è ambientata in Italia: proprio a Golasecca, un paesino in provincia di Varese, sul Ticino, che è il fiume su cui navigano i Paperi in questa prima sconclusionata versione nostrana. Paperino cita addirittura il Po, l’Adda, Como, Pavia: roba da matti!
TOPOLINO E IL MISTERO DEL CAPPELLINO ROSSO
Questa storia consiglio di recuperarla solo ai filologi e ai collezionisti di stirpe, perché, per quanto mi riguarda, l’unico fattore degno di nota è il fatto che sia il primo e unico contatto che avranno Barks e il topo più famoso del mondo.
In periodo di guerra i disegnatori scarseggiano, e Barks sente che deve dare una mano: accetterà così di disegnare quest’avventura di Mickey Mouse, su soggetto e sceneggiatura altrui. In questa storia il Maestro ci mette solo le matite e, ahimè, si nota parecchio: il tutto risulta abbastanza scialbo, a tratti banale, privo di mordente ma, soprattutto, si avverte che sarebbe occorsa qualche tavola in più (cosa che per Barks, indiscusso Maestro dei tempi narrativi, sarebbe stata come minimo anomala).
Non c’è davvero molto da dire, se non che si nota abbastanza come l’Uomo dei Paperi non fosse, per così dire, ispirato: il cast di Topolinia non gli riesce benissimo. E’ possibile individuare alcune vignette in cui le pose e le espressioni dei personaggi risultano innaturali, artificiose, senza che l’autore riesca a imprimere sui volti di Topolino & co. la proverbiale espressività, caratteristica peculiare dei suoi Paperi. Il character design è piuttosto arcaico, con un ritorno al Topolino in calzoni corti; è forse anche questa storia che contribuisce a ispirare l’artista spagnolo Cesar Ferioli nella costruzione del suo stile caratteristico.
PAPERINO E L’INCENDIARIO
Questa è proprio una delle storie più azzeccate per parlare di stravolgimenti di un’opera originale; ma se in Paperino e il terrore di Golasecca tutto ciò era dovuto all’adattamento italiano, stavolta il bavaglio della censura non viene applicato nel Bel Paese ma già negli Stati Uniti dove, in sede editoriale, si decide di cambiare il finale di “Paperino e l’incendiario”. Il perché di questa scelta? Prima di parlarne, è necessario trattare un minimo la storia in questione, che è decisamente atipica sia nella forma che nel contenuto.
Per quanto riguarda la forma, è inconsueta a causa della gestione delle tavole: la storia contiene infatti molte più vignette della norma, con una media di 10 a pagina rispetto alle solite 7/8.
Per quanto riguarda il contenuto, la storia è curiosa dato che tratta un argomento un po’ spinoso: la piromania psicotica. Paperino, a causa di una botta in testa, sviluppa una passione morbosa per il fuoco e diventerà ricercato dalle forze dell’ordine a causa di diversi incendi che infuriano in città.
La storia appare scontata, ma in realtà non lo è affatto: si susseguono infatti diversi colpi di scena che ribaltano sapientemente la narrazione quando necessario. Inoltre, cosa importante, viene affrontato, seppur lateralmente, un tema scabroso come quello dell’ossessione maniacale: altre volte Paperino, a causa di colpi sul cranio, diventa abilissimo in una particolare attività o si fissa su qualcosa –Barks l’aveva già fatto, per esempio, in “Paperino chimico genio” – ma mai come in questo caso. Il comportamento di Paperino infatti è tipicamente ossessivo-compulsivo, patologico; Barks punterà su quest’aspetto anche tramite un altro personaggio della storia; a voi scoprire di chi si tratta.
Il Papero, però, si ritiene innocente e potrà contare solo sull’aiuto dei nipotini per tentare di scagionarsi; qui torna nuovamente nelle storie barksiane un tema caro a Hitchcock, e cioè l’innocente accusato ingiustamente e perseguitato da tutto e tutti.
Nel finale com’era stato ideato dal Maestro, Paperino, dopo aver dato fuoco all’aula del tribunale, veniva spedito in galera. Gli editor ritengono questa scelta troppo diseducativa e decidono quindi di cambiare le due vignette finali, ridisegnate in modo da rendere tutta l’avventura un sogno di Paperino.
Ora, queste cose fanno parecchio innervosire. In primo luogo, perché quello del sogno è un cliché orribile e abusatissimo; in secondo luogo, perché sono assolutamente contrario a questo tipo di scelte, che stuprano l’opera originale di un artista. In questi casi, l’unica decisione da operare è, secondo me, “pubblicare la storia” o “non pubblicare la storia”, senza una terza alternativa, ovvero “pubblicare la storia rimaneggiata e stuprata”. In terzo luogo, qui la censura non ha alcun senso: non so come la pensiate voi, ma io non trovo nulla di diseducativo in Paperino che appicca un incendio nell’aula del tribunale e che, proprio per questo, finisce in prigione; tutt’altro. Non vedo come questo avrebbe potuto nuocere alle menti dei bambini, dal momento che non credo che un bimbo, se avesse letto quel finale, avrebbe poi girovagato per le strade della sua città munito di tanica di benzina e fiammiferi. Quindi, cari editor, non combiniamo questi pasticci, perché poi i posteri ne risentono. In ogni caso, sono riuscito a reperire la vignetta conclusiva ridisegnata anni dopo dall’artista olandese Daan Jippes, pubblicata nel mercato scandinavo. Nella vignetta, in svedese, Paperino si lamenta del fatto che i giudici non indossino delle toghe ignifughe, se ho capito bene. Sarebbe stato un finale simpatico, adatto e per niente diseducativo (perché Paperino compie un reato e, a causa di ciò, viene punito), invece grazie al genio di turno ci tocca vedere quest’ottima storia accompagnata da un finale pessimo, che si fa beffe del lettore, e pure mal disegnato.
Dal punto di vista grafico, oltre ai soliti discorsi sulla lenta trasformazione che sta interessando il tratto di Barks, è doveroso fare qualche cenno sulla città di Paperopoli. Per la prima volta viene visualizzato il centro della città, rivelando che si tratta di una metropoli e che Paperino vive in una villetta nella sua periferia. L’Uomo dei Paperi tratteggia palazzi, grattacieli e un’atmosfera in generale opprimente per quello che secondo me è il primissimo contributo fondamentale verso la Paperopoli che vedremo quasi cinquant’anni più tardi nell’acclamata serie Paperinik New Adventures, per gli amici PKNA.
L’ANGOLO DELLE TEN-PAGER
Cominciamo subito con il citare “Paperino e il ladro fantasma”, storia davvero esilarante, anche e soprattutto grazie all’adattamento italiano dei dialoghi, certamente fantasioso ma non per questo meno valido. In questa storia Paperino accusa i nipotini di depredare il frigo nottetempo, ma i tre scopriranno ben presto che il colpevole è il loro stesso zio. Da qui scaturirà una serie di divertentissimi siparietti comici, di cui uno a sfondo bellico: Paperino, infatti, afferma, riferendosi a Qui, Quo e Qua: “Vi vedo, piccolo giapponesi dagli occhi a mandorla! Vi infilzerò con la mia baionetta come pezzetti di montone arrosto!”! Tutto ciò è sostituito nelle ristampe successive, e completamente stravolto nelle edizioni italiane.
Da citare poi è anche Paperino e il picchio, gioiellino di comicità fisica e slapstick. Per una volta, è Barks a ispirare, con una sua storia, un cortometraggio, “Il Clown della Giungla”: in entrambi i casi, Paperino è alle prese con il birdwatching: nel fumetto dovrà faticare per cercare di fotografare un pennuto rarissimo, mentre nel cartone sarà disturbato in quest’operazione dall’insopportabile Aracuan.
Altra storia notevole è “Paperino e la banconota da 10 dollari”, una vera e propria parabola sull’onestà in cui Barks trova anche lo spazio per ironizzare sulla censura di cui egli stesso è vittima.
“Paperino e i buoni propositi” è invece, permettetemi di dirlo, la prima ten-pager capolavoro. Com’è di consueto nelle storie brevi, Barks si focalizza sulla quotidianità dei Paperi, sull’ordinario, piuttosto che farli confrontare con lo straordinario delle storie di ampio respiro. Paperino, su sollecitazione di Paperina, sceglierà il proprio proposito per l’anno nuovo, ovvero quello di non arrabbiarsi mai più. I nipotini, ancora nella fase delle “monellerie”, non tarderanno ad approfittarsene. Il papero riuscirà a tenere fede al proprio impegno?
Ritengo questa ten-pager imperdibile per tanti motivi: le gag sono a dir poco esilaranti; poche volte mi sono divertito così leggendo un fumetto. I disegni sono frizzanti, ben eseguiti e rendono al meglio ciò che succede durante la storia – una volta di più, gioca un ruolo determinante la proverbiale espressività dei Paperi barksiani. Certamente degna di nota la scena in cui sentiamo le voci fuori campo di Qui, Quo e Qua intenti a sfasciare la cucina, mentre Barks decide di mostrarci le reazioni di Paperino nei confronti di ciò che sta sentendo. La vignetta finale, infine, è a dir poco geniale: fa sganasciare e chiude la vicenda nel miglior modo possibile. Standing ovation.
Degna di nota anche Paperino costruttore di aquiloni, in cui Barks ci presenta l’ennesima battaglia tra zio e nipoti ma, stavolta, spingendo maggiormente l’acceleratore sull’indagine psicologica dei suo paperi che, qui, a tutti gli effetti, si comportano da uomini. Molto riuscita la sequenza in cui Qui, Quo e Qua fanno uso della “strategia dialettica”, com’è chiamata da loro, per evitare la punizione dello zio, o la vignetta in cui i nipoti si preoccupano in modo davvero struggente per la sorte di Paperino. Stessa storia per “Il primo giorno di scuola di Qui, Quo e Qua”, in cui i Paperi recitano tutti in maniera davvero realistica e sono perfettamente caratterizzati o per “Paperino e la gara di nuoto” che, oltre a essere molto divertente, rimarca il ruolo di educatore, di figura paterna che Paperino deve rappresentare per i tre nipoti. Dal punto di vista squisitamente ilare, invece, sono indiscussi gioiellini “Paperino forzuto senza saperlo” e “Paperino e il cane sublime”, anche se entrambe le storie, oltre alle risate, desiderano inviare al lettore messaggi ben chiari: da una parte, si fa un’intelligente satira alla superficialità della classe media americana di quegli anni, mentre dall’altra il messaggio di fondo è che non necessariamente un cane dotato di pedigree sia migliore da preferire a un meticcio o a un randagio. Insomma, ciò che conta non è come sei nato, ma ciò che sei!