Ma perché faccio questo mestiere?

Ma perché faccio questo mestiere?

Federico Memola e la domanda a cui ogni fumettista deve rispondere almeno una volta nella vita.

Questa è una domanda a cui ogni fumettista deve rispondere almeno una volta nella vita. Almeno una perché, nel remoto caso non l’abbiano fatto amici, parenti o semplici conoscenti, se la sarà posta da solo. Deve essersela posta. Almeno una volta.
Quello del fumettista non è un lavoro che si sceglie per caso, né per i soldi o per far carriera. Perché mai, allora? Per far colpo sulle ragazze? Perché è divertente? Perché è “figo”? Perché è sì meno “figo” che fare il cantante/musicista, ma più facile? Perché non sapevo cosa fare e ho visto la pubblicità di una scuola di fumetti sull’autobus? Perché è il destino che ha scelto per me? Perché è il mio destino?
Spero davvero per voi che non consideriate valida una delle risposte qua sopra elencate. Perché, se è così, andrete incontro a cocenti delusioni!

Il mio primo Asterix.

I fumetti si fanno essenzialmente per due ragioni.

La prima è che sin da piccoli ne siamo stati accaniti lettori. Li abbiamo divorati, abbiamo amato i personaggi che settimana dopo settimana, mese dopo mese e anno dopo anno ci hanno accompagnati nella buona e nella cattiva sorte e che sono diventati come amici reali, per noi, trasmettendoci emozioni che hanno contribuito alla nostra formazione.

La seconda ragione è che, quasi senza accorgercene, dentro di noi è nata e cresciuta piano piano una strana esigenza, un malessere che si placava solamente quando prendevamo in mano la penna (o la matita, o la tastiera, o la tavoletta grafica) e cominciavamo a vergare segni e/o parole che ai nostri occhi prendevano letteralmente vita. E ci facevano star bene. E male, perché non erano abbastanza, non erano sufficienti. Dovevamo continuare e fare di più, di più e di meglio.

Il Principe Valiant di Harold Foster: letteralmente “divorato”, da bambino!

Scrivere e disegnare sono letteralmente esigenze fisiche per chi fa fumetti (e credo che un discorso analogo potrebbe farlo chiunque svolga un’attività creativa, dal cinema alla cucina). È un’attività che svolgiamo in primis per noi stessi, per soddisfare questa esigenza. E a volte può non essere divertente come sembra. Perché la ricerca è costante e destinata a non avere mai fine. C’è sempre un briciolo di insoddisfazione a risultato raggiunto, perché ricerchiamo la perfezione e la perfezione non esiste. ma questo non ci scoraggia, perché la ricerca stessa è il fine. Inseguiamo il costante miglioramento, tormentati dal pensiero che “sì, è venuta bene, ma la prossima storia sarà migliore”. È un processo mentale che tanti riescono a vivere serenamente, ma per qualcuno può diventare quasi un’ossessione, tenetelo presente.

In casa mia hanno sempre girato fumetti e ancor prima di andare a scuola ho cominciato a imparare a leggere sulle pagine di Topolino: Barks e Gottfredson, Scarpa e Cavazzano, Cimino e Siegel… E (anche) da storie come questa è certamente nata la mia passione per la fantascienza.

E la mente, anche nei momenti di svago e relax, è sempre pronta a cogliere un’idea, una sensazione (non a caso quasi tutti giriamo costantemente con un taccuino in qualche tasca!). Non esistono momenti in cui stacchiamo completamente dal nostro lavoro, non esistono elementi, per quanto cari (la famiglia o gli amici), in grado di farci dimenticare completamente questa ricerca. Anche nei momenti più fuorvianti e intensi, anche mentre state aspettando che vostro figlio nasca (o lo state partorendo voi stesse), un angolino del cervello è sempre pronto a cogliere dettagli, particolari, spunti che potrebbero servire in qualche storia. Non è una scelta, è uno stato mentale che fa parte di voi, non potete liberarvene come non potete liberarvi del vostro fegato o della vostra mano (non senza gravi conseguenze, quanto meno!).

Sia chiaro, nessuno pretende che per fare questo mestiere debba necessariamente animarvi il “sacro fuoco”, ma… Beh, sappiate che questo elemento sarà quello che farà sempre la differenza fra un fumettista in grado di trasmettere emozioni ai suoi lettori e lasciar dentro di loro qualcosa che forse un giorno germoglierà e un “semplice” professionista, tecnicamente preparato, bravo nel proprio mestiere e probabilmente anche veloce a scrivere. Una figura che, nella produzione seriale, si rivela molto utile, spesso tenuta in maggior considerazione da parte dell’editore, che grazie a lui può mandare gli albi in edicola ogni mese. Ma un professionista che ben difficilmente riuscirà a trasmetterci le emozioni che ci hanno portato ad avventurarci nel mondo del fumetto.

Per un approccio decisamente più pragmatico (e ironico) a questo mestiere, vi consiglio il fumetto “I professionisti” di Carlos Gimenez.
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