Paolo Bacilieri: conversazioni attorno a un Tramezzino

Paolo Bacilieri: conversazioni attorno a un Tramezzino

Prendendo spunto dal suo ultimo libro edito da Canicola, abbiamo chiacchierato con Paolo Bacilieri a proposito di architettura, elemento da sempre importante nei suoi fumetti e fulcro narrativo di “Tramezzino” insieme al suo amore per Milano.

Paolo Bacilieri nasce  a Verona nel 1965. Diplomato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna,inizia a frequentare giovanissimo lo studio del maestro Milo Manara. Lavora nel mondo della narrazione a fumetti dal 1982 ed esordisce da professionista sul mercato franco-belga con l’editore Casterman, casa editrice con la quale pubblica il primo personaggio interamente creato da lui, Barokko.
Tra i suoi lavori successivi si possono citare Durasagra-Venezia uber alles e The Supermaso Attitude.
Ha creato le avventure di Zeno Porno, sceneggiatore di fumetti Disney ex-agente della Cia, le cui vicende oniriche ambientate nell’Italia del nord-est sono state recentemente raccolte in un unico volume da Coconino Press con il titolo
Zeno Porno e la magnifica desolazione.
Sempre per Coconino ha pubblicato
Sweet Salgari, biografia a fumetti dedicata al famoso scrittore di romanzi di avventure Emilio Salgari e il dittico Fun e More Fun, incentrato sulla storia dell’invenzione delle parole crociate.
Nel 2012, per Rizzoli Lizard ha dato alle stampe
Adiòs Muchachos, opera vincitrice di diversi premi tratta da un romanzo noir di Daniel Chavarria,mentre nel 2016, per Hollow Press è uscito Palla.
Bacilieri ha lavorato inoltre per Sergio Bonelli Editore su
Napoleone, dove oltre a disegnare ha scritto alcune delle avventure del personaggio creato da Carlo Ambrosini, su Dampyr, su i Romanzi a fumetti con Il pianeta perduto scritto da Antonio Serra e su la collana Le Storie con un fumetto western scritto da Fabrizio Accattino, Il prezzo dell’onore, da poco ristampato dalla SBE in un volume da libreria.
La sua ultima opera è
Tramezzino, edita da Canicola, un “albettone” di 32 pagine in formato A3 nel quale Bacilieri, attraverso il racconto di una storia d’amore universitaria, ha dato sfogo alla sua grande passione per l’architettura e per la città di Milano.
Proprio sulla disciplina architettonica, il suo disegno e la genesi di
Tramezzino abbiamo parlato con l’autore in questa intervista.

Ciao Paolo, bentornato su Lo Spazio Bianco.
L’architettura è da sempre una componente attiva nelle tue storie, non la releghi mai a mero sfondo o scenografia. Soprattutto i tuoi ultimi tuoi lavori, Fun, More Fun e Tramezzino, sono esempi evidenti della tua passione per questa disciplina, oltre che per Milano. Da dove nasce questo “amore”?
Già, me lo sono chiesto anch’io e da un bel po’: non ho purtroppo una risposta semplice e definitiva, più che altro delle ipotesi. Sono nato a Verona e sono cresciuto in un minuscolo paesino immerso nel verde dell’alta Valpolicella, Molina, tagliato fuori e quindi preservato dallo sviluppo industriale/urbanistico di gran parte del Veneto, e senza dubbio agli antipodi di una grande città come Milano (anche se il nome ne è un anagramma). Eppure credo che i primi esempi di soluzioni architettoniche felici (architettura spontanea, beninteso) li ho visti e vissuti lassù tra i lastroni di calda pietra calcarea che usano nella mia Dogpatch (luogo di finzione in cui erano ambientate le storie della strip Li’l Abner di Al Capp – n.d.r.) veneta, per ogni cosa: pavimentazioni, recinzioni, muratura, infissi, coperture, ecc. Poi ovviamente c’entra Milano, dove mi sono trasferito venti anni fa.

Non hai una formazione da architetto, eppure disegni sempre le architetture in modo “tecnico” e preciso. In Tramezzino, i fronti degli edifici sono rappresentati praticamente secondo i dettami delle proiezioni ortogonali che regolano il disegno architettonico. Questo non toglie passione o anima al tuo disegno, non lo rende freddo (d’altronde se penso ad alcune tavole di progetto di architetti come Aldo Rossi, giusto per nominare un maestro italiano, sono tutto fuorché “senz’anima”), però è davvero peculiare questa tua capacità “architettonica”. Hai mai avuto la curiosità di studiare il disegno e la rappresentazione di alcuni architetti?
Superficialmente, e sono d’accordo con te, i disegni di Aldo Rossi sono stupendi. Credo che (e c’è in Tramezzino una didascalia a testimoniarlo) uno di quelli che mi hanno insegnato a “vedere” il paesaggio in cui vivo, l’architettura, quella di Milano in particolare, sia stato il fotografo/architetto milanese Gabriele Basilico. Il suo è uno sguardo che corrisponde alla tua descrizione: razionale, professionale, rigoroso ma profondamente umano, caldo, consapevole.

Una tavola progettuale dell’arch. Aldo Rossi

Invece, ti soffermi a guardare il modo in cui altri tuoi colleghi fumettisti rappresentano le architetture? Per esempio, nella cura per il dettaglio architettonico che tu possiedi c’è per caso l’influenza dei fumetti di Hugo Crepax (chiediamo venia per questa refuso freudiano da parte di chi ha redatto le domande dell’intervista, che da architetto appassionato di fumetto ha dato vita a una crasi architettonico-fumettistica che tanto è piaciuta a Bacilieri) , che era anche architetto?
David, possiamo lasciarlo questo bellissimo refuso “Hugo Crepax”?
In effetti credo che nel mio lavoro ci sia senz’altro qualcosa di Guido Crepax (altro architetto arcimilanese). E anche se in maniera meno evidente, molto di Hugo Pratt, che a Milano ha vissuto parecchio: aveva casa nella bellissima Piazza sant’Alessandro e con Crepax, pur essendo diversissimi che più diversi non si può, ha avuto molti contatti, complice Oreste Del Buono. L’opera di entrambi, anzi, di “Hugo Crepax” è una grande testimonianza di quello che si può fare con i fumetti, quando ancora i fumetti erano per la maggior parte una faccenda per ragazzini e su di me ha avuto profonde ripercussioni. Nello specifico credo appartengano alla stessa categoria dei citazionisti o meglio degli evocatori, o meglio ancora dei Proustiani, alla quale credo anch’io di appartenere. Mi spiego. Quando verso metà ottobre  qui a Milano in occasione dei Brera Design Days, nella sala Buzzati del Corriere, si è parlato di rapporti tra Fumetto, Architettura e Design con Matteo Stefanelli, Alessandro Cannavò, Massimo Giacon, Elena Salmistraro, Silvia Botti e Francesca Taroni, abbozzavo queste due macro categorie di autori di fumetti: gli Archimedici e, appunto, i Proustiani. I primi sono quegli Autori che creano, inventano, oltre a grandi fumetti, quasi inconsapevolmente, vere e proprie icone di architettura e design: George Herriman e la contea di Coconino, Carl Barks e il deposito di Paperon de Paperoni, Jacovitti e i suoi salami, Hergè e il razzo astronave di Tintin, Jack Kirby e quelle incredibili tecnologie delle sue tavole, Moebius, e via dicendo. I Proustiani sono invece quegli autori che nelle loro storie rievocano, ricostruiscono, con una forza e precisione che spesso supera le necessità diegetiche, luoghi, oggetti, costumi, tecnologia del presente e del passato prossimo o remoto, quasi a volerlo non solo evocare ma farlo rivivere. Vedi appunto l’incredibile varietà e ricchezza di oggetti di design, capi d’abbigliamento, calzature, auto, degli anni ‘60/’70 della Valentina di Crepax. Oppure le armi, i treni, gli aerei, i carri armati che Hugo Pratt si faceva disegnare “bullone per bullone” con maniacale e fredda precisione assonometrica dall’architetto veneziano Guido Fuga, fregandosene della coerenza grafica delle sue strisce in nome di una più profonda ed efficace  potenza evocativa. Ho avuto anche la fortuna di incontrare entrambi, Pratt da giovanissimo, avevo 16 anni. Mi introdusse il mio mentore Milo Manara e la prima cosa che Pratt mi disse fu “No xe ga mai visto un alpin che fa fumetti!”.  Crepax lo incontrai anni dopo nella sua casa milanese, dove mi portò il nostro comune agente Luca Aurelio Staletti: era già malato ma portava avanti il suo lavoro con puntigliosa, eroica perseveranza.

Tavola tratta da “Tramezzino”

In Tramezzino sembra che abbia usato le tue tipiche “vignettine” quadrate quasi come una sorta di matrice per la composizione “architettonica” delle tavole. Anche quelle dove non sono rappresentate architetture, dove i protagonisti sono Daddo e Skilla e gli altri personaggi della storia, sono strutturate quasi come fossero facciate di edifici. C’era questa intenzione?
Sì, certo, anche il decoupage di una tavola può essere visto come una “facciata” architettonica. E viceversa, nella scena centrale, l’idea era proprio che fosse la fredda architettura delle (bellissime) facciate degli edifici milanesi a rappresentare la sensualità, il sesso.

Da qui nasce dunque l’idea di rappresentare il climax della storia tra Daddo e Skilla attraverso una sequenza di nove pagine rappresentanti altrettanti edifici residenziali milanesi di corrente razionalista e modernista? In effetti si ha proprio la sensazione che volessi suggerire e non mostrare la passione carnale, sostituendola quasi come in uno specchio con la tua passione per l’architettura e Milano.
Quella dell’”albettone” Canicola è una cosa che, d’accordo con Liliana Cupido ed Edo Chieregato, dovevo fare da anni e per vari motivi ho sempre rimandato. Mi piaceva molto l’idea di lavorare su una storia (breve) in formato gigante, e di approfittarne per metterci un sacco di architettura milanese che amo. Poi ho trovato che il modo più semplice e diretto per dare corpo a questa passeggiata architettonica era di raccontare una “semplice”(non lo sono mai, giusto?) storia d’amore tra due ragazzi, ambientata a Milano.

Tavola iniziale di “Tramezzino”

Tramezzino si apre con due immagini a tutta pagina che hanno sullo sfondo la Torre Velasca che domina scorci cittadini milanesi. Esiste una sorta di file rouge tra Fun, More Fun e questa ultima tua pubblicazione per Canicola? Potremmo definirla una sorta di “trilogia meneghina”?
Sì e no. Ci sono diverse cose che accomunano il dittico di Fun e Tramezzino, e una di queste è senz’altro una certa attenzione al paesaggio urbano, a Milano in particolare. Ci sono anche cose che li differenziano: Fun è un polimorfico racconto costruito intorno al tema dei cruciverba, Tramezzino è un semplice, breve, monumentale e monomaniacale rush architettonico milanese.

Gli scorci urbani che rappresenti nel libro e gli edifici che disegni nella sequenza di nove pagine che “sublima” il rapporto tra i due protagonisti, come li hai scelti? Hanno per te un significato particolare?
Sono in alcuni casi luoghi che conosco bene, che vedo tutti i giorni, in altri rappresentano il lavoro di architetti magari meno famosi ma altrettanto importanti. Vedi ad esempio Asnago Vender: la palazzina dove c’è l’appartamento dello zio di Daddo è uno dei loro piccoli/grandi capolavori e si trova in via Verga. Gli edifici che ho scelto sono soltanto una piccola parte di quel vasto variegato e prezioso tessuto urbano e suburbano che nel dopoguerra (ma era cominciata prima, pensiamo ad architetti come Terragni, Muzio, Portaluppi, Gio Ponti, ecc) ha dato a Milano un’impronta, un aspetto specifico, una originale interpretazione del moderno, che si è poi espressa anche in altre forme, non ultima quella del Fumetto: non è un caso che a Milano siano nati molti dei fumetti italiani più importanti e belli dell’ultimo secolo. Questi grandi artisti hanno dato alla città (e al sottoscritto) una Educazione al Moderno: gli hanno dato insomma, la sua meravigliosa bruttezza!

Ringraziamo Paolo Bacilieri per la sua disponibilità e per le sue belle e interessanti risposte.

Intervista realizzata via mail nel mese di ottobre 2018

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