Il realismo magico della provincia: intervista a Pastoraccia

Il realismo magico della provincia: intervista a Pastoraccia

A Lucca Comics and Games 2022 abbiamo intervistato Pastoraccia, autore di "Quasi nessuno ha riso ad alta voce".

quasi-nessuno-ha-riso-ad-alta-voce-copertina-bassa-1Durante Lucca Comics 2022 abbiamo fatto alcune domande ad Alessandro Pastore, in arte Pastoraccia riguardo il suo ultimo lavoro, Quasi nessuno ha riso ad alta voce (Canicola 2022), un noir metafisico ambientato nella pianura attorno al Delta del Po. Ci ha parlato di come nasce il suo fumetto, di nostalgia, di traumi rimossi, di paesaggi che sembrano infiniti, di scultura e di realismo magico.

Buongiorno Pastoraccia e grazie per questa intervista. Quasi nessuno ha riso ad alta voce è il tuo primo fumetto di ampio respiro. Una sorta di giallo che si apre con la notizia data al protagonista della morte di sua sorella. Questi però sembra ignorare completamente di averla mai avuta. Perché questa storia?
La storia nasce da un aneddoto familiare: ho un fratello maggiore e tra la mia nascita e la sua, nostra madre ha avuto un aborto spontaneo. Da lì ho cominciato a immaginare chi sarebbe stata quella persona se fosse esistita. La storia si muove da questa suggestione ma va in tutta un’altra direzione. L’aneddoto famigliare mi ha permesso di sviluppare il personaggio di Matilde. Ciò che viene mostrato di lei non sono momenti di crescita personale, anzi, viene sempre bloccata, messa in disparte e allontanata dagli affetti. C’è un punto della storia dove lei, alla notizia che sarebbe andata a vivere in collegio, si chiede: “Ma potrò ancora vedere i miei amici?” e il medico le risponde: “Ne troverai di nuovi”. È un corpo che cerca di crearsi un’identità.

8-2La storia si svolge nelle zone attorno al Delta del Po, in un imprecisato futuro. Per descrivere questo ambiente hai usato un tratto molto dettagliato che però nel disegnare certi paesaggi e certi personaggi riesce ad essere surreale. Che lavoro hai fatto sulla resa grafica della storia?
In realtà quando ho iniziato a disegnare il fumetto era in acrilico, completamente a colori con un approccio visivo molto barocco. Risultava pesante e con molti livelli da decifrare. Quando avevo iniziato a disegnare stavo ancora finendo la storia. Quindi a un certo punto mi sono dovuto fermare nella parte del disegno per concentrarmi sulla chiusura della storia: nel momento in cui sono tornato a disegnare era passato del tempo, mi ero allontanato dai disegni, avevo realizzato che in quella forma risultava visivamente difficile da digerire.  Il fumetto nasce come tesi di discussione accademica, ed ero a un punto dove i tempi erano stretti. Mi sono ritrovato a un bivio: o continuavo così, ma non mi bastava il tempo e comunque non mi sembrava che funzionasse, o cambiavo totalmente. Mi sono preso un po’ di tempo per confrontarmi anche con la persona che mi seguiva e alla fine ho preso la strada del bianco e nero. Attraverso questo passaggio sono arrivato all’atmosfera che mi soddisfaceva davvero.
Sul discorso lagunare, la scelta non è dovuta a una particolare passione per la provincia o dalla volontà di muovere una critica a quell’ambiente. Cercavo un set per quella storia, come con il cinema. Per me era il luogo perfetto per quello che volevo raccontare: restituiva quella dimensione di sospensione che cercavo, lontano dai grandi centri urbani. Mi piace sempre raccontare che in realtà quei luoghi li ho attraversati solo un paio di volte: la mia visione è un po’ come quella di Salgari, che scriveva di luoghi lontani ed esotici senza uscire di “casa”. Era una dimensione quasi tropicale per me: immaginavo qualcosa che non avevo mai visto, ma che potevo osservare da foto, film, dai documentari di Gianni Celati, dal progetto insieme a Luigi Ghirri. Era il luogo perfetto per creare quella dimensione di tensione e di allontanamento dalla civiltà.

quasi-nessuno-ha-riso-ad-alta-voce-3-754x1024Sembra che Ines, la vicina di casa di Stefano, svolga un ruolo particolare per il protagonista, pur non essendo direttamente coinvolta nella storia della sorella. È un personaggio che nasconde un mistero ed è anche quello che, per citare il titolo, ride ad alta voce. Che ruolo ha Ines nella storia?
Per Stefano, Ines è una guida, è l’unica persona a cui si appoggia e con cui si confida. Si tratta di una guida bizzarra, non regolare, potremmo dire che ha dei lati oscuri. Confida a Stefano che nelle porcellane che tiene in casa ci sono chiusi degli animali veri e gli consiglia di valutare quella strada anche per il corpo della sorella morta. Poi c’è Bruno, il cane di Ines, che fa da spalla al personaggio grottesco quale è la padrona. Anche la storia della morte di suo marito è avvolta dal mistero. Però alla fine è anche una persona pacata, più aperta e meno ambigua di altri personaggi della storia. Ad esempio, Gurz, l’amico di Stefano, ha una doppia vita, custodisce delle informazioni che non riesce a rivelare, anche a causa della figura genitoriale che lo limita, lo costringe. Per questo possiede un alter ego che lo rende una persona più libera.

Nella storia si consuma anche un contrasto tra mondo femminile e maschile, tra voglia di affrontare le proprie emozioni (e in particolare la propria sessualità) e repressione di queste. Infatti, Stefano appare sempre freddo, in difficoltà nel rapportarsi sia con Ines che con Matilde. Cosa ci puoi dire di questo aspetto? Che femminilità esprimono Matilde e Ines?
Matilde, la sorella di Stefano, in realtà è il personaggio più regolare della storia. Da adolescente esplora la sessualità. Lei va in forte contrasto con i genitori in quanto i loro comportamenti, caratteri, mentalità, sono opposti alla sua, sono persone moralmente più chiuse, bigotte. Emerge una certa società che ha scelto di sottostare a delle regole che poi difende e sostiene. Sono regole morali, che non hanno necessariamente a che vedere con la religione. E per persone come loro avere una figlia come Matilde è motivo di difficoltà e contrasto, la vedono lontana dal loro modo di pensare e di vivere, quindi sentono il bisogno di “rieducarla”. E nel momento in cui questa strategia non funziona, la forbice aumenta e si arriva alla repulsione fino a disconoscerla e a cedere la potestà genitoriale a un tutore.
L’ambiguità di Stefano rispetto al ricordarsi della sorella nasce da questo: potrebbe averne rimosso il ricordo semplicemente perché nella sua quotidianità quella persona non è stata più presente né nominata. Non gli sono rimaste nemmeno documentazioni visive cui attaccarsi. Magari possiede ancora una memoria fisica di quella persona, di una sua immagine, ma non riesce più a fare il collegamento, a ri-conoscerla come sua sorella. Solo nel momento in cui Stefano aggiunge la parola “sorella” a quel corpo, lì all’obitorio, esso assume tutto un altro significato. Poi c’è Gurz, una figura che si potrebbe considerare come il mezzo di questi due estremi, la repressione e l’espressione. O meglio, diciamo che li condensa in una sola persona. Gurz e Matilde sono personaggi molto affini e si crea un legame profondo tra loro. Dopo le esperienze vissute con Matilde, Gurz non riesce più a essere sé stesso, abbandona il suo alter ego, quella vita è finita. Ma dall’altra parte proprio l’avvicinamento a Matilde ha concretizzato quell’aspetto lì, lo ha cristallizzato.

7-2Nel tuo fumetto è centrale la questione del tempo: questo appare sospeso, immobile, un’impressione data soprattutto dalle ambientazioni surreali e dai paesaggi. È anche vero, però, che il protagonista deve fare i conti con un passato rimosso e c’è un riferimento esplicito all’anemoia, la nostalgia per un tempo mai vissuto (che potrebbe essere il futuro?). In che modo si intrecciano presente, futuro e passato nel tuo fumetto?
È proprio la sospensione al centro: in questa storia ci sono delle coordinate temporali che danno un ritmo, ma si tratta di un codice, di una presenza. Sono solo eventi che si succedono. In realtà nella storia non c’è quella temporalità: al tempo della storia corrisponde la sospensione, non c’è necessità di collocarla in una precisa dimensione storica. Tra l’altro all’inizio avevo messo una data, quando trasmettono in televisione il conto alla rovescia di Capodanno: era il 2018. Poi ho deciso di toglierla, ho capito che non era importante. Quegli eventi potevano accadere nel 2018 o nel 1960, periodo da cui peraltro vengono alcuni riferimenti estetici che ho inserito nel fumetto, come i vestiti. Potevano anche essere gli anni ’20, un altro periodo, pittorico nello specifico, a cui mi sono appassionato, ma è nella letteratura del realismo magico che ho trovato la chiave temporale. In Massimo Bontempelli in primis, ma anche nel romanzo Elia Portolu di Grazia Deledda. Lei non è annoverata tra le scrittrici del realismo magico, deriva più dal verismo, ma nei suoi racconti c’è sempre quella dimensione legata alla sua terra natia, la Sardegna, a cui aggiunge quell’elemento bontempelliano, qualcosa di assurdo ed estraneo alla situazione che ti fa rimbalzare fuori dal tempo. Alla fine della storia uno può trovarsi a terra e chiedersi «Cosa è successo?». In Quasi nessuno ha riso ad alta voce ci si può chiedere «Chi l’ha ucciso questo personaggio?», ma nella storia non è importante. È l’insieme dei personaggi a essere responsabile della morte di Matilde e in questo modo ho allargato la critica, l’ho fatta diventare sociale. Nella prima stesura c’era un ipotetico assassino, poi ho eliminato anche quello.
Poi rispetto alla dimensione temporale, c’è un indizio scritto sulla scrivania di Stefano: anemoia. Questa per me è una passione, un’attitudine. Spulcio decine di mercatini, alla ricerca di foto in bianco e nero. Tra l’altro adesso cominciano a comparire anche quelle a colori. Vedendole mi chiedo chi sono quelle persone, cosa hanno fatto: sono tutti spunti per una (o più) storie. Come dicevo, l’anemoia si appoggia anche a cose che non sono state vissute fisicamente. In Italia, ma in generale in internet, si trova poca documentazione su questo tema. Infatti in fase di stesura della tesi teorica avevo poco materiale saggistico e teorico su cui appoggiarmi, ho sfruttato principalmente materiale visivo.

quasi-nessuno-ha-riso-ad-alta-voce-4In effetti oggi si può riconoscere molta nostalgia per gli anni ’70 e ’80, lo si vede anche in molti prodotti culturali, dalla moda al cinema, e anche tra i giovani, nonostante siano epoche che non hanno vissuto.
Sì, credo sia qualcosa che è esploso in particolare con l’alta moda, quando è diventato un linguaggio di massa che ha cominciato a recuperare e rielaborare cose già esistite. Il decennio scorso era molto anni ’80, adesso si sta tornando agli anni ’90. E comunque non dimentichiamo che a noi arriva sempre tutto in differita, quello che viviamo nella quotidianità non è quello che passa nell’alta moda. Penso che il recupero, una pratica decisamente postmoderna, oggi abbia a disposizione molti più linguaggi e molti più media: questo permette di fare nuove ibridazioni. E in un contesto del genere, il concetto di tempo lo perdi.
Per questo forse l’anemoia è la malinconia contemporanea. Credo abbia anche a che fare con il bombardamento mediatico a cui siamo sottoposti: il telefono, i social, sono un momento di evasione, ma in realtà stai ancora assumendo informazioni. Anche il tempo si vive in modo diverso. Per esempio, la mia adolescenza è stata negli anni ’90 e ci si trovava al parco, era un appuntamento fisso, e se dovevi aspettare, aspettavi; i cellulari sarebbero arrivati di lì a poco modificando nel bene e nel male alcuni comportamenti e azioni.

Sì, sembra che la distanza di ciò che guardiamo con nostalgia continui a diminuire. Di questo passo finiremo con l’essere nostalgici di tempi appena trascorsi.
Il tempo è connesso anche al ruolo della scultura: ci sono molte statue e manichini nel tuo fumetto, disegnati facendo riferimento all’arte di De Chirico e Morandi. È una scelta particolare: la scultura oggi è una forma d’arte considerata superata, legata al passato, qualcosa di cui fruire nei musei. Per questo è anche una forma d’arte eterna, che contribuisce a quell’aura di tempo sospeso che permea il tuo fumetto. Che valore ha la scultura in Quasi nessuno ha riso ad alta voce?

Da un punto di vista oggettuale la statua è statica e questo ha dato un contributo all’atmosfera del fumetto. Ho comunque inserito la dimensione scultorea in una specie di versione d’elite, se vogliamo chiamarla così, perché si tratta di porcellane, qualcosa di lussuoso. Con anche delle difficoltà logistiche per chi le possiede, perché sono sculture di animali e oggetti 1:1, di dimensioni naturali. La scelta del materiale sta anche nella fragilità dell’oggetto: raccontano la propria presenza nello spazio unita alla loro fragilità. Ciò che trovo curioso della porcellana è che il risultato finale genera uno strato vetrificato che ne rende la lucentezza: è una trasparenza, un “vetro”, sotto cui si nasconde l’identità. È così che nasce il gioco della tigre vera dentro la porcellana. È come con l’occhio, che dice la verità di una persona. Si può anche indossare una maschera, elemento che si trova in più di una situazione nella storia, ma l’occhio è visibile. Poi ci sono le pose da manichini, teatrali, che accentuano i caratteri e le inettitudini dei personaggi, il loro recitare. L’occhio però è al centro di tutto, è come uno specchio dell’anima, che mostra anche le fragilità delle persone.

Il tuo fumetto riesce a catturare (anche citandolo esplicitamente) un certo modo di raccontare la zona del Delta del Po: risuonano i racconti di Gianni Celati, di Daniele Benati e le fotografie di Luigi Ghirri. Che rapporto c’è tra il tuo modo di fare fumetto e questi artisti?
C’è un legame forte, sono dei punti di ancoraggio, d’appoggio e di studio. Sono stati dei maestri per me, sia in termini di scrittura, che nel modo di sviluppare una storia. Aggiungo che in fase di stesura della storia avevo tre testi “sacri” a fianco a me sul tavolo: La notte dell’alligatore di LoustalL’attrazione di Lucas HarariMickey Mickey di Mezzo e Pirus. Qui e là vengono citati nel mio lavoro. Poi, si sarà notato, mi piace molto inserire citazioni nel fumetto: per me è una forma di riconoscimento rispetto a quello che mi hanno dato e mi daranno autrici e autori.

6-2Negli ultimi anni anche altre fumettiste e fumettisti hanno ambientato le loro storie nelle province attorno al Delta del Po. Penso a Eliana Albertini, Miguel Vila, Martina Sarritzu. Cosa c’è in questi luoghi che va raccontato? E il fumetto come riesce a raccontarlo?
Non saprei dirti cosa ci unisce, tra i fumettisti e le fumettiste che hai citato, se non il termine “provincia”. Eliana Albertini, ad esempio, è nata da quelle parti, c’è una conoscenza fisica di quei luoghi. Se si entra nello specifico credo colpisca il fatto che la bassa pianura padana sia un paesaggio piatto e infinito. Per intenderci, in certi momenti spostandoti sulle colline di Bologna, con il cielo terso puoi vedere i colli Euganei, anche il mare, puoi notare dei confini, mentre da giù hai la sensazione che i luoghi siano molto distanti gli uni dagli altri, soprattutto nelle zone del Delta del Po. Lì ogni paese è come un piccolo mondo. E in mezzo, tra di loro, c’è il vuoto, uno spazio dove poter agire. La montagna, ad esempio, mi dà altre sensazioni, spazialmente sono luoghi più chiusi, più stretti, la luce del sole la vivi in maniera diversa. Io sono originario della costiera amalfitana, un luogo a picco sul mare, anche lì avevo davanti l’infinito ma era molto diverso da quello della pianura. Ogni luogo ha la sua temperatura, il suo tempo, il suo colore, la sua società. Se poi in tanti raccontano la provincia, forse c’è voglia di raccontare quegli spazi (e non tanto quei luoghi). E lo si può fare in vari modi, da quello critico e documentativo piuttosto che narrativo e immaginifico.

Ultima domanda di rito: stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Ho solo qualche traccia, delle parole sparse. Mi piacerebbe lavorare a una storia che abbia il taglio delle tragedie shakespeariane. Qualcosa di molto più drammatico rispetto a quello cui ho lavorato per Quasi nessuno ha riso ad alta voce. Sono testi in cui c’è una conflittualità molto forte, anche per il lettore, che fatica ad entrare in sintonia coi personaggi. Questi ti buttano fuori dalla scena quando cerchi di entrarci, ti tagliano fuori, ti sfidano. Sto rileggendo Gente nel tempo di Bontempelli e nell’incipit si racconta di una signora anziana, appartenente a una famiglia borghese di paese, che sul letto di morte, lucidissima, davanti ai parenti gli dice: «Nessuno di voi morirà vecchio». Me la sono appuntata, potrebbe essere l’inizio della mia storia, anche se non so ancora dove andrà. E poi rileggerò Shakespeare, poi magari anche in quel caso finirò da un’altra parte.

Intervista condotta dal vivo l’1 novembre a Lucca Comics and Games 2022

Pastoraccia

fotoPastoraccia nato a Bologna nel 1984, è visual designer e fumettista. Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Cofondatore del marchio di gadget e prodotti illustrati Pastoraccia, dal 2020 pubblica a episodi sulla rivista «Nuovi Argomenti» (Mondadori) la storia ParadaQuasi nessuno ha riso ad alta voce, pubblicato da Canicola, è il suo primo fumetto di ampio respiro

 

 

 

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