Silvia Rocchi è un’autrice ecclettica, forte di un tratto naïf ed evocativo. In occasione dell’edizione 2019 di Lucca Comics and Games, Canicola ha dato alle stampe il suo Susi corre.
Inserito nella collana di grande formato Sudaca e nel progetto “Dalla parte delle bambine” indirizzato promuovere tra i più giovani il concetto di parità di genere, il volume racconta un breve spaccato di vita dei protagonisti, durante il quale tanti fili in sospeso, di cui non conosciamo il bandolo e la fine, giungono al pettine come nodi. Abbiamo incontrato Silvia Rocchi e ci siamo fatti raccontare la genesi di questo volume e le dinamiche della sua creatività.
Susi corre è un libro complesso nella sua semplicità. Il primo elemento che emerge però è una tua evoluzione del segno e dello stile narrativo. È un fenomeno di cui sei consapevole o è qualcosa di spontaneo?
In realtà questa evoluzione è abbastanza consapevole. Io ho iniziato a lavorare ai miei primi fumetti venendo da un mondo più legato alla pittura, quindi immagini molto grandi. Cercavo di trasporre quello che facevo in grandi dimensioni nel piccolo, anche con tecniche un po’ inusuali rispetto al fumetto classico. Ho fatto un percorso a ritroso, per andare ad affinare sempre di più la composizione classica, cercando di tenere sempre presente e viva quell’attenzione alla sperimentazione della tecnica. Il momento in cui ho sviluppato questa riflessione in maniera più approfondita è stato quando ho lavorato a Brucia, uscito per Rizzoli Lizard nel 2017. In quel momento mi sono dedicata anima e corpo a cercare di fare una griglia che fosse sempre a 4, o di più. Successivamente, come in un percorso a ritroso verso la mia formazione pittorica ed legata all’illustrazione, ho cercato la casa editrice per eccellenza che si occupa di sperimentazione tecnica e narrativa, Canicola, che ha nel suo catalogo una collana di grande formato, Sudaca, e ho cercato di ritrovare una via di mezzo tra i due mondi a cui faccio riferimento, quello del fumetto e quello della pittura.
Come definiresti il tuo tratto?
Sicuramente pastoso! La tecnica è quella del pastello a olio, qualcosa di denso che si amalgama con il resto del colore. Il tratto è sempre riflessivo, perché cerco di pensare a tutto, ma anche istintivo e gestuale, per quanto mi riesce, al fine di dargli una certa freschezza. Con la matita e la grafite cerco di definire i dettagli, per esempio delle varie figure umane. Sostanzialmente mi creo una base gestuale e poi rifletto di più con la grafite.
È una tecnica per sottrazione? Non solo per la mancanza dell’uso della china. L’uso in generale del nero, che definisce spesso i confini del tratto, è marginale al dominio dei colori. Non si tratta solo di una scelta grafica, ma anche narrativa, giusto? In questa tua opera ho letto un forte desiderio di narrare per sottrazione, suggerendo più che raccontando.
È giusto, l’uso della grafite è volutamente marginale. I colori, le luci, il momento prossimo al tramonto permettono ai colori di farsi protagonisti anch’essi della storia. La forza del colore definisce l’atmosfera. Infatti l’ambientazione è fondamentale. La grafite entra nel momento in cui mi serve il dettaglio di una certa espressione. I tre protagonisti della vicenda, cioè la ragazza gentile, Susi e il nonno, fluttuano. Mi interessava definire dei personaggi che si muovono all’interno della storia alla ricerca di qualcosa che è indefinito, come sono i sentimenti, come sono i confini dei colori.
Tornando alla domanda iniziale, si tratta di una virata a 180° rispetto a Brucia, dove tutto è molto preciso e definito. Queste due opere, sotto diversi punti di vista, sono davvero ai due lati estremi di una scala. Sembra quasi che le due opere siano state concepite dallo stesso cervello, ma dai due emisferi alternativamente. Sono state concepite in maniera diametralmente opposta. Mi piace pensare che ogni nuovo libro che propongo sia una sfida nuova in tutto e per tutto. Che sia il formato, la lunghezza (questa è la prima storia breve che realizzo, mi sono sempre confrontata con una foliazione di 100/120 pagine). Mi piace pormi nuove sfide, provare andare sempre po’ più in là per vedere fin dove riesco ad arrivare e provare a fare qualcosa di diverso ogni volta.
Tu usi il colore quasi come se fosse un confine per raccontare un contesto. Ci sono nella tua opera degli infiniti colorati che sfumano verso l’incertezza. Cosa rappresentano?
In realtà cerco sempre un equilibrio. In Susi corre, dato che il pastello è molto prepotente, cioè il colore è molto forte e molto acceso, cerco anche di controbilanciare… come si fa nella musica, ad esempio, con i vuoti. Non c’è bisogno di disegnare per forza nero il nero, come l’asfalto su cui sono poggiati i personaggi, perché sappiamo che il concetto è quello.
Susi corre è una “piccola” storia. Non è un’epopea, non è un racconto che chiude un cerchio. È un affacciarsi su uno scorcio della vita dei protagonisti. Quanto è importante e difficile raccontare queste “piccole” storie?
Secondo è molto importante. Raccontando una piccola storia, secondo la percezione che nei hai, puoi immaginare quello che potrebbe essere tutta la grandezza del resto delle vite dei protagonisti. È una fettina di quotidiano. Quello che spero io, come autrice, è che ognuno di questi personaggi dia al lettore una suggestione tale da farti rimanere in testa delle domande tipo “questo cosa ci fa qua? Ma perché ha fatto ciò? Non ho capito bene questa cosa”… Mi piace raccontare questo tipo di storie dove l’elemento principale della narrazione è l’avvenimento e la percezione dello stesso da diversi punto di vista.
Ma per raccontare questa piccola frazione delle vite dei personaggi, tu ne hai scritto, per te, l’intera esistenza?
Sì, ho fatto un lunghissimo lavoro di scrittura. È la prima volta che scrivo così tanto prima di arrivare allo storyboard. Di ognuno di questi personaggi io ne conosco vita, morte e miracoli. Potrei scriverci altre 10 storie. Mi è sembrato un lavoro di “scavo” molto importante perché mi ha reso possibile avere chiaro cosa potrebbe fare o non fare ognuno dei protagonisti, cosa l’ha portato alle loro scelte che si vedono nel racconto.
Come autrice ti resta una certa amarezza sapendo che queste storie rimarranno solo dentro di te? O ti sembra di possedere qualcosa di esclusivo?
Qualcosa di esclusivo. I personaggi sono nati e vivono in queste ore del tardo pomeriggio in cui è ambientata la storia. Tutto quello ch’è dietro lo so io, ma si tratta di un esercizio così tanto importante da diventare un qualcosa di prezioso che io custodisco.
La storia che hai raccontato in questo volume targato Canicola è così assurda da poter essere vera, cioè fa parte di quelle dinamiche non comuni ma che di fatto si verificano. Ti piace questo tipo di storia?
Mi piacciono tutte quelle storie, strane, che sento raccontare oggi o che sentivo raccontare da piccola in famiglia. Sono piccole avventure quotidiane che ti portano a pensare che è proprio vero che la realtà supera sempre la fantasia. Il centro di questo racconto l’abbiamo quando il nonno decide di spogliarsi al centro della piazza. Sono stata a lungo indecisa se rappresentarlo nella sua nudità o meno. Alla fine ho deciso di sì perché queste cose succedono ed è giusto anche raccontarle. È una storia non vera, ma reale.
Come è nato questo titolo, Susi Corre?
Anche questo è stato un bello studio. Abbiamo tirato fuori almeno 150 titoli. Forse l’abbiamo scelto perché di fatto Susi corre, scappa, verso la sua autodeterminazione che avviene attraverso il piacere al ragazzo che a sua volta le piace. È la sua corsa. Da qui il titolo. C’è anche un riferimento cinematografico a Lola corre, che un film che ho amato molto.
Il rapporto tra disegno e didascalie è asincrono. I disegni sono ambientati nel presente, le didascalie coniugate al passato. Perché?
È un nodo narrativo a cui penso spessissimo. Mi piacerebbe riuscire un giorno a scrivere una storia di ricordi e rimandi. In Susi corre la protagonista ha 16 anni quando racconta la storia e 14 quando la vive. Posso mettere così in evidenza la percezione che la protagonista ha di sé stessa. Sia quella attuale che quella di allora. Tra i 14 e i 16 anni, per un’adolescente, passa un’infinità di tempo. Lei stessa si racconta come una bambina che andava in cerca del suo obiettivo. Mi piaceva che ci fosse questo sfasamento, sia nella storia che nella percezione del lettore.
Questa storia si inserisce nel progetto di Canicola “Dalla parte delle bambine”. Di cosa si tratta?
È un progetto nato nel 2018, portato avanti con diverse pubblicazioni, tutte rivolte a target d’età differenti. Io mio si inserisce nel target d’età per adolescenti. È un progetto volto alla sensibilizzazione verso la parità di genere e non si ferma solo con la pubblicazione dei libri, ma va anche oltre con i laboratori didattici a tema che tengono presso le scuole e con altre iniziative.
Ogni autore e autrice immagina un determinato tipo di lettore, soprattutto chi come te racconta sempre una piccola parte di sé stessa nelle proprie storie. Chi è il tipo di pubblico che pensi leggerà questo volume e qual è il tipo di pubblico che pensi dovrebbe leggerlo?
Per tantissimo tempo mi sono detta che il mio target di riferimento sono le signore tra i 50 e i 65 anni (ride, ndr).
Davvero?
Giuro, sono il mio zoccolo duro. Sono, staticamente, coloro che leggono di più. In realtà spero con questo libro spero di raggiungere un pubblico più giovane. Quando ho esordito con il libro su Alda Merini, ho fatto dei laboratori con dei ragazzi e sono uscite fuori cosa assurde. I ragazzi stessi mi chiedevano “Ma perché disegni così male? Cos’è che ti porta a sfigurare così il volto dei protagonisti?”. Gli adolescenti, anche i ragazzi delle medie o elementari sono delle spugne, assorbono tutto e collaborando con loro escono fuori cose bellissime.
Sicuramente qualcuno ha già definito il tuo disegno naïf. Perché hai scelto questo tipo di sintesi?
Io sono appassionata di disegno e la mia formazione riguarda quel mondo lì. Disegno da quando ero piccola e i miei studi sono tutti riferiti al mono artistico. Quindi, ovviamente, quando “sfiguro” un volto, lo faccio con consapevolezza. Quando tratteggio un paesaggio, con poche linee, so dell’efficacia che mi porto dietro. Sono consapevole di quello che faccio. Mi piace pensare che chi guarda i miei disegni, soprattutto i ragazzi, possa pensare a un modo altro di vedere. Non c’è bisogno per forza di indugiare su tutto con la matita. La sperimentazione sul disegno è un po’ il mio obiettivo di vita. Vorrei portare nelle mie opere sempre qualcosa di diverso, qualcosa di nuovo.
Verso cosa ti stai proiettando in questo momento?
La trasposizione di un articolo di Rodari, di cui sono coautrice, con Ciro Saltarelli. Farà parte della collana di Einuadi ragazzi, ibridi tra illustrazione e fumetto. Quindi l’obiettivo è sfondare la gabbia, e poi rientrarci. Nasce tutto da un articolo di Rodari del ’52 ritrovato da mio coautore, ricercatore storico, sull’Unità. Si tratta di un primo Rodari reporter e non ancora scrittore, che racconta la storia dello sciopero di alcuni minatori. Io con Brucia mi ero già un po’ occupata del mondo dei lavoratori e degli operai e quindi come se avessi fatto un giro. Le tematiche che mi interessano ritornano sempre.
Intervista raccolta in occasione di Lucca Comics and Games 2019.
Silvia Rocchi
Silvia Rocchi è nata a Pisa nel 1986. Dal 2012 ha pubblicato fumetti con BeccoGiallo, Rizzoli Lizard, Eris Edizioni, Feltrinelli Comics. Con Brucia, il suo graphic novel uscito per Rizzoli Lizard nel 2017, vince il Premio Boscarato 2018 come miglior autrice unica. Ha collaborato come illustratrice con Goethe Institut, Libera, Lo Straniero, Vice, Linus, ViaggieMiraggi. Vive a Bologna. Il suo sito ufficiale è www.silviarocchi.com.
Susi Corre (Silvia Rocchi)