Cronache Tedesche: alla scoperta di Aisha Franz

Cronache Tedesche: alla scoperta di Aisha Franz

Alieni e adolescenti, mondi del futuro e precariato dei sentimenti, lavoro e vita sociale: temi e luoghi di una delle principali autrici tedesche contemporanee.

I mondi e i personaggi di Aisha Franz: dall’adolescenza al mondo del lavoro contemporaneo

AlienSiamo nel 2011 e sugli scaffali delle fumetterie tedesche appare un nuovo volume targato Reprodukt: Alien, tesi di laurea dell’esordiente Aisha Franz. Una storia tutta al femminile, con tre donne in differenti fasi della loro vita (due sorelle, una preadolescente e una ragazza poco più matura, e la loro madre) che affrontano, ognuna a modo proprio, vari aspetti della femminilità, dalla sessualità al ruolo della donna nella nostra società, alla crescita e alla percezione del proprio corpo, e dello spazio che esso occupa. Una storia delicata e minimale, dalle atmosfere sospese e quasi fiabesche, in cui le eco spielberghiane rappresentati dall’alieno del titolo – testimone muto della maturazione della protagonista bambina – si incontrano con un gusto weird da underground americano e un’iconografia nordeuropea, il tutto impastato da una impostazione della tavole geometrica e chiara e uno stile, a matita e toni di grigio, ancora debitore di autrici quali Anke Feuchtenberger, ma pur sempre affascinante e adatto al tipo di storia raccontata. In pochi mesi Alien diventa uno dei casi editoriali del fumetto tedesco, con traduzioni in Francia, Spagna e Italia, dove trova casa presso una casa editrice, Canicola, da sempre attenta ai nuovi fenomeni del mercato germanofono. E insieme al fumetto, Aisha Franz diventa il nuovo nome del fumetto teutonico, quello da tenere d’occhio a ogni nuova opera. E ogni opera di Franz è un passo in avanti, una sperimentazione alla ricerca di un nuovo stile, o di nuove tematiche, sia attraverso racconti brevi (su antologie come Orang, oppure autoprodotti) che in libri più lunghi. 

BrigitteNel 2012 Reprodukt pubblica in volume (dopo l’iniziale pubblicazione a episodi autoprodotti) Brigitte und der Perlenrot, una storia di spionaggio con protagonista un cane femmina: pur non riuscendo a bilanciare e fondere in maniera convincente l’elemento spy con la riflessione sulla figura femminile, la storia rappresenta il tentativo di provare un altro ritmo narrativo e di esplorare territori inaspettati. Il risultato è un volume a tratti molto divertente e coinvolgente, con una protagonista non granitica, ma fragile e sfaccettata, con cui è facile identificarsi, e un turbinio di personaggi che giocano con gli stereotipi di genere. 

Quattro anni dopo è il turno di Shit is real, storia che indaga la fragilità interiori e interpersonali di una generazione, scegliendo come ambientazione un mondo futuro che oscilla tra oscure atmosfere post-apocalittiche, tecnologia ultramoderna, sbronze e allucinazioni sotto le luci glitterate di feste molto fashion. Sebbene sviluppata su un numero di pagine forse eccessive per ciò che viene effettivamente raccontato, l’opera di Franz riesce a giocare con i generi, spiazzando sempre il lettore con situazioni paradossalmente umane con le quali sconquassa la vita di Selma, la protagonista che si trova prima lasciata e costretta a trasferirsi, poi perde pian piano la ShitIsRealpropria identità, identificandosi sempre di più nella vita immaginata della sua vicina (di cui prende il posto dopo aver scoperto una apertura nel muro che la collega al suo appartamento) e poi infine torna al punto di partenza e ricostruisce la propria esistenza. Il senso di insicurezza, solitudine e di ricerca di un proprio posto nel mondo vengono materializzati da un disegno dal tratto minimale, bidimensionale e geometrico, fatto di linee curve o ondulate, quasi liquide, che confondono le transizioni tra stati di veglia e di sogno, di lucidità e di allucinazione, impedendo alla protagonista (e al lettore) di capire cosa sia reale e cosa no.

La ricerca stilistica e narrativa di Shit is real, talmente sovrabbondante in alcuni frangenti da annacquare il minimalismo stilistico in passaggi narrativi a vuoto, trova il suo compimento e la sua sintesi in Work-Life-Balance, lavoro con cui Aisha Franz raggiunge la maturità artistica e il grande riconoscimento critico: non solo la candidatura al Fauve D’Or di Angouleme, ma anche la vittoria del Max und Moritz Preis al Salone Internazionale di Erlangen, il più importante riconoscimento del fumetto tedesco. WorkLifeBalanceL’introduzione di un colore acceso, pieno e acido, insieme alla cristallizzazione dello stile e del segno, permettono a Franz di spingere al massimo la creatività, mescolando quotidianità e lisergia in sequenze divertenti e deliranti, scansionate con un ritmo rapido, spesso con tavole da sei vignette quadrate che aumenta l’effetto comico e il paradosso rappresentato. Con questi strumenti, l’autrice scava con mordace irriverenza ma anche con momenti drammaticamente comici nelle nevrosi della nostra contemporaneità, quella dell’ossessione egocentrica del culto della propria personalità che ci rende alieni agli altri, quella di un mondo del lavoro che spesso si traduce in sfruttamento frustrazione, quella di un capovolgimento di valori e priorità. E le crisi dei personaggi di questa tragicommedia vengono raccolte e monetizzate dalla Dr. Sahrifi, psicologa dallo sgargiante vestito a pois e dagli occhiali opachi che nascondono un totale disinteresse nel prossimo, uno sguardo tutto rivolto a sè stesso e alla propria autostima: una figura che diventa icona di questi tempi incerti e ingarbugliati.

Come si può vedere da questo breve excursus, la carriera artistica è percorsa da temi ricorrenti e una costante reinvenzione del proprio modo di raccontare, caratterizzata da una fervente inventiva e uno sguardo ironico e ficcante sulla nostra realtà. Un’autrice che ha sicuramente ancora tanto da raccontare, e che si è raccontata a noi in questa lunga intervista.

Intervista ad Aisha Franz

Alien-2Ciao Aisha e grazie per il tuo tempo. Il pubblico italiano ti ha conosciuta solo attraverso la tua opera di esordio, Alien, mentre in Germania, in Francia, negli Stati Uniti (dove sei pubblicata da Drawn and Quarterly) sei una fumettista ben nota e affermata. Vorrei partire proprio da questo: nel 2023 un tuo fumetto, Work-Life-Balance (pubblicato in Francia da L’employé du moi) è stato candidato al Fauve D’Or ad Angouleme, mentre nel 2022 ha vinto il premio di miglior fumetto tedesco dell’anno al festival di Erlangen. Come ti sei sentita a ricevere questi riconoscimenti? E’ qualcosa che mette più pressioni o dà più stimoli?
Ci sono più stimoli. Fare fumetti è ancora qualcosa che avviene per lo più in silenzio, si lavora a un progetto per diversi anni ed è una bella sensazione quando il lavoro viene riconosciuto. Ci si mette sempre sotto pressione in ogni caso, ma la pressione di solito viene da te stesso.

Partiamo quindi dall’inizio del percorso che ti ha portata qui: cosa ti ha spinto a fare fumetti e quali sono stati i tuoi primi passi?
Sono entrato in contatto con i fumetti indie solo durante i miei studi universitari. Prima di allora, non avevo un vero e proprio accesso a questi fumetti; da bambina, non ero interessata ai fumetti di supereroi o a cose simili. Grazie alla biblioteca dell’accademia d’arte e al mio professore di allora, Hendrik Dorgathen, sono entrata in contatto con le opere di Chris Ware e Julie Doucet. In seguito, attraverso i festival del fumetto, ho conosciuto anche artisti italiani e finlandesi della cerchia di Canicola e Kuti Kuti, e ho capito che era possibile raccontare una storia in modo completamente diverso, ad esempio, con disegni a matita, puri e grezzi. Ho capito allora che per me era il mezzo ideale per raccontare storie l’inizio disegnavo solo fumetti brevi, sperimentavo un po’, facevo zines. Alien è stato il mio primo fumetto più lungo.

Vieni dal mondo della autroproduzioni, un mondo che almeno in Germania mi sembra più attivo del classico mercato editoriale, per lo meno quando si tratta di fumetti. Cosa ti ha insegnato quell’esperienza?
In primo luogo l’autopubblicazione mi ha introdotto nella scena, così ho potuto incontrare altri artisti, scambiare idee. Avevo un motivo per andare a diversi festival del fumetto e conoscere nuovi artisti, libri ed editori. e conoscere nuovi artisti, libri ed editori.
Ma soprattutto era importante sperimentare e avvicinarsi al disegno dei fumetti.
Trovo che sia un processo importante lavorare su qualcosa, finirlo, scannerizzarlo, editarlo, stamparlo e rilegarlo. modificarlo, stamparlo e rilegarlo e poi rilasciarlo nel mondo. C’è molto amore e dedizione c’è molto amore e dedizione, ma ci sono anche degli errori in ogni prodotto. E il fallimento è importante, fare errori, imparare dagli errori e imparare a convivere con gli errori è una parte importante della crescita.
Solo quando ho completato correttamente un progetto posso passare al successivo. Bisogna liberarsi dalle vecchie idee realizzandole, per poi fare spazio a quelle nuove.

Brigitte1All’epoca avevi scelto di fare una serie autoprodotta Brigitte und der Perlenhort, poi raccolta da Reprodukt nel volume completo nel 2011. Una spy story con tutti gli stilemi tipici del genere ma con al centro una protagonista femminile (con il volto di cane) che si mostra fallibile e fragile, non solo come eroina ma anche come donna. Come e’ nata quella storia e come mai avevi scelto proprio questo genere?
All’epoca avevo soprattutto voglia di lavorare su qualcosa che mi piacesse. Dopo Alien, non avevo alcun piano su cosa fare e Brigitte era più che altro un passatempo. Avevo bisogno di nuovi fumetti per i prossimi festival del fumetto e così ho iniziato. Mi piace il genere in generale, mi piace James Bond e tutti i tipi di storie criminali, quindi ho pensato a una reinterpretazione in chiave fumettistica.
La storia e il personaggio stesso di Brigitte, come tutte le mie storie, si sono sviluppati gradualmente. Spesso, nel corso del processo, mi rendo conto che un personaggio diventa più complesso e la storia assume un carattere diverso da quello che avevo pensato all’inizio. È questo che trovo più divertente nel disegnare fumetti, la sorpresa.

Alien, pubblicato nel 2011, è il tuo fumetto d’esordio e resta forse il tuo volume piu’ conosciuto all’estero (ad esempio, e’ l’unico pubblicato in Italia, da Canicola, nel 2012 , e vincitore nel 2013 di un premio al Treviso Comic Book Festival) . Cosa ti ricordi della genesi di questo lavoro, delle sensazioni che avevi quando lo stavi realizzando? Ho avuto modo di rileggerlo da poco e devo dire che ancora oggi resta una riflessione molto potente ed evocativa dell’adolescenza, del cambiamento del corpo della donna ma anche del suo ruolo nella societa’ e nella vita privata…
Alien era il progetto finale di tesi della scuola d’arte. L’unica volta nella mia carriera che ho potuto occuparmi completamente ed esclusivamente di un unico soggetto. Sono stata in grado di immergermi completamente in questo mondo, tutto ciò che pensavo, vedevo o mi interessava nella vita di tutti i giorni, lo vedevo attraverso il filtro del mio lavoro su Alien e in un certo senso tutto quello che vivevo o avevo vissuto vi è confluito. Sono riuscita a dare alla storia lo spazio per svolgersi, così a poco a poco sono confluite le mie riflessioni personali. All’inizio non avevo intenzione di disegnare una storia sulla crescita. Questo modo di lavorare e’ diventato un processo nel mio lavoro: prima un personaggio o l’inizio di una storia devono solleticare certi sentimenti, e poi posso riuscire a rappresentarli, a raccontare le mie esperienze e le mie cose intime.

ShitIsReal_1In Shit is Real la componente fantascientifica prende il sopravvento, ma il racconto resta molto ancorato alla realtà: si parla dell’ossessione per il successo, della spinta all’emulazione causata da questa ricerca, dei rapporti tra uomo e donna, di amicizia. E anche lo stile si discosta abbastanza dai lavori precedenti. In un certo senso, mi è sembrata un’opera di forte cambiamento per te. Come l’hai sviluppata e come hai lavorato su queste tematiche?
Shit is real è stato creato in modo piuttosto accidentale nel corso di un periodo di tempo molto lungo. Ci ho lavorato a spizzichi e bocconi, l’ho lasciato e poi a un certo punto ho continuato. Durante questo periodo, ovviamente, sono cambiata molto, ho visto cose nuove, imparato cose nuove. In qualche modo è logico che questo diventi visibile anche nel fumetto che mi accompagna per un periodo così lungo. Non mi attengo mai a uno stile o a un contenuto, sono sempre alla ricerca di cose nuove, di nuovi modi di interpretare e mettere in scena qualcosa.
Credo di confidare nel fatto di poter rimanere in qualche modo fedele a me stessa, ma trovo che sia una sfida eccitante percorrere un po’ una nuova strada con ogni progetto.

E da dove nasce invece questo titolo, che mi sembra già eloquentemente spiegare il percorso della protagonista nel libro?
Nella scena iniziale, Selma, la protagonista, viene improvvisamente abbandonata dal suo fidanzato: deve trasferirsi, portare con sé le sue cose e lui le regala un quadro con la scritta “Shit Is Real”.
Questa scena è realmente accaduta, il quadro è reale e ha segnato l’inizio di una nuova era per me come autrice, ma anche come donna single un po’ disorientata. Volevo catturare questa sensazione con il libro e il titolo è stato quindi deciso abbastanza rapidamente.

Arriviamo infine alla tua opera piu’ recente, Work-Life-Balance. Anche quest’opera è nata inizialmente come serie di brevi capitoli realizzata in risografia (procedura di stampa digitale ad alta velocità su una superficie piana e continua, N.d.R.) con Coloramabooks. Prima di tutto mi piacerebbe chiederti come mai hai scelto inizialmente questo formato.
All’inizio non sapevo se sarebbe diventato un libro. Avevo solo voglia di lavorare a qualcosa di nuovo, nel migliore dei casi senza grandi aspettative, e non facevo una fanzine da molto tempo, per questo ho scelto Colorama, essendo loro specializzati in zines.

In questo fumetto affronti varie questioni molto rilevanti del mondo del lavoro contemporaneo, ma li racconti con una chiave ironica, a tratti grottesca e assurda, e a tratti caustica e quasi crudelmente satirica. Come è nata questa storia e come hai deciso di affrontare queste tematiche con questo tono?
In realtà, l’intenzione iniziale era quella di catturare l’atteggiamento verso la vita della mia generazione nata e cresciuta in città. È diventato subito chiaro che il lavoro e la costruzione dell’identità attraverso il lavoro giocavano un ruolo importante, anche se non era il mio tema centrale. Il sarcasmo è venuto abbastanza naturale: da un lato, credo che viviamo in un mondo in cui non si possono o non si devono più prendere molte cose sul serio, ma soprattutto mi aiuta a non prender troppo sul serio me stessa, come persona e come artista. È un po’ come portare tutti i miei precedenti personaggi dei fumetti (e le tante versioni di me stessa) in terapia e metterli a nudo, lasciarli liberi.

WorkLifeBalance2Nel corso della tua carriera hai evoluto il tuo stile verso una forma sempre piu’ elegante di minimalismo, riducendo linee e forme. Come si e’ svolto questo tuo lavoro di ricerca e di trasformazione?
È cambiato soprattutto grazie al disegno digitale. Nel corso del tempo sono passata sempre più a disegnare sull’iPad. È particolarmente pratico quando sono spesso in viaggio, perché posso lavorare facilmente da qualsiasi luogo e i processi sono molto più veloci perché non devo scansionare e e posso ritoccare rapidamente. Ma lo stile è un po’ un passo indietro per me. Da bambina e adolescente ho imparato a disegnare principalmente dai cartoni animati tradizionali, sia dalla TV che dalle illustrazioni. Più tardi, all’Accademia d’arte, ho cercato di disimparare tutto questo, ho cercato di “disimparare” il disegno e ho sviluppato uno stile artistico. Ora mi sento un po’ come se stessi tornando ai cartoni animati e stessi facendo uso di quello stile. Mi diverto molto a disegnare in questo modo.

Hai dei fumettisti e delle fumettiste di riferimento? Sono cambiate negli ultimi lavori rispetto all’inizio?
Purtroppo ce ne sono troppe diverse perché abbia senso citarne di specifiche in questa sede. Allo stesso tempo, direi che le mie influenze vanno oltre il mezzo e provengono principalmente dal cinema e dalla letteratura.

Negli ultimi due lavori hai anche introdotto il colore. Cosa cambia questo nel tuo modo di lavorare e di pensare la tavola?
L’uso del colore ha cambiato sorprendentemente poco nel mio lavoro. Ma prima ho dovuto osare con un fumetto a colori, perché mi sono sempre sentita molto insicura con i colori. Naturalmente, con un un tratto più pulito e minimalista, ha senso usare il colore per dare vita al mondo, ma non avrebbe funzionato con i miei vecchi libri, perché avevano un’atmosfera molto diversa. Ma per me il colore è stato solo un altro passo nel mio processo di ricerca e creazione.

Oltre a fumetti da autrice unica, hai partecipato e partecipi ancora ad antologie e soprattutto riviste, un genere che mi pare sia abbastanza vitale nel fumetto tedesco. Come ti approcci alla realizzazione di storie più contenute e che cosa ti attira di questo tipo di lavori?
I racconti brevi sono sempre un estratto di una storia immaginaria più lunga. Una breve istantanea. Anche per questo motivo amo i racconti letterari. Danno un’idea di un mondo, di un personaggio, di una narrazione e lasciano molto spazio all’interpretazione. Per me i racconti brevi sono spesso perfetti anche per sperimentare temi e stili. Purtroppo i contenuti nelle antologie nella maggior parte dei casi non sono retribuiti, o lo sono appena, quindi devono essere utili come laboratorio per esperimenti personali.

Analizzando i tuoi lavori, si possono trovare vari fili conduttori. Ogni tema trattato, però, sia esso la genitorialità, la crescita, la societa’ capitalistica con le sue storture e aspettative schiaccianti, e’ filtrato attraverso l’occhio di protagoniste femminili. Possiamo dire che nel tuo lavoro l’analisi e l’approfondimento della figura femminile, del suo rapporto con la contemporaneita’ e la qualita’ sia uno dei temi principali?
Certamente. Trovo difficile ridurre le mie opere a temi, perché spesso non nascono con l’intenzione di un tema, ma semplicemente attraverso la visione del mondo da parte mia come autrice. Il fatto che io sia una donna è supportato dal fatto che questa visione si concentra spesso sull’attrito tra me e il mondo circostante e riflette la realtà femminile.

Aisha Franz illustration

Parlando di fumetto e questioni femminili, nella mia esplorazione del mondo del fumetto tedesco contemporaneo ho incontrato molte più autrici che autori di una certa rilevanza, una cosa piuttosto in controtendenza con il resto del fumetto tradizionale nel resto d’Europa e del mondo (pur con significative eccezioni). E’ solo un caso o pensi ci siano delle ragioni più specifiche dietro a questo?
Non so se ci siano ragioni specifiche, ma posso dire che le donne che disegnano fumetti sono un modello per gli artisti più giovani. I fumetti sono un modello per gli artisti più giovani. In Germania c’è stato una specie di boom dei fumetti nelle scuole d’arte: per esempio, in Germania i fumetti non possono essere studiati ufficialmente, ma ora ci sono diversi professori,nel campo del design e della comunicazione, che si occupano di fumetti, sono loto stessi fumettisti e quindi trasmettono questo materiale. Allo stesso tempo, l’interesse dei giovani sta crescendo, i fumetti indie sono diventati più popolari, molti ragazzi arrivano all’accademia d’arte con il progetto di diventare fumettisti. Quando ero studente, non era affatto così.

Ormai lavori nel mondo del fumetto da piu’ di 10 anni, e inoltre hai insegnato per vari anni Fumetto e Illustrazione alla Kunsthochschule di Kassel. Come hai visto evolvere e cambiare la produzione del fumetto tedesco?
Posso aggiungere qualcosa alla risposta precedente. L’offerta è cambiata, la scena è cresciuta, il pubblico anche. Negli ultimi dieci anni i romanzi grafici sono entrati in quasi tutti i feuilleton e nelle librerie. Di conseguenza, sono nati altri piccoli editori e le grandi case editrici letterarie hanno iniziato a pubblicare romanzi grafici. Il più importante sviluppo recente è che sempre più fumetti vengono promossi, sia dallo Stato che da privati. Purtroppo non è ancora abbastanza per tutti, ma almeno è un inizio: prima il fumetto non aveva spazio né nei finanziamenti per l’arte né in quelli per la letteratura, ora viene riconosciuto come una forma d’arte a sé stante.
Quello che ancora manca è che il lavoro sia equamente remunerato, purtroppo solo pochi riescono a vivere dei loro libri. Al contrario, la maggior parte degli illustratori in Germania deve disegnare i propri libri “a parte” – me compresa. Ma spero anche che le cose cambino in meglio.

E cosa ti aspetti, invece, dai prossimi 10 anni?
Vedi l’ultima risposta: più opportunità di finanziamento per i fumetti e una migliore retribuzione in modo da poter produrre molti più libri!

Parlando di te, invece, hai qualcosa di nuovo in lavorazione?
Per ora no. Sto iniziando a raccogliere molto materiale, ma dopo ogni libro sono occupata. Sono di nuovo impegnata ad accettare lavori a pagamento, illustrazioni o fumetti su commissione. Sto lavorando su alcuni lavoretti minori e soprattutto sulla pianificazione della “Clubhouse” di quest’anno, una residenza d’artista per fumettisti a Berlino con una pubblicazione e un programma in collaborazione con Colorama.

Intervista condotta via mail a luglio 2023.

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Aisha Franz

Nata nel 1984 Fürth, in Baviera, da genitori cileni e colombiani, Aisha Franz ha studiato Comunicazione Visiva presso la scuola d’arte di Kassel sotto la guida di Hendrik Dorgathen. Dal 2010 vive a Berlino. Le sue storie sono state pubblicate in antologie come “(KU)S!” e “Orang“. Il suo primo romanzo grafico Alien è stato pubblicato nel 2010 da Reprodukt, seguito da Brigitte und der Perlenhort, Shit is Real e Work-Life-Balance.

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