80 anni del solitario di Providence

80 anni del solitario di Providence

Howard Phillips Lovecraf ha creato un immaginario che continua tutt'oggi a rivivere in film, giochi, videogiochi e, non certo ultimi, fumetti.
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Quanti film sono stati ispirati dal genio di Howard Phillips Lovecraft? E quanti videogiochi e fumetti hanno preso spunto dalla Teoria dell’Orrore del “Solitario di Providence” e dal suo pantheon di divinità cosmiche? Infine, quante sono state le curiosità e i retroscena della vita privata di Lovecraft ad averne, negli anni, alimentato il mito, anche a distanza di 80 anni dalla sua scomparsa?
Forse troppi (anche se tutto sommato si potrebbe dire che non sono mai abbastanza).

Questa non vuole essere pertanto l’ennesima cronostoria di Lovecraft e delle sue opere, così come sarebbe impossibile riportare tutte le sue opere riadattate al cinema – sia quelle dichiarate sia le interpretazioni più libere.
Sono infatti molte le improprie trasposizioni cinematografiche delle sue opere: dalla La creatura (titolo originale The Unnamable, 1988), alla quasi comica trilogia di Re-Animator di Stuart Gordon; dai riferimenti lovecraftiani nel meraviglioso Il seme della follia di John Carpenter del 1994 al dichiarato omaggio al Necronomicon ne La casa di Sam Raimi (titolo originale The evil dead, 1981), o infine mediocre B-movie Dagon del 2001.

Anche il mondo dei videogiochi e dei giochi di ruolo da tavola ha attinto a piene mani – più o meno bene – al pantheon lovecraftiano. Da ricordare tre titoli su tutti:

Per i giochi da tavola, invece, sono certamente da ricordare – per motivi chiaramente diversi – un recente Recall of Cthulhu della Toy Vault del 2016 e un improbabilissimo Monopoly: Cthulhu.

Alberto Breccia

È certamente il mondo del fumetto che si è dedicato al Solitario di Providence nel modo più efficace ed incisivo. Da ricordare (e da avere assolutamente) il riadattamento-capolavoro di Alberto Breccia, l’unico ad avere realmente incarnato l’ignoto cosmico, indefinito e ancestrale che trasuda dai racconti lovecraftiani, oppure l’omaggio del Maestro dei Maestri del fumetto italiano Dino Battaglia (riproposto integralmente in Italia da NPE). Notevole anche la trasposizione ad opera di Erik Kriek (reperibile in italiano nella ben curata edizione della Eris dal titolo

Lovecraft: Da altrove e altri racconti (Robert Kriek)

Da segnalare anche l’adattamento di I.N.J. Culbard in versione (troppo) “cartoonesca” (che probabilmente pecca per essere poco efficace, con quello stile, a rievocare le atmosfere lovecraftiane). Davvero buona, poi, l’esperienza lovecraftiana del mercato francese, che con Rotomago ai testi e Noirel e Calvez ai disegni sta provando a riproporre i racconti meno inflazionati ma forse più suggestivi del Solitario di Providence in una chiave quasi didascalica ed essenziale, dando più spazio all’inquietudine e alla follia delle atmosfere lovecraftiane attraverso splash pages mozzafiato (vedi la trasposizione a fumetti di Nyarlathotep, edita in Italia da NPE) o una quasi maniacale riproposizione dei passaggi chiave del testo originale (vedi l’adattamento di U-29, in Italia in uscita a maggio con il titolo Il Tempio, sempre edito da NPE).

Nyarlathotep

Ottimo e incisivo anche Alle montagne della follia degli italiani Giovanni Masi e Federico Rossi Edrighi (edito da Star Comics) e – Last, but non the least – quel Providence di Alan Moore, seguito naturale (anche se non direttamente collegato) del precedente Neonomicon (entrambi editi in Italia da Panini), che più che un adattamento dei racconti di HP rappresenta un vero e proprio omaggio alla sua opera omnia e alla sua vita, nella quale i racconti e il vissuto del Solitario di Providence si intrecciano, fanno da sfondo e allo stesso tempo sono protagonisti di una storia “totale” e indispensabile per ogni buon Lovecraft-addicted che si rispetti.

Al di là dei riferimenti agli adattamenti lovecraftiani, sicuramente questo post vuole essere soprattutto un ringraziamento corale ad HP, a cui sono sicuro si unirebbero idealmente anche le precedenti generazioni che in questi 80 anni hanno avuto il piacere e l’onore di riscoprirne l’opera.
Un ringraziamento che parte dalla natura stessa di Lovecraft, quasi paradossale se contiamo che la sua opera ha fatto crescere il germe del soprannaturale nella letteratura pur essendo lui notoriamente un ateo, materialista e darwinista.

Germe che inizialmente era stato piantato da Edgar Allan Poe e che poi aveva messo radici con Robert W. Chambers nella seconda metà del 1895, con quel The King in Yellow (in Italia Il Re Giallo) antesignano del Necronomicon e a sua volta ispirato dal racconto di Ambrose Bierce del 1886 Un abitante di Carcosa.

La sua idea di soprannaturale era intesa come un elemento “necessario” all’umanità, ma che doveva necessariamente svecchiarsi ed inquadrarsi in una mitologia cosmica, fatta non più di creature tangibili come licantropi o vampiri, bensì di entità eteree, vere e proprie divinità presenti sin dall’Alba dei Tempi, intese come Architetti dell’Universo dormienti nelle vastità delle Galassie e pronte ad intervenire distruggendo o semplicemente restando immobili ad osservare l’operato di una creatura infinitesimamente più piccola e debole di loro: l’uomo.

Un’idea dell’orrore teorizzata in un vero e proprio canone, che Lovecraft ha voluto lasciare ai posteri per ridefinire interamente il genere, sebbene il suo stile non fu mai veramente apprezzato in vita (a tal punto che Borges lo definì “mediocre”).

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