Nemrod e Khor: Star Comics e’ ancora “made in Italy”

Nemrod e Khor: Star Comics e’ ancora “made in Italy”

Il ritorno della Star Comics al fumetto italiano segue di qualche mese la chiusura di Lazarus Ledd, e si affida ad autori provenienti dall'esperienza con Bonelli o da altre forme di narrazione; due serie attese, ben promosse e finalmente al vaglio del lettore.

Nemrod

INTRODUZIONE

Dopo la chiusura di Lazarus Ledd, era naturale chiedersi quando la Star Comics avrebbe messo nuove energie nel fumetto italiano, anche per far fruttare la rete di giovani e validi artisti che ha saputo raccogliere sotto la storica testata di Ade Capone e sotto Jonathan Steele, la serie di Federico Memola. Dopo un buon lavoro di aumento delle aspettative e di creazione dell’hype (buono per il livello italiano, ma pur sempre buono), in occasione di Lucca Comics & Games 2007 hanno visto la luce in contemporanea Nemrod e Khor. Due miniserie di diverso stampo, che coinvolgono nomi in forza alla Sergio Bonelli di ottimo livello come Fabio Celoni e Luigi Piccatto.
Due fumetti tanto diversi da loro che quello che segue non vuole e non può essere un confronto vero e proprio tra essi; ciononostante, viene naturale parlarne in parallelo, per l’operazione mediatica creata. Un confronto che evidenzia le lacune di entrambi i prodotti, e che promuove con riserva Nemrod ma boccia impietosamente Khor: leggete perché.

NEMROD

Nemrod è una miniserie (in 12 uscite) che appare degna di nota per le tematiche, non avulse né dal mondo del fumetto (Martin Mystere, restando all’Italia) né della fiction in generale, ma non per questo meno interessanti e curiose; altro motivo d’interesse, Andrea Aromatico che, per la prima volta, si cimenta nel fumetto (perché non sottolinearlo fin dalla copertina? Solito difetto dell’editoria italiana…). È curioso rilevare come, a differenza di tanti colleghi romanzieri, sia passato a questo mezzo di comunicazione non attraverso un volume unico da libreria, ma un albo “popolare” per formato, prezzo e distribuzione.

Nemrod propone una trama che pesca a piene mani da esoterismo, spiritualismo e religione cristiana, in un presente dove il Maligno è all’opera per vincere l’imminente Apocalisse. Contro di esso, una potenza antica, guidata dalla fede e dai poteri nascosti dell’uomo, si risveglia in due giovani ragazzi, Hiram Nemi e Paolo Rodomonti.
Per quanto appaia lineare e semplice la trama portante della storia, in questo primo albo la carne al fuoco è molta, troppa, anche con tutte le scusanti dovute alla natura stessa di numero introduttivo. Certo, il retroterra in cui si muove la serie si presenta ricco e affascinante, pero’ nell’economia di questo numero finisce per essere ingombrante, e a causa sua si sacrifica la verosimiglianza e la complessità di tanti passaggi importanti. Appare sbrigativa infatti la presa di coscienza dei due protagonisti del loro ruolo nella guerra contro il male, una maturazione che avviene bruscamente senza approfondire i sentimenti dei due; ricorrere alla magia e al destino per giustificare certe forzature è semplicistico e lascia l’amaro in bocca.
Fin dalla scoperta del proprio destino da parte di Hiram e Paolo, la narrazione diventa piatta, poco avvincente, troppo forzata. I personaggi vengono mossi dalla necessità della storia, senza pensare a reazioni che donino loro personalità e tridimensionalità. Per ovviare, si ricorre a dialoghi forzati (al limite del ridicolo) per descrivere il loro essere “speciali”, come in quello tra Nemi e Padre Bernard a pagina 47. Ancora, troppe cose vengono date per scontate: la scoperta dei loro poteri, il dover affrontare un mostro o l’assistere a un intervento del demonio. Alla resa dei conti, su di un impianto interessante, ricchissimo e per molto versi ben delineato, i personaggi mal ricoprono il loro ruolo: un distacco che si avverte pesantemente tra la prima e la seconda parte.
La risoluzione dell’albo pecca anch’essa di poco spazio e di poca cura: lo scontro tra i due ragazzi e il mostruoso arconte viene sbrigato in maniera affrettata, e il modo in cui viene sconfitto è una trovata veramente bislacca e involontariamente comica; la rivelazione finale sulla identità pubblica della “bestia 666”, oltre che prevedibile, appare quasi parodistica (l’industriale filantropo vincitore del nobel è un po’ troppo, almeno per i miei gusti!).

La sceneggiatura riflette questa disparità di qualità, risultando adatta al racconto degli antefatti ma piuttosto ingessata nel curare le iterazione tra i personaggi. Ciononostante, alcune soluzioni sono sicuramente valide; buone le inquadrature che introducono il commissario Elytis (pag. 46), come per il risveglio dei dormienti (pagg. 65-67), o ancora le tre vignette in cui Hiram scopre di poter osservare quel che succede in lontananza dagli occhi di un puma di montagna (pag. 81).È da sottolineare la maiuscola prova di Fabio Celoni: la bravura dell’autore, capace di passare dal disegno disneyano a quello realistico con semplicità, emerge qui in tutta la sua pienezza. Si avverte pagina dopo pagina come Celoni creda nel progetto e vi trasmetta forza e sostanza con un disegno particolareggiato, con inquadrature difficilmente banali, con ottima espressività nei personaggi e scelte grafiche moderne e d’impatto; come esempio si possono riportare le due vignette a pagina intera in cui i due protagonisti sono immersi nella lettura del volume che li introdurrà al loro destino (pagg. 38-39), o la vignetta della processione dell’arconte con dormienti (pag. 67), con un uso delle ombre inquietante e d’effetto; molto buona la resa dell’azione, come nelle tavole in cui l’antico cacciatore torna in azione dopo secoli di inattività (pagg. 60-63). Se si vuole sottolineare alcuni punto stonati sotto l’aspetto grafico, va segnalato come alcune vignette appaiano caricate di troppa spettacolarizzazione a discapito dell’equilibrio (la tempesta scatenata dal maligno, pag. 57), e soprattutto la pesantezza delle chine, che caricano eccessivamente il disegno rendendo alcune tavole in particolare di non facile lettura.

In sostanza, Nemrod non convince appieno, ma si presenta come un lavoro con alle spalle intenzioni solide, che lascia aperti talmente tanti spunti che il giudizio finale non può essere negativo, anche se di certo gli autori dimostrano una mancanza di esperienza nella costruzione di una storia equilibrata all’interno delle 96 pagine canoniche. Al di là delle critiche, la sensazione è che ci sia lo spazio sufficiente nei prossimi undici numeri per trovare il giusto bilanciamento e per migliorare quel che meno convince in questo esordio.

KHOR

KhorKhor, fin dalla sua presentazione, non appariva brillare per originalità; d’altra parte il fantasy rimane un ambito di grande fascino che può vantare diversi estimatori. Tra Conan il barbaro e Il signore degli anelli, la vicenda prende il via dall’assalto a un villaggio da parte di un gruppo di feroci orchi al servizio del malvagio negromante. Da lì in poi il lettore accompagna il biondo protagonista nel suo viaggio per ricongiungersi con Akena, bellissima ragazza verso la quale il negromante sembra avere un particolare interesse, e con la quale Khor ha uno strano legame empatico.

Il risultato finale è ampiamente sotto la sufficienza: a una trama, come ci si poteva aspettare, non certo originale, si accompagna un trattamento semplicistico e fin troppo scontato degli elementi tipici del fantasy più classico. Un conto è il ricorrere a topoi abusati ma rassicuranti e ben conosciuti dal lettore, un altro banalizzarli e appiattirli, svuotandoli di ogni parvenza di novità e di distinzione. Personaggi, creature e ambientazioni messi in campo dagli autori risultano privi di spessore, tratteggiati con un pressapochismo degno di un esordiente. Anche i pochi guizzi fuori dagli schemi (per esempio i predoni non-morti) si rivelano solamente dei diversivi per occupare qualche pagina senza avere un peso nella storia; al massimo sono utili per introdurre un nuovo personaggio, con una facilità pari a quella con cui quelli precedenti vengono fatti fuori. Le personalità sono praticamente assenti, ogni personaggio sembra una figurina senza storia, motivazioni, senza intelletto: la compagnia composta da nano-elfo-umano che incontra casualmente Khor lo segue senza praticamente sapere dove e perché; il cattivissimo negromante agisce in maniera schizofrenica dopo aver fatto smuovere mari e monti per ritrovare Akena, glorificandosi per la sua creazione e liberandosene perché “troppo potente” nel giro di due pagine.

Perfino il protagonista è privo di qualunque interesse. Addirittura, la tanto sbandierata amnesia, che gli impedisce di ricordare chi sia e perché porti una catena al collo e abbia una profonda cicatrice sul petto, punto focale della sua psiche appena abbozzata, come sottolineato anche nel redazionale dagli autori… non viene mai citata all’interno del fumetto vero e proprio!

A tutto questo si unisce una sceneggiatura priva di mordente, con dialoghi artificiosi e situazioni senza pathos. La scelta di raccontare l’antefatto iniziale attraverso una serie di flashback serve certamente a rendere meno banale quella che è una classica quest, ma è esercitata senza nessuna vera progettualità e senso del ritmo, finendo per appesantire e frammezzare una serie di incontri già di loro poco omogenei.

I disegni, affidati a Spadavecchia, Riccio e Santaniello, evidenziano l’influenza del maestro Piccatto (autore della non troppo appetibile copertina), ma se riescono qua e là a offrire buone vignette e interessanti inquadrature, troppo spesso appaiono approssimativi, abbozzati, grezzi al di là di quella che può essere una precisa scelta stilistica. Piccatto, un vero maestro del fumetto italiano, sa con pochi tratti rendere ogni scena in maniera adeguata senza apparire impreciso o affrettato. La squadra messa in piedi per i disegni di questo primo numero, invece, pecca pesantemente in questo sensi, con risultati altalenanti ma tendenti al deludente. Per esempio, nella scena d’apertura, piace molto l’inquadratura della prima vignetta di pagina 3, durante l’assalto con le catapulte, ma la vignetta che occupa la metà inferiore di pagina 4, con le schiere degli orchi che passano le mura cittadine distrutte, è disarmante per quanto appare mal ideata e mal rifinita, con pose sbagliate e prospettive poco convincenti. Prospettive che in più di un’occasione appaiono forzate e addirittura sbagliate (le ragazze di pagina 5, la testa del paesano mozzata dall’orco sul cinghiale a pagina 6, solo per citare le primissime vignette che si incontrano nella lettura).

Dallo studio Piccatto ci si attendeva un albo maggiormente curato, una lettura d’intrattenimento ben fatta e non così affrettata.

CONCLUSIONI

Del giudizio sulle due storie si è già detto molto. Preme sottolineare come, al di là del risultato che sarà dato dai lettori e dagli acquirenti, la Star Comics si sia dimostrata intelligente nel promuovere le due serie, riuscendo a creare una discreta aspettativa.
Una terza miniserie è già in lavorazione, con un nome di sicuro appeal come Carlo Lucarelli tra gli autori, segno che (come già Bonelli) in casa Star si è decisi a puntare su un formato “a termine”. Sarebbe interessante analizzare le motivazioni di questa scelta da parte degli editori italiani. Infatti, l’idea che il costo per produrre di una mini sia inferiore a quello di una serie è poco credibile: quello che potremmo chiamare “costo fisso” per la creazione, lo studio e l’ideazione di un fumetto prescinde dal numero degli albi, mentre il costo delle pagine prodotte per ogni episodio è lo stesso, che si tratti di una serie infinita come di un albo singolo. Da un punto di vista a lungo termine, anzi, la serie da centinaia di numeri rappresenta sicuramente l’ideale per un editore, un guadagno pressoché stabile su cui poter fare affidamento senza dover tentare la sorte con nuove storie, nuovi personaggi e (si presume, ma non è sempre vero) nuovi lettori.
Pero’ il mercato cambia, ed è più difficile assecondare i gusti di un pubblico abituato ai ritmi sempre più frenetici dell’industria dell’intrattenimento. Spesso, nel cinema come nella letteratura, è quasi più il tempo di attesa di un film o di un libro, di quanto poi esso rimanga sulla cresta dell’onda. Se questo sia la causa o l’effetto, il risultato è che l’unico modo per tenere il passo è quello di offrire prodotti nuovi in tempi brevi. Probabilmente, anche a costo di vistosi inciampi. Quindi, agli editori apparentemente sembra non restare altra strada che quella di rinnovare, annunciare nuovi “NUMERI 1” e nuovi titoli.
C’é anche un’altra strada, probabilmente, ma ancora si fa poco nel fumetto popolare per seguirla: dare importanza agli autori, non solo ai personaggi. Che è poi la ricetta che usano negli Stati Uniti per rilanciare continuamente serie ormai vecchie, dagli schemi in gran parte consolidati, ma capaci di attirare lettori grazie a voci differenti che le reinterpretano o al “top artist” del momento ingaggiato per fare l’uccello da richiamo; tutto questo, senza peraltro delegittimare il personaggio o la testata, uno dei timori che in Italia ha invece frenato la visibilità degli autori sugli albi popolari.
Probabilmente ci arriveremo anche noi, prima o poi, ai nomi in copertina, agli strilli per gli ospiti speciali, ai rilanci programmati. Forse una prospettiva poco appetibile per il purista, ma probabilmente necessario per una produzione che voglia essere sì culturale, ma al contempo commerciale; non è necessario vendere l’anima al diavolo per questo.

Abbiamo parlato di:

Nemrod #1: Nel nome del Signore
Testi: Andrea Aromantico e Fabio Celoni
Disegni: Fabio Celoni
Star Comics, nov. 2007 – 96 pagg. bros. b/n – 2,70euro

Khor #1: I prigionieri del Raak
Testi: Cristiano Spadavecchia e Walter Riccio
Disegni: Cristiano Spadavecchia, Renato Riccio, Matteo Santaniello

Riferimenti:
Star Comics: www.starcomics.com
Khor, pagina dedicata: www.starcomics.com/khor
Nemrod, pagina dedicata: www.starcomics.com/nemrod
Nemrod, il forum: nemrod.forumfree.net

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