I mostri sacri di Sergio Ponchione: Steve Ditko, Jack Kirby, Wally Wood

I mostri sacri di Sergio Ponchione: Steve Ditko, Jack Kirby, Wally Wood

Intervistiamo Sergio Ponchione in occasione dell’uscita del suo ultimo volume, “DKW”, omaggio alle vite di tre maestri del fumetto le cui vicende personali e artistiche restano un esempio per tutti i fumettisti di oggi.

Sergio Ponchione inizia la sua carriera sulla rivista Maltese Narrazioni; collabora con Bonelli Editore su Jonathan Steele di Federico Memola, restando nella squadra dei disegnatori anche con il passaggio della testata alla Star Comics. Negli anni 2000 crea un personaggio divenuto un po’ simbolo dell’autore stesso, l’Obliquomo, pubblicato da Coconino Press. Ha vinto il Gran Guinigi a Lucca Comics 2009 per la serie Grotesque (Coconino) e il Premio Micheluzzi come miglior storia breve a Napoli Comicon 2012 per “Storia di Aiace, fumettista tenace!” contenuta nell’antologia GANG BANG de Il Manifesto/Edizioni BD. Ha collaborato con tantissimi editori, riviste, fanzine: Rizzoli, Fabbri, Zanichelli, Mondadori, Baldini Castoldi Dalai, Internazionale, La Repubblica XL, Puck!, Lamette. Attualmente scrive e disegna le sue storie brevi sulla storica rivista a fumetti Linus. cover_little
E’ un autore capace di adattare uno stile che non nasconde le influenze dell’underground americano, ma rielaborate attraverso una sensibilità personale e riconoscibile, sia al fumetto popolare che a storie prettamente autoriali e sperimentali. 

Ditko, Kirby, Wood. Tre autori e tre personaggi simbolo del fumetto statunitense e, di conseguenza, mondiale. Ma per Sergio Ponchione, in particolare, cosa hanno rappresentato e cosa rappresentano?
Incarnano l’amore e la dedizione assoluta per il proprio lavoro, anche a caro prezzo. La prova che non si scappa al proprio destino. Sono sempre stato affascinato da figure che hanno dedicato l’intera vita alla loro passione. Fatte le pur debite proporzioni mi sento un po’ così anch’io, con tutte le gioie e i dolori che ciò comporta. Ditko, Kirby e Wood forse non sono esattamente esempi equilibrati da seguire, di sicuro non Wood che si è autodistrutto. Ma come scrive Daniele Brolli nell’introduzione dell’albo, proprio da questo squilibrio viene parte della loro grandezza. Sono persone che hanno passato la vita fra tavolo e lampada sacrificando rilassanti pomeriggi a pescare e magari salute pur di dare forma ai loro mondi. E che mondi. Grazie a internet ora posso vedere loro lavori che mai avrei potuto vedere. Continuo a scoprirne di mai visti, perlopiù bellissimi. E ogni volta mi chiedo: ma quanto hanno lavorato? Quanto hanno prodotto? Ogni volta mi accarezza un piccolo brivido. Perché se penso a un qualunque fatto accaduto nel mondo reale nel corso della loro attività, che siano guerre, anniversari, scoperte, morti, nascite o semplicemente quella foglia caduta dall’albero in quell’autunno del 1972, mentre accadevano loro me li immagino sempre lì, a lavorare. Di giorno o di notte, con il sole, con la pioggia, felici, tristi, sempre chini a raccontare la loro ossessione. Inattaccabili, fuori dal tempo. Certo, c’erano anche i soldi, per Kirby che aveva tre figli erano un bisogno primario, ma nessuno si è mai arricchito. La loro inarrestabile spinta creativa andava oltre il semplice rapporto lavorativo. Facevano quel che facevano perché non potevano farne a meno. Un’esigenza umana come il respiro. Una missione pura e immacolata. Forse pericolosa, comunque bellissima.

Ricordi il primo “incontro” con le loro opere, cosa ti colpì?
dett_3Premesso che quando iniziai a interessarmi seriamente ai supereroi l’Editoriale Corno che li pubblicava stava chiudendo i battenti, Ditko lo conobbi ovviamente sull’Uomo Ragno. Nel 1983 o ’84 convinsi i miei genitori a comprarmi in blocco usati i primi cinquanta numeri dell’Uomo Ragno Gigante (cinquantamila lire, mica poco trent’anni fa). Mi piacevano molto le storie, i disegni anche ma senza farmi impazzire. Però il disegnatore era lo stesso che disegnava quelle storielle misteriose e inquietanti sugli Eureka Pocket dedicati all’horror, che da fedele discepolo di Zio Tibia leggevo e rileggevo. Qualcosa d’insinuoso, inconsueto, straniante aleggiava in quelle tavole. Altre dimensioni e mondi impossibili resi con effetti grafici semplici ma efficacissimi che mi attraevano profondamente. Solo molti anni dopo però, ormai da autore professionista, capii veramente che il suo immaginario obliquo aveva tantissimi punti in comune con il mio. Kirby lo ammiravo sbalordito sui Fantastici Quattro, trovati usati anche quelli. Non potevi non amare Kirby. Gli androidi, le macchine, gli alieni, i mostri, le paginone strabordanti, le esplosioni. Tutto era unico, incredibile, inconfondibile ed emanava un’energia pazzesca, bigger than life. Poi come disegnava la Cosa lui più nessuno mai. Un segno monolitico da venerare di vignetta in vignetta. Wood invece lo incontrai sulle pagine di Devil, nelle celebri storie da lui disegnate, e non mi piaceva molto. Statico, rigido, povero, ammesso sapessi all’epoca dare giudizi del genere. Ero troppo rapito dagli episodi di Gene Colan, dopo Kirby forse il mio preferito da bimbo. Dimenticai Wood per tanti anni, anche perché in Italia è stato pubblicato pochissimo, per riscoprirlo, approfondirlo e innamorarmene poi da professionista come per Ditko. Ancora oggi quel Devil non è tra le sue cose che preferisco, ma ho imparato ad apprezzarne la grande maestria, classe ed eleganza. Contemporaneamente ho scoperto tutto il resto, strabuzzando gli occhi.

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Ritieni che il loro approccio al fumetto e il loro stile siano ancora un esempio valido per i nuovi autori, e cosa in particolare?
Direi di sì, dipende da cosa uno vuole fare con i fumetti. Se lasciamo da parte approcci pittorici e parliamo di making comics in senso classico, tavole a matite ripassate a china, rimangono esempi illustri da cui c’è tutto da imparare. Non sono autori dal disegno perfetto, ma anche in questo sta un’altra loro grandezza: il costituire una devianza dai canoni del disegno del fumetto mainstream americano, pur avendo sempre operato al suo interno. Il loro immenso mondo interiore ha generato il loro stile, rendendolo unico e immaginifico, capace di far chiudere un occhio anche su errori o azzardi grafici che in altri autori sarebbero imperdonabili. dett_4Sono tre preziose anomalie i cui lavori hanno attraversato il mercato americano come comete dalla lunga coda dorata. Ditko rimane un autore assolutamente unico. Le sue invenzioni grafiche, dagli anni ’50 fino agli albi che si autoproduce ora, sempre apparentemente semplici quanto filosofiche, rimangono inimitabili. Non ho ancora visto effetti al computer che sappiano darmi la stessa emozione. Ha influenzato parecchi autori, da Frank Miller, suo grande ammiratore, che l’ha ripreso non poco nello storytelling del suo Daredevil, fino a Daniel Clowes, i cui personaggi sembrano spesso immersi in quello stato di fluttuante paranoia tipico delle sue tavole. Kirby è stato sempre molto amato e celebrato, fino a generare nel tempo un vero e proprio revival del suo stile, metabolizzato e riproposto in diverse chiavi da tanti autori, da quella più realistica del bravissimo Steve Rude a quella più cartoon di Darwyn Cooke. Le sue tavole continuano a sprigionare una potenza ineguagliata da altri autori ancora oggi, dopo decenni di produzione fumettistica mondiale. Wood sapeva fare tutto, dal realistico al caricaturale. Pochissimi altri ci sono riusciti, con quei risultati nessuno. Non avendo uno stile unico ma diversi uniti da elementi comuni, la sua eredità grafica è forse meno diretta e riscontrabile, ma tracce del suo lavoro come gli inconfondibili chiaroscuri, vero e proprio suo marchio di fabbrica, si trovano in quelli di vari autori, uno su tutti Hilary Barta.

Con queste tre storie a fumetti, che obiettivo ti ponevi? Un semplice omaggio, un modo per farli conoscere alle “nuove generazioni”, o cos’altro?
Sono storie nate un po’ per caso, ma indubbiamente generate da un forte debito che ho verso questi autori. Per quello che mi hanno dato, insegnato, trasmesso. Per l’impareggiabile stimolo datomi quando l’entusiasmo latita. E per quel che sento in comune, certo. Non parlo di abilità ma di vita spirituale al tavolo da disegno. A un certo punto si sente quasi un bisogno di riconoscenza, un piccolo e simbolico grazie di tutto, che diventa poi anche un po’  misurarsi con i propri mostri sacri. dett_1Detto questo, sì, spero naturalmente che l’albo non sembri solo un nostalgico altare su cui (ri)celebrarli da chi già li conosce e ama, ma sia anche uno stimolante invito alla loro scoperta per nuovi lettori.

Se potessi rubare e impossessarti di una e una sola qualità stilistica a ognuno dei tre, quale vorresti?
Diciamo qualità attitudinali: la tenacia di Ditko, l’energia di Kirby e la poliedricità di Wood.

Cos’altro sta facendo Sergio Ponchione in questo finire dell’anno? Che progetti e che fumetti ci sono in corso?
Ho lavorato tutta l’estate e ora sto tirando un po’ il fiato. È da poco uscito un libro per bambini su Giuseppe Verdi illustrato da me e a Lucca oltre DKW (con annessa t-shirt) ci saranno un albo promozionale di Kepher con copertina, anteprime del mio episodio e una stampa allegata. Dopo la fiera inizierò seriamente a mettere mano al mio romanzo a fumetti a cui penso ormai da diversi mesi, mentre sul secondo numero di Splatter a gennaio apparirà il primo episodio della serie fatta con Alessandro Bilotta. Per il prossimo anno spero anche in un volume che raccolga tutte le storie del Professor Hackensack uscite su Linus, sul cui numero in edicola trovate l’ultimo episodio, che è anche un po’ un teaser di quel che sarà il romanzo. Siete avvisati…

Grazie per il tuo tempo!

 

Abbiamo parlato di:
DKW
Sergio Ponchione
MoltiMedia – Comma 22, 2013
32 pagine, brossurato, colori – 3,50€

Una versione breve della storia di Ponchione su Wally Wood è stata pubblicata su Lo Spazio Bianco nella rubrica “A fumetti”: https://www.lospaziobianco.it/68395-sergio-ponchione-wally-wood-fumetti

 

Intervista rilasciata via mail a ottobre 2013 

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